“IL LOCKDOWN È GIÀ PREVISTO” – LE ULTIME RESISTENZE DI CONTE SONO CROLLATE QUANDO FRANCESCHINI E SPERANZA HANNO SPIATTELLATO DAVANTI AI COLLEGHI DI GOVERNO UN DOCUMENTO DI METÀ OTTOBRE – SI TRATTA DELLO STUDIO DELL’ISS, DOVE È STABILITA LA SOGLIA OLTRE CUI BISOGNA CHIUDERE TUTTO (IN MOLTE REGIONI È GIÀ STATA SUPERATA) – IL PREMIER VOLEVA ASPETTARE ANCORA MA LA SUA STRATEGIA SI È SGRETOLATA DAVANTI AI DATI
1 – "IL LOCKDOWN È GIÀ PREVISTO". COSÌ IL PD HA IMPOSTO LA LINEA DURA
Luca Sablone per www.ilgiornale.it
“Non c'è un minuto da perdere. Tutto quello che dobbiamo fare, con questi numeri, è scritto qui". Roberto Speranza mette fretta a tutti quelli che non lo hanno voluto ascoltare nelle scorse settimane e che hanno da sempre voluto sposare la linea più morbida nell'ambito delle restrizioni contro la diffusione del Coronavirus.
E accelera facendo riferimento alla "nuova Bibbia" del governo: il documento "Prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione autunno-invernale".
Lo studio dell'Istituto superiore di sanità - stilato in estate, rivisto il primo ottobre, e approvato dalle Regioni il 16 - contiene le diverse modulazioni delle possibili misure da adottare in relazione all'evoluzione degli scenari epidemiologici e pertanto, sostiene il ministro della Salute, davanti a questi numeri non sarà più possibile fare resistenze contro misure drastiche. Ed è così che l'incubo lockdown torna ad affacciarsi nel nostro Paese.
L'Italia si avvicina sempre più al quarto scenario, il più grave. Un Rt prevalentemente e significativamente maggiore di 1.5 ("ovvero con stime dell’intervallo di confidenza al 95% di Rt maggiore di 1.5") potrebbe portare rapidamente "a una numerosità di casi elevata e chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali, senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi".
Gli esperti hanno avvertito che con un aumento dei casi tanto forte da rendere impossibile le attività di tracciamento e con il rischio che le terapie intensive non riescano a reggere, diventerebbero necessarie "misure di contenimento molto aggressive". Tradotto: dove l'indice di trasmissibilità supera l'1,5 e la rete sanitaria è in sofferenza bisogna intervenire con "restrizioni regionali e/o provinciali", tra cui "restrizioni generalizzate", "limitazioni della mobilità" e "chiusura delle strutture scolastiche/universitarie e attivazione della didattica a distanza".
Il pressing per il pugno duro
Non si possono trascurare del tutto le prescrizioni che arrivano dalle istituzioni preposte alla sicurezza del Paese. E su questo, scrive l'edizione odierna de La Repubblica, si fa forza l'azione di pressing guidata da Speranza, Dario Franceschini (Beni culturali) e Francesco Boccia (Affari regionali). Nel tardo pomeriggio di ieri è stato convocato d'urgenza il Comitato tecnico-scientifico, chiamato a esprimersi sulle modalità e sulle zone dove adottare le prossime chiusure.
"È scritto lì, confrontate l'Rt, guardate la curva, noi possiamo solo farvi degli approfondimenti sulla rete di medicina territoriale e sulle scuole entro martedì", si sono limitati a dire gli scienziati.
Proprio oggi è il giorno della decisione: è in corso un confronto dell'esecutivo con le Regioni; nel pomeriggio - verso le ore 15.30 - è prevista una nuova riunione del premier Conte con i capidelegazione, allargata ai ministri più direttamente interessati dalle questioni legate alla gestione della pandemia; alle 17 dovrebbero unirsi anche i capigruppo di maggioranza. La convinzione dei giallorossi è che Lombardia e Piemonte, ad esempio, dovrebbero chiudere per almeno due settimane, fermando tutto tranne le attività essenziali.
Intanto sulla scuola si consuma un durissimo scontro. Il presidente del Consiglio prova a fare una sintesi: didattica in presenza fino alla seconda media, a distanza dalla terza media fino a tutte le superiori. Speranza e gran parte del Partito democratico non vogliono sentirne parlare, mentre Lucia Azzolina si dice disposta a ragionare su questa ipotesi solo dove l'Rt è alto.
Ma nonostante la sponda dei sindacati è improbabile che la sua linea passi. I numeri che arrivano dagli ultimi bollettini non permettono tentennamenti e obbligano a decisione rapide, ribadisce a gran voce l'ala rigorista. "Non possiamo permettercelo", viene spiegato al capodelegazione M5S Alfonso Bonafede che vorrebbe difendere la posizione del ministro dell'Istruzione. Comunque nel Dpcm di domani non ci sarà il lockdown, ma solamente ulteriori passi per arrivare alla tanto temuta (e sempre più probabile) serrata.
