“A NOI È ANDATA MALUCCIO, A LORO MALISSIMO” - È PARTITO LO SCARICABARILE TRA SALVINI E MELONI, CHE SOLO TRE GIORNI FA SI ABBRACCIAVANO A SPINACETO E ORA SI TIRANO LE PIETRE - SE IL “CAPITONE” PIANGE PER IL CLAMOROSO TRACOLLO LEGHISTA, LA “DUCETTA” NON RIDE PER L’AVANZATA DELLE LISTE DI FRATELLI D’ITALIA: CON LA LEGA A TRAZIONE SOVRANISTA INDEBOLITA, C’È IL RISCHIO DI VEDERSI CONDANNATA ALL’OPPOSIZIONE PERENNE…
-Francesco Olivo per “La Stampa”
«A noi è andata maluccio, ma a loro malissimo». La grande competizione sovranista non è finita bene. Uno ha perso, i dati non vengono messi in discussione, l'altra non ha vinto, e si accontenta di aver tenuto.
Il fatto che il tonfo delle amministrative fosse annunciato non toglie drammaticità al momento. Matteo Salvini e Giorgia Meloni adesso non sono in animo di scambiarsi effusioni, come tre giorni fa a Spinaceto. Il film era già scritto: scaricare tutto sui candidati.
Ma a questo punto potrebbe non bastare. «Li abbiamo scelti tardi», dice Matteo Salvini.
Sono le prime frasi, una difesa razionale, ma incompleta, parole pronunciate prima che si apra una voragine: il dibattito interno alla Lega, diventato uno scontro aperto nelle scorse settimane.
Per i giorgettiani (categoria assai più complessa della definizione corrispondente) c'era una linea rossa: resistere al Nord. Non è successo, è la resa dei conti è lì dietro l'angolo, «se funzionasse WhatsApp sarebbe già cominciata», ride amaro un deputato.
«Una scoppola», dice Maurizio Lupi. Ma se via Bellerio piange, via della Scrofa non ride.
Nel quartier generale dei Fratelli d'Italia i dirigenti sono pochi, la gran parte assiste al lentissimo spoglio romano al Comitato di Michetti, il candidato che Meloni ha imposto tra mille mugugni che sono durati fino a ieri. L'aria è sospesa, «a Roma sta andando benino», dice Massimo Milani, coordinatore del partito nella capitale.
Quello che è chiaro però è che non c'è stato il botto previsto dai sondaggi (nazionali), la destra meloniana è egemone, (anche se Salvini non è d'accordo) ma più per disgrazia altrui che per meriti propri. «Menomale che c'è Milano, così quello di Roma sembra un buon risultato», scherza un membro dello staff. Sui cellulari dei dirigenti di Fdi, finché le linee non crollano, si guardano i risultati degli altri.
«Se la Lega avesse fatto il suo, avremmo vinto Roma al primo turno», dice un dirigente di Fdi. La competizione sui territori è stata durissima, persino più di quello che appare a livello nazionale. Ci sono stati dispetti, liti sui candidati e colpi bassi, uno fra tutti: ai leghisti non è andata giù la candidatura di Vittorio Feltri, arcinemico di Salvini, come capolista a Milano di Fratelli d'Italia, «mi aspettavo che perdesse i voti, i suoi elettori non ci capiscono più nulla», dice il fondatore di Libero.
Ma il crollo leghista, più che ingolosire fa paura, «se cambia la linea e salta il centrodestra, noi ci condanniamo all'opposizione perenne», ammette un deputato di Meloni. Il ragionamento dei Fratelli d'Italia è questo: con un Salvini indebolito, senza più trazione sovranista, si aprono strade diverse dalle quali la destra resta isolata.
Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e politico di lungo corso annusa i problemi in arrivo: «Vogliono disarticolare il centrodestra per non farci governare».
I rivali di Salvini, infatti, aspettavano solo un momento così per smantellare quel progetto della Lega nazionale che il leader ha rivendicato, «ma al Sud già perdiamo i pezzi, mentre i nostri al Nord non ci votano più», ricorda un ex pezzo grosso del Carroccio, elencando le disfatte della lista, a partire da Milano. Forza Italia, ridotta ai minimi termini nelle città, è paradossalmente l'unico partito che può vantare un successo autentico: quello di Roberto Occhiuto in Calabria.
Non è un caso che tutti i dirigenti ieri si siano spostati a Catanzaro, quasi a interporre una distanza fisica tra i disastri sovranisti nel resto d'Italia. «Forse Meloni ora abbasserà le pretese», sibilano dal partito, ricordando l'aggressività con cui Fratelli d'Italia ha condotto le trattative per i candidati delle amministrative. Primi segnali di una battaglia, che per deflagrare non avrà bisogno di vedere la fine della partita, fra due settimane chissà cosa resterà di tutto questo.