“PIÙ CHE UN GRUPPO MISTO, È UN FRITTO MISTO” – RONCONE INFILA LA PENNA TRA LA FAUNA PARLAMENTARE DEI PARTITINI, CHE SARÀ DECISIVA NELL’ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO: “PESCI PICCOLI E MOLLUSCHI, ESPULSI, FURBACCHIONI, TRADITORI. QUA E LÀ, QUALCHE VECCHIA SPIGOLA SOPRAVVISSUTA” – IL “RESPONSABILE” CIAMPOLILLO, LUPI, GIARRUSSO, LA NO-VAX CUNIAL E IL SEMPREVERDE TABACCI: “TUTTI HANNO RICOMINCIATO A PRESTARE GRANDE ATTENZIONE ALLA SUA VOCE VELATA. SE LI RITROVA ADDOSSO GONFI DI ANSIA: ‘BRUNO, QUANDO SARÀ IL MOMENTO, CI DICI TU COSA DOBBIAMO FARE, EH?’”
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Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”
Non è un’ideona. Ma è chiaro che un pezzo così, prima o poi, andava scritto.
Del resto: pure una lucertola capisce che il più numeroso Gruppo Misto nella storia della Repubblica — 66 deputati e 48 senatori: 114 in totale, quarto gruppo parlamentare — rischia di condizionare seriamente la prossima elezione del nuovo capo dello Stato.
Anche perché: più che un Gruppo Misto, è un fritto misto. Molta paranza politica, pesci piccoli e molluschi, espulsi, furbacchioni, traditori. Qua e là, qualche vecchia spigola sopravvissuta (le metafore sono sempre abbastanza odiose: però, certe volte, aiutano).
Copio un po’ di definizioni già uscite su altri giornali: partitone centrista; battaglione sinistrese-destrorso-grillesco-sudtirolese-pampero; tonnara; ultima legione; mucchio selvaggio.
Ci si porta un po’ avanti. Per adesso, paiono solo parecchio preoccupati: sanno che se Mario Draghi finisse al Quirinale, bisognerebbe trovare un suo sostituto a Palazzo Chigi; il che implicherebbe inevitabili fibrillazioni governative, rischio elezioni e quindi, in prospettiva, la concreta necessità, per la maggior parte di loro, di trovarsi un lavoro fuori dal Parlamento. Non sono pochi quelli che, perciò, auspicano soluzioni «conservative».
Qualche telefonata, chiacchiere di corridoio, un paio di caffè nei bar dove fanno flanella: li vedi che fiutano l’aria, che cercano di capire su che scena stanno per finire — tutti, tranne il senatore Lello Ciampolillo , che se ne frega: lui deciderà un secondo prima, in scivolata, come l’ultima volta che il suo voto contò qualcosa, e la presidenza di Palazzo Madama fu costretta a consultare la Var (sembra una battuta, ma — purtroppo — andò davvero così).
Poi c’è Maurizio Lupi (molti cronisti parlamentari andavano alle medie, quando lui era già deputato): Lupi sta brigando da giorni, vede intrighi e possibilità di accordi che agli altri sfuggono, ma seguirlo è inutile, perché ti volti ed è già sparito.
Intanto, siccome sono le tre del pomeriggio, Bruno Tabacci risale via degli Uffici del Vicario con lo sciarpone nero, nero come lo zuccotto, e le sue guance rossastre, la sua aria curiale da democristiano di provincia.
È diretto a Palazzo Chigi, dove ricopre il ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio: Tabacci è uno dei pochissimi a sapere come si convince un collega eventualmente riottoso e a poter vantare un minimo di consuetudine con Draghi; per questo, tutti hanno ricominciato a prestare grande attenzione alla sua voce velata. Se li ritrova addosso gonfi di ansia: «Bruno, che sai?». «Bruno, quando sarà il momento, ci dici tu cosa dobbiamo fare, eh?».
