“QUESTO NEGOZIATO DEVE PASSARE TRA DI NOI, ATTRAVERSO UN SOLO CANALE” – MASSIMO D’ALEMA VOLEVA ESCLUDERE IL GOVERNO DALLA SUA TRATTATIVA PER LA VENDITA DI ARMI ALLA COLOMBIA - “BAFFINO” STAVA SEGUENDO CANALI DIPLOMATICI NON UFFICIALI E SI PRESENTAVA “NELLA VESTE DI RAPPRESENTANTE DI LEONARDO” – L’EX PREMIER NON VOLEVA CHE CI FOSSE UN NEGOZIATO GOVERNO-GOVERNO (G2G) PERCHÉ LA PROCEDURA UFFICIALE LO AVREBBE TAGLIATO FUORI DALL’AFFARE – LA FARNESINA: “NON SAPEVAMO DEI COLLOQUI CON GLI AMBASCIATORI”
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Giacomo Amadori per “La Verità”
Come abbiamo rivelato ieri l'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema il 19 gennaio 2022 contattò l'ambasciatore italiano a Bogotà, invitandolo a dare udienza all'«amico» plurimputato Giancarlo Mazzotta, impegnato nel «rappresentare», apparentemente senza alcun mandato, Leonardo e Fincantieri in un affare da 4 miliardi di euro con 80 milioni di possibili provvigioni.
Ma l'ex rappresentante politico delle feluche italiche non ha bussato solo alla porta di Amaduzzi per portare avanti la sua trattativa parallela per gli armamenti da esportare in Colombia.
E ha tentato la via della diplomazia per tagliare fuori come interlocutore dell'affare il governo italiano.
Per esempio, come vedremo, ha cercato di portare dalla sua parte Gloria Isabel Ramirez Rios, ambasciatrice colombiana in Italia.
Il 10 febbraio l'ex primo ministro confida al paramilitare pentito Edgar Ignacio Fierro Florez: «Anche lei si sta occupando di questo problema. E lei sostiene che ci vuole un accordo tra i due governi, senza altri mediatori».
Una visione opposta a quella di D'Alema. Che il 9 febbraio aveva provato a contattare l'ambasciatrice, senza fortuna, per cercare una sponda.
Il giorno successivo aveva provato a convincere Fierro, che considerava in grado di incidere sul governo colombiano: «Questo negoziato deve passare tra di noi, attraverso un solo canale» aveva sostenuto.
Cioè saltando il ministro della Difesa. L'11 febbraio, finalmente, la diplomatica aveva incontrato l'ex premier per affrontare la questione.
Nei giorni scorsi il sottosegretario Giorgio Mulè aveva ricostruito quell'incontro con noi: «A metà febbraio l'ambasciatrice della Colombia mi informa della visita ricevuta da D'Alema nella veste di rappresentante di Leonardo».
Dunque, anche con la diplomatica, l'ex premier aveva speso il nome dell'azienda italiana. Una versione che la Ramirez Rios non ha mai smentito.
Dopo l'incontro dell'11 febbraio D'Alema invia il suo uomo di fiducia, il plurimputato Mazzotta, nell'ufficio di Mulé, per fargli sapere di essere pronto a un incontro pure con lui. Ottanta milioni di euro possono rendere meno indigesto qualche rospo da ingoiare. In sintesi l'ex ministro degli Esteri ha ritenuto, in considerazione del suo curriculum, di spendere le sue doti di mediatore con le feluche, prima in Colombia e poi a Roma, e persino con Mulè al solo scopo di non essere escluso dalla trattativa per gli armamenti.
Il motivo lo aveva spiegato sempre a Fierro: «Perché tutto questo negoziato deve passare tra di noi, attraverso un solo canale. Quindi, dobbiamo dare il senso che noi abbiamo rapporti, non soltanto con i militari e i funzionari, ma anche con il governo».
Nella telefonata intercontinentale D'Alema scopre gli assi che si era giocato con l'ambasciatrice: «Io le ho spiegato che, diciamo, da una parte è lo Stato colombiano, è il governo, che compra, ma in Italia non è il governo che vende.
Sono due società quotate, non è il governo, quindi non ci può essere un contratto tra due governi». Quindi niente governo-governo (g2g), una procedura che lo avrebbe tagliato fuori dall'affare.
A questo punto D'Alema definisce la questione «delicata». Con questa giustificazione: «Noi rischiamo di avere delle interferenze in questo negoziato che non è utile che ci siano. Noi abbiamo interesse che il negoziato passi dalle società italiane, attraverso Robert Allen e dall'altra parte le autorità colombiane, senza interferenze».
Insomma la diplomazia parallela dell'ex segretario del Pds puntava a escludere il governo dalla contrattazione. Ma se D'Alema si è sparato le sue cartucce da ex ministro, le persone che sono state da lui contattate hanno avvertito i loro superiori di quell'incauta intromissione?
L'ambasciatore Amaduzzi ha rivelato di aver allertato Leonardo e ha aggiunto che «non ci sono state reazioni ufficiali». Poi ha provato a indovinare quali fossero le nostre fonti: «Io penso di sapere benissimo con chi lei ha parlato [.] intendo al ministero degli Esteri». E perché Amaduzzi sospettava che avessimo tratto la notizia dentro alla Farnesina?
