“TRA I NEGOZIATORI EUROPEI LA RATIFICA ITALIANA DEL MES NON CONTA QUASI NIENTE” – FEDERICO FUBINI: “ROMA È RIMASTA SOLA A NON AVERLA ASSICURATA, IL SUO APPARE AGLI ALTRI UN ATTO DOVUTO CHE NON OFFRE DIVIDENDI NELL’ESSERE CONCESSO MA INDEBOLISCE POLITICAMENTE L’ITALIA QUANDO IL GOVERNO LO RINVIA. DI CERTO NESSUN ALTRO PAESE SEMBRA DISPOSTO A FARE CONCESSIONI SUL PATTO DI STABILITÀ IN CAMBIO DI UNA RATIFICA ITALIANA DEL MES. CIÒ CHE CONTA INVECE È LA GESTIONE DEL DEFICIT PUBBLICO…”
-
1. L’INCONTRO SCHOLZ-MELONI SARÀ DECISIVO PER CAPIRE COME ANDRÀ A FINIRE LA PARTITA DI POKER INTAVOLATA DALLA DUCETTA CON L’EUROPA. FRANCIA E GERMANIA SONO D’ACCORDO NEL RESPINGERE LA PROPOSTA, IN MODALITÀ PORTA PORTESE, DEL “PACCHETTO” (FIRMO IL MES IN CAMBIO DI UN PATTO DI STABILITÀ FLESSIBILE), MA NELLO STESSO TEMPO CI SARÀ APPARECCHIATA UNA OFFERTA DI NON FAR CONFIGURARE IN BILANCIO ALCUNE SPESE. A MONTE, OVVIAMENTE, C’È LA FIRMA SUL MES, RITENUTA INACCETTABILE DA MELONI E SALVINI - ALLA FINE, VEDRETE, FINIRÀ CHE IL CAMPO HOBBIT DI PALAZZO CHIGI FIRMERÀ IL MES INVENTANDOSI DI AVER OTTENUTO CHISSÀ QUALI FACILITAZIONE SUL PATTO DI STABILITÀ...
2. DEBITO BERLINO PREME ORA LO SCONTRO CONTINUA SUL DEFICIT E SULLE PROCEDURE UE
Estratto dell’articolo di Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
[…] più passano i giorni, più a tutti i negoziatori diventa chiaro cosa conta e cosa no, in questa partita così decisiva per molti anni a venire. Non conta quasi niente la ratifica italiana del Meccanismo europeo di Stabilità, per esempio.
Roma è rimasta sola a non averla assicurata, il suo appare agli altri un atto dovuto che non offre dividendi nell’essere concesso ma indebolisce politicamente l’Italia quando il governo lo rinvia. Di certo nessun altro Paese sembra disposto a fare concessioni sul patto di Stabilità in cambio di una ratifica italiana del Mes.
Ciò che conta invece è stato ormai messo a fuoco nei contatti fra ministri in questi giorni, incluso quello fra Lindner e Le Maire finito con una constatazione di disaccordo venerdì scorso a Berlino. Il punto che divide — Germania e alleati da una parte, Francia, Italia e i loro alleati dall’altra — è la gestione del deficit pubblico. Non del debito, sul quale di fatto tutti hanno ormai acceduto alla richiesta tedesca: dopo un primo periodo lungo fino a sette anni — e a meno di catastrofi — quasi tutti i governi europei dovranno comunque ridurre il debito pubblico almeno dell’1% del prodotto lordo all’anno.
È sulle duplici richieste tedesche relative al deficit che il disaccordo resta acuto. Debole nei sondaggi in Germania e a caccia di credibilità, Lindner vorrebbe che l’obiettivo di disavanzo cui tutti i Paesi devono tendere fosse dell’1% del prodotto lordo.
Italia e Francia ne temono le implicazioni per una ragione comune: su entrambe verosimilmente partirà una procedura per deficit eccessivo nell’estate del 2024; questa potrebbe implicare anni di strette di bilancio, magari lente ma regolari; dunque un obiettivo ordinario di deficit all’1% obbligherebbe Roma e Parigi a un’altra maratona di sacrifici non appena uscite dalla procedura.
C’è poi un secondo punto relativo ai Paesi sotto procedura per deficit, cioè verosimilmente — fra un anno — Italia, Francia, Belgio e forse la Spagna. La riduzione annua del disavanzo, al netto dei fattori passeggeri, dovrebbe essere dello 0,5% del Pil (per l’Italia, circa 10 miliardi). Giorgetti, Le Maire e altri chiedono che nel calcolo non si tenga conto delle spese in interessi sul debito: poiché questi costi stanno salendo insieme ai tassi, mettere anche gli oneri da interessi nei conti da correggere darebbe luogo a una rincorsa estenuante.
Lindner invece chiede con forza che si tenga conto di tutte le spese per giudicare la condotta di un Paese già in procedura per violazione delle regole. Ma così chi ha più debito e costi più alti in interessi finirebbe per dover eseguire le manovre più depressive. Come se molti anni di crisi dell’euro non avessero insegnato proprio niente.