Chi si agita, e chi aspetta.
Chi è quello con le mani in tasca giù nel cortiletto di Montecitorio?
Nicola Acunzo di anni 45, eletto con i 5 Stelle, fuoriuscito per non aver restituito parte dello stipendio e di professione incerta: nel senso che un po’ fa l’attore (nella serie tivù di Rai 1, Il commissario Ricciardi) e un po’ il deputato.
Come voterà uno così quando arriverà il momento? E quale sarà la linea adottata dal gruppuscolo di «Alternativa c’è», 13 deputati e 6 senatori, tutti ex grillini, che hanno in Alessandro Di Battista (Santo Cielo…), il loro ideologo?
A proposito: ecco due di loro. Raphael Raduzzi, trent’anni, talento purissimo: voleva raccomandare ai suoi compaesani di Cadoneghe, nel Padovano, il candidato sindaco a 5 Stelle, ma le duecento lettere sono invece finite ad altrettante famiglie di Codogné, in provincia di Treviso. E laggiù ecco anche Alvise Maniero che — lasciando il Movimento — paragonò Davide Casaleggio a Kim Jong-un.
I personaggi sono questi.
Come quell’altra fuoriclasse di Sara Cunial, che pretendeva di entrare alla Camera senza green pass.
«Bisogna ammettere che siamo un gruppone piuttosto variegato…», dice al cellulare con la sua solita aria da finto mite l’ex senatore grillino Mario Michele Giarrusso, che evocò i genitori di Matteo Renzi agli arresti domiciliari incrociando i polsi, mimando le manette, e profanando così il meraviglioso cortile seicentesco di Sant’Ivo alla Sapienza, sede del tribunale dei ministri (con Renzi figlio, fu meno clemente: «Sarebbe da impiccare», disse a La Zanzara su Radio24).
Giarrusso adesso sta con Italexit, il partitino fondato da Gianluigi Paragone (ex cantante rock, ex leghista, ex grillino, che s’imbavaglia nei talk: patetica imitazione di Marco Pannella, un gigante, che già lo faceva quarant’anni fa): «Di due cose sono sicuro. Primo: è in atto una vergognosa campagna acquisti di Berlusconi. Secondo: Draghi vìola, ogni giorno, la Costituzione… Pronto? Mi sente?».
Forse è meglio sentirne uno autorevole.
Telefonare a Paolo Romani, lungo pezzo di vita dentro FI, ora con Coraggio Italia di Toti&Brugnaro, ma al Senato ancora capogruppo di Idea-Cambiamo!-Europeisti.
«Leggiamo insieme com’è la situazione qui al Senato… De Petris, verde. Bonino, vabbé. Abate e Angrisani sono con Alternativa c’è. Ciampolillo è Ciampolillo. Poi c’è il comandante De Falco, quello di salga a bordo cazzo… Errani di Liberi e Uguali. Pietro Grasso, si sa. Grimani è appena uscito da Italia viva…».
Questo elenco per dire?
«Che, sulla carta, il centrodestra ha qualche voto in più del centrosinistra. Ma che qui, a Palazzo Madama, a parte noi, la Sandra Lonardo, il Misto è molto orientato, molto di sinistra».
Scenario.
«Se Berlusconi pensa di andare al Quirinale rubacchiando voti, sbaglia. Deve parlare con chi comanda. Io lo voterei certamente, non fosse altro per la riconoscenza che gli devo. Quanto a Draghi: con il suo prestigio assoluto, mi sembra molto più utile che resti a Palazzo Chigi. Però bisogna capire cos’ha in testa lui».
Sono le otto di sera. L’idea era quella di sentire anche il senatore Emanuele Dessì, l’ex grillino che, in una botta di vita, ha aderito al Partito comunista.
Ma è tardi, sarebbe una roba frettolosa. Sprecata. Facciamo un’altra volta. Tanto qui il circo ha appena montato il tendone.