“NON È STATO PUTIN, MA ELTSIN A ROVINARCI” – DAL CARCERE, ALEXEY NAVALNY DICE QUELLO CHE NESSUNO HA IL CORAGGIO DI DIRE NEANCHE IN OCCIDENTE: LA DERIVA DITTATORIALE DELLA RUSSIA È COLPA DEL PRIMO LEADER POST-SOVIETICO. C'È ANCHE UNA DATA PRECISA: IL 4 OTTOBRE 1993, QUANDO ELTSIN BOMBARDÒ IL PARLAMENTO IN DIRETTA TV – IL DISSIDENTE: “ODIO L’INTERA LEADERSHIP CHE NEL 1993 AVEVA IL POTERE ASSOLUTO E NON HA PROVATO A FARE RIFORME DEMOCRATICHE” – VIDEO

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Estratto dell’articolo di Anna Zafesova per “la Stampa”

 

navalny

Esiste un tabù che non viene quasi mai menzionato, negli interminabili dibattiti su cosa in Russia sia andato storto, e quando il Cremlino abbia voltato le spalle alla visione occidentale della democrazia. Il momento in cui è accaduto – o almeno in cui è diventato chiaro – non è un segreto, anzi, è avvenuto sotto gli occhi di tutto il mondo, trasmesso in diretta dalla Cnn.

 

Era il 4 ottobre 1993, il giorno in cui Boris Eltsin ordinò di prendere a cannonate il Parlamento che aveva sciolto nonostante la legge non glielo permettesse, per poi rifondare la Russia postsovietica con una Costituzione che gli conferiva poteri da monarca.

 

BORIS ELTSIN - 4 OTTOBRE 1993

Tutto il resto - dal 9 agosto 1999, quando Eltsin presentò Vladimir Putin come nuovo premier e suo "delfino" prescelto, al 24 febbraio 2022 in cui il presidente russo lanciò bombe sulle città ucraine – è stato la conseguenza di quel giorno, in cui il Cremlino decise che il potere in Russia non avrebbe mai potuto venire trasferito per mezzo delle elezioni, meno che mai nelle mani di una opposizione.

 

È singolare che a ricordarlo ai russi sia un uomo rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, Alexey Navalny, che ha pubblicato quella che ha definito una «confessione di paura e odio» verso coloro che hanno «venduto, bevuto, dilapidato l'opportunità storica che il nostro Paese aveva negli Anni 90».

ELTSIN PUTIN

 

[…] Nella narrazione comunemente accettata sia dei liberali russi, sia dall'Occidente, fino all'arrivo di Putin, la Russia era sul cammino – per quanto complicato dal disastro economico e dalla nostalgia sovietica – verso l'Europa, e negli ultimi 18 mesi quasi tutti, da Bill Clinton ad Angela Merkel, si sono concentrati sui «mea culpa» di non aver compreso a fondo che Putin era il cattivo principale e non solo un autocrate «moderato».

 

VLADIMIR PUTIN E BORIS ELTSIN

Ma il prigioniero politico che il presidente russo odia al punto da non chiamarlo mai per nome arriva quasi a scagionarlo: «Non è con Putin, è stato con Eltsin, con Tania e Valia (la figlia del primo presidente Tatiana con il marito e capo dello staff del Cremlino Valentin Yumashev, ndr), Chubais, gli oligarchi e tutta la banda del partito e del komsomol che si erano ribattezzati democratici, che nel 1994 invece che andare verso l'Europa siamo andati in Asia Centrale».

 

Non è stato Putin, messo al Cremlino dalla «famiglia» eltsiniana. Le sue svolte – i bombardamenti della Cecenia nel 2000, il blitz contro le tv private nel 2001, la strage della Dubrovka nel 2002, l'arresto di Mikhail Khodorkovsky nel 2003, l'abolizione delle elezioni locali dopo la tragedia di Beslan nel 2004, i primi omicidi degli oppositori nel 2006, il discorso di Monaco nel 2007, l'attacco alla Georgia nel 2008 – sono state cruciali nell'involuzione del dittatore, e del suo popolo, che si sono alimentati a vicenda di rancori e risentimenti imperiali. Ma «non c'è stato un golpe, palese o strisciante, degli uomini del Kgb, sono stati i cosiddetti riformatori democratici a chiamarli», ricorda Navalny.

Alexei Navalny

 

Nelle elezioni del 1996 Eltsin aveva vinto grazie ai brogli, ai soldi degli oligarchi, alla censura nei media sul suo stato fisico e mentale. Il fatto che dall'altra parte ci fosse un comunista stalinista come Gennady Ziuganov (tuttora un pilastro del putinismo) non giustifica il peccato originale.

 

[…]  Se esiste davvero una responsabilità dell'Occidente, consiste non nell'aver «ferito l'orgoglio» nazionalista russo, ma nell'aver chiuso gli occhi su una Russia sempre più corrotta e autoritaria, mentre faceva pressioni sull'Ucraina (forse perché non temeva di «umiliarla») per una maggiore democrazia e trasparenza.

VLADIMIR PUTIN E BORIS ELTSIN

 

[…]  L'appello di Navalny alla purezza degli ideali confligge con la realpolitik che esige «compromessi necessari con persone spiacevoli», e lui stesso lo riconosce. Ma siccome è quasi certo che la fine della guerra coinciderà con un regime change al Cremlino, il «sogno di un dittatore buono» potrebbe ripresentarsi come pericolosa tentazione.

ELTSIN CLINTON
gorbaciov eltsin

alexei navalny in carcere
VLADIMIR PUTIN E BORIS ELTSIN
alexei navalny in carcere