“ORMAI CONTE LAVORA PER IL PD PERCHÉ SPERA DI ESSERE IL FUTURO CANDIDATO PREMIER DEL CENTROSINISTRA” – SGAMATO IL GIOCHINO DEL "BANDOLERO STANCO" PENTASTELLATO SEMPRE PIU’ ISOLATO NEL M5S. L'AVVOCATO CON LA POCHETTE NON RIESCE NEANCHE A CAMBIARE IL CAPOGRUPPO ALLA CAMERA DAVIDE CRIPPA, FEDELE A GRILLO - MASSIMO FRANCO: "LE PAROLE PRONUNCIATE DA CONTE HANNO RIDATO FIATO ALLE VOCI DI UNA CONTRAPPOSIZIONE COL MINISTRO DEGLI ESTERI, LUIGI DI MAIO…"
-Massimo Franco per il Corriere della Sera
Più che mettere le mani avanti, Giuseppe Conte ieri ha dato per qualche ora la sensazione di averle quasi alzate con un larvato annuncio di resa. Ad appena trentatré giorni dalla nomina a capo del Movimento 5 Stelle, sostenere che si tratta di «un impegno stressantissimo, una faticaccia enorme», è già un messaggio singolare. Ma aggiungere «quindi non credo che la potrò reggere fisicamente a lungo», è suonato come un preavviso di dimissioni: non si capisce se dettato dal timore di una disfatta elettorale alle Amministrative di ottobre, o da una situazione interna in bilico, o da un momento di sconforto.
Ma per i circoli grillini che lo hanno presentato come una sorta di rifondatore in grado di calamitare consensi anche da settori della sinistra, è stata un'uscita spiazzante. E promette di esserlo anche per quegli esponenti del Partito democratico che hanno scommesso sull'alleanza col Movimento contiano; e che continuano a sostenere il governo di Mario Draghi con una vistosa nostalgia per il precedente. Tanto più che l'ex premier aveva appena proclamato, nel suo pellegrinaggio a caccia di voti, «molta affinità» col partito di Enrico Letta; e invitato a «sfruttare questa sinergia» grazie a un «dialogo intenso». Già qualche giorno fa Conte aveva fatto capire di volersi smarcare da un voto negativo per il M5S nelle grandi città. Precisazione giustificata, visto che è appena arrivato; e comprensibile, per i timori di una disfatta del Movimento.
E negli ultimi tempi ha anche abbozzato un profilo diverso del grillismo, scusandosi con Giorgia Meloni, leader di FdI, per gli attacchi sguaiati di alcuni esponenti dei Cinque Stelle: una scelta che fa pensare alla volontà di costruire un profilo meno estremista, dandosi una prospettiva almeno di mesi.
Le parole pronunciate ieri, però, hanno rischiato di apparire uno strappo: non si sa quanto studiato o involontario. L'impressione è che lo sfogo sia andato oltre le intenzioni del capo grillino; che si era lasciato andare a qualche affermazione di troppo e di sbagliato. Non a caso, poche ore dopo ha tentato di correggere il tiro. Il mio è «un impegno enorme che richiede un grande e costante sforzo fisico. Ed è questo che volevo dire, non che sono stanco. C'è tanto entusiasmo, voglia di lavorare per il Paese e lo faremo a lungo». Evidentemente, si è accorto che aveva usato parole azzardate. Anche perché aprendo alla possibilità che «qualcuno più bravo di me» prenda il suo posto, ha di fatto gettato il seme della precarietà sia sulla propria leadership, sia sul futuro del M5S.
E ha ridato fiato alle voci di una contrapposizione col ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che si preparerebbe a uno scontro se il voto di ottobre andrà male. Comunque sia, il rischio è che l'uscita di Conte confermi quanto i vertici delle forze che sostengono Draghi siano solo in apparenza stabilizzati. Il dettaglio che si tratti del capo della forza di maggioranza relativa rende il futuro del grillismo ancora più imprevedibile.
IL BANDOLERO STANCO
Simone Canettieri per il Foglio
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La sensazione è che Conte non controlli bene la macchina del Movimento. Non ancora. E' quasi sempre solo. Ha pochissimo staff intorno, e si vede. Rocco Casalino è costretto a seguirlo a distanza: formalmente lavora per i gruppi parlamentari del M5s. L'agenda degli appuntamenti elettorali sarebbe nelle mani del caposcorta dell'ex premier. Poi c'è la linea politica. Conte gira l'italia per le amministrative e dice sempre due cose. Se va in un comune dove il M5s si candida da solo assicura che "la tornata elettorale non sarà significativa per il nuovo corso del partito" ( tutte le volte che Virginia Raggi legge queste dichiarazioni scuote la testa). Se invece Conte si trova in un posto dove c'è l'alleanza rossogialla, come ieri a Bologna, si gasa.
Uno smagato parlamentare grillino: "Lavora per il Pd perché spera di essere il futuro candidato premier della coalizione". L'uomo delle mediazioni "salvo intese" fatica, suda, sembra arrancare. Non è una cattiveria. E' lui ad ammetterlo. Ieri comizio a Finale Emilia: "Questo è un impegno stressantissimo, una faticaccia enorme, non credo che la potrò reggere fisicamente a lungo". Conte è stato eletto presidente del M5s lo scorso 6 agosto. La frase di Conte ha gettato nello sconforto il Movimento. E c'è già chi lo chiama "il nostro bandolero stanco".
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Forse non vede l'ora di ritornare a Roma ( sabato e domenica sarà in Piemonte e in Liguria) dove è atteso martedì. La mattina uscirà di nuovo con Raggi, il pomeriggio dovrebbe incontrare il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ( che diceva di aver "convo - cato" dopo le frasi sul nucleare e sugli ambientalisti radical chic). Il brutto è che a Roma lo attende una situazione esplosiva. Non riesce a cambiare il capogruppo alla Camera Davide Crippa, in molti non versano parte dello stipendio per il nuovo progetto, deve pensare alla riorganizzazione del Movimento e accontentare tutti ( ha pensato a una pletora di vicepresidenti). Sapendo poi che c'è sempre uno che sta zitto e lo osserva. E che mette su un sorrisetto mentre cammina tra i marmi della Farnesina: si chiama Luigi Di Maio. Ora come non dare ragione a Conte, il bandolero stanco?