2 – CONTE ASSEDIATO DEVE CEDERE SULLA STRETTA SI VA VERSO IL LOCKDOWN A MILANO E NAPOLI
Alessandro Di Matteo e Ilario Lombardo per “la Stampa”
Le resistenze di Giuseppe Conte cedono, ancora una volta. Il presidente del Consiglio vede sgretolarsi pezzo dopo pezzo, settimana dopo settimana, la sua strategia che prevedeva di attendere due settimane, il tempo cioè necessario per veder maturare gli effetti delle precedenti restrizioni.
Per la terza volta in tre settimane si è mostrato riluttante a firmare un Dpcm che alla fine invece firmerà, subendolo come qualcosa di ineluttabile. Lo farà probabilmente tra lunedì sera e martedì, dopo essere passato lunedì pomeriggio alla Camera e al Senato, per le comunicazioni che, inizialmente previste per mercoledì, ha chiesto di anticipare.
Un passaggio propedeutico alle nuove misure inserite nel decreto, e a conclusione dell' intenso giro di confronti avviato nella giornata di ieri, con i capidelegazione, con i ministri della Salute e degli Affari Regionali, e soprattutto convocando gli esperti del Comitato tecnico scientifico.
Oggi tocca ai governatori e ai capigruppo parlamentari mentre ai leader delle opposizioni ha proposto di far partire subito un tavolo di confronto permanente. Respinto dal centrodestra come ipotesi di cabina di regia («ravvedimento tardivo»), potrebbe risorgere in Parlamento come una sorta di "bicamerale". A metà settimana, tra mercoledì e giovedì ci sarà la resa dei conti con la curva dei contagi: se non si fermerà, il prossimo passo darà un lockdown temperato che interesserà tutta Italia.
Nel frattempo, la stretta seguirà un doppio binario: da una parte Conte vuole che si decidano con le Regioni, e sulla base del documento del Cts, le zone rosse delle grandi città e delle aree limitrofe, dove i sistemi sanitari sono sull' orlo dell' esplosione.
Per ora, Milano e Napoli sicuramente. Forse anche Genova. Mentre si valuta se chiudere Torino e Firenze, altre parti della Lombardia (come la Brianza) e pezzi del Veneto e del Meridione. La situazione di Roma appare diversa, anche se c' è tra gli scienziati del Cts chi spinge per chiuderla.
Nelle città più in crisi si dovrebbe arrivare a una vera e propria serrata, con limiti alla mobilità e la chiusura di tutti i negozi non essenziali. Il governo con il Dpcm offrirà la copertura necessaria per i lockdown mirati che gli enti locali, secondo i precedenti decreti, avrebbero il potere di imporre. Il provvedimento però aggiungerà restrizioni a livello nazionale. L' orientamento di governo e scienziati al momento prevede di estendere la didattica a distanza a superiori e scuole medie, ma in questo caso limitandola forse solo all' ultimo anno perché gran parte degli studenti hanno 14 anni di età.
Quasi certamente ci saranno nuove limitazioni ai negozi mentre ancora si discute se e come impedire gli spostamenti tra le Regioni. Nell' ultimo confronto con il Cts ieri sera, qualcuno ha proposto di limitarli solo per i viaggi «senza comprovata necessità» da e per le zone rosse. Si starebbe anche valutando di predisporre gli "hotel Covid", dove ospitare i positivi che rischiano di contagiare i familiari.
Le divisioni restano, la discussione è nervosa. Sulla chiusura dei centri commerciali, il capodelegazione dem Dario Franceschini ha rilanciato: chiudendo solo alcuni esplodono le proteste di chi viene colpito e si sente discriminato. Altro punto delicato è la scuola: le lezioni in streaming non piacciono a M5s e a Iv e lo stesso Conte è insofferente all' idea, nonostante abbia aperto sulle terze medie: «Ma continuo a pensare che la dad sia solo una extrema ratio». In diversi colloqui, il premier ha espresso la propria contrarietà a questa accelerazione drammatica sui Dpcm. Non vuole che gli italiani pensino non ci sia un' alternativa.
Lui, un' alternativa, l' aveva offerta, spazzata via dal rosario quotidiano dei contagi, da metà governo, dagli scienziati. Il coinvolgimento di tutti questi interlocutori gli serve anche a schermarsi, di fronte a provvedimenti che altri avevano gli strumenti per attuare. Il premier è irritato con presidenti di Regioni e sindaci che vogliono sia il governo nazionale ad assumersi la responsabilità di chiudere le aree metropolitane.
È irritato con chi nell' esecutivo non asseconda la sua strategia. La discussione con i capidelegazione è stata faticosa, come ormai accade regolarmente. E vista dal fronte "rigorista" guidato da Roberto Speranza e Franceschini, non viene apprezzato che il premier abbia chiesto di «condividere» con Regioni e Parlamento le nuove misure. Non perché Pd e Leu non ritengano giusta una consultazione: «Ma non può solo dire "ne parlino Speranza e Boccia con Regioni e opposizioni", lui è il premier e deve anche decidere». Il timore dello scaricabarile è forte, basta ascoltare anche il vice-segretario Pd Andrea Orlando: «È un problema chiunque in questo momento pensa di potersi smarcare da posizioni che in qualche modo avranno inevitabilmente impopolarità».