Forse aveva comunicato anche al suo dicastero di riferimento, oltre che al collega ambasciatore Sem Fabrizi, direttore delle relazioni internazionali di Leonardo, la notizia della chiamata dell'ex capo del Copasir?
Ma ieri dalla segreteria della Direzione generale per la diplomazia pubblica e culturale ci hanno inviato questa risposta: «L'ambasciatore Amaduzzi non ha informato la Farnesina né della telefonata del 19 gennaio con il presidente D'Alema, né dell'incontro del 25 gennaio con Giancarlo Mazzotta.
Da quanto risulta alla Farnesina, ha avuto unicamente un contatto telefonico con Leonardo, il 25 gennaio stesso, al termine dell'incontro con Mazzotta».
Ma a proposito di mancate comunicazioni, anche il ministro plenipotenziario Fabrizi, pur avvertito da Amaduzzi, non avrebbe fiatato con nessuno. Neppure quando ha pranzato con Mulè, con l'ambasciatrice colombiana e rispettivi staff il 2 febbraio scorso: «I nuovi particolari di questa storia che somiglia sempre più a un'operetta li apprendo da La Verità», dichiara sconsolato l'uomo che con il suo intervento ha mandato gambe all'aria la trattativa di D'Alema & C..
E, a domanda del nostro giornale, aggiunge: «Non so che cosa si siano detti l'ambasciatore Amaduzzi e Sem Fabrizi, direttore delle relazioni Internazionali di Leonardo.
Di sicuro, quando il 2 febbraio ci troviamo a Roma a una colazione di lavoro con Fabrizi e l'ambasciatrice di Colombia in Italia per pianificare le azioni da intraprendere con il governo colombiano non accenna a nulla».
Vuol dire che Fabrizi non le disse alcunché a proposito di questa iniziativa di Mazzotta o comunque di quanto gli avrebbe riferito l'ambasciatore Amaduzzi dopo l'incontro del 25 gennaio a Bogotà? «Nulla di nulla. Glielo ripeto: nessun dirigente di Leonardo mi riferì mai di questa trattativa parallela. Fui io a metà febbraio a chiederne conto al direttore generale di Leonardo (Luca Valerio Cioffi, ndr) dopo il colloquio di D'Alema con l'ambasciatrice colombiana a Roma».
In quel momento Mulè e l'ambasciatrice non avevano nemmeno il sentore della trattativa in corso portata avanti dai D'Alema boys, ma stavano preparando una call con il viceministro colombiano alla Difesa per favorire la buona riuscita di una vendita di caccia M-346 all'aviazione del Paese sudamericano. Un dialogo g2g (quello che Baffino voleva affossare) per portare a casa un importante appalto per un'azienda strategica per l'Italia.
Emergono intanto nuove indiscrezioni sui motivi che avrebbero portato all'aborto dell'accordo tra Leonardo e la società Robert Allen Law (una partnership statunitense), lo studio legale individuato dagli uomini di D'Alema per l'incasso delle provvigioni. Dopo la firma del «non disclosure agreement», un accordo di riservatezza, sono iniziati tutti gli accertamenti per verificare che il fornitore avesse le caratteristiche idonee per firmare un «contratto di supporto e assistenza per la promozione delle vendite».
La valutazione è andata avanti di pari passo alla stesura della bozza di accordo per le provvigioni che si è arenata sulle clausole di pagamento. I primi contrasti sono nati sulle condizioni di pagamento delle fee: i mediatori avrebbero incassato le provvigioni solo di fronte a una commessa non inferiore ai 350 milioni di euro.
Diversità di vedute anche sul saldo a 90 giorni e l'importo del forfait garantito anche in caso di mancato superamento del cap da 350 milioni. La cifra proposta era di 400.000 euro, considerati dai broker insufficienti.
Per questo, anche se l'ufficio legale aveva già approntato il contratto il 25 gennaio, non è stato possibile firmarlo prima degli scoop della Verità sulla vicenda che hanno mandato in fumo l'accordo. Insomma per gli americani l'accordo avrebbe avuto clausole troppo restrittive.
Ma torniamo da dove siamo partiti. Alla Farnesina. Per giorni abbiamo provato a sapere se, come prevede la legge, i negoziati con le forze armate colombiane da parte di Leonardo e Fincantieri fossero stati ufficializzati con la comunicazione delle trattative da parte delle aziende all'Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama), che si trova presso il ministero degli Esteri.
La risposta che abbiamo ricevuto è stata molto fumosa: «La legge 185/1990 prevede che le aziende comunichino l'inizio delle trattative per la vendita di materiale d'armamento senza indicare con precisione il momento in cui debbono farlo. La Uama richiede comunque che ciò avvenga prima dell'eventuale firma del contratto».
Quindi è possibile avvertire la Uama dell'avvio di una concertazione quando praticamente è già conclusa? Dall'Unità ci hanno inviato un elenco con le comunicazioni di inizio trattative con la Colombia tra il 2017 e il 2020. Di quelle del 2021, però, non c'è traccia. In tutto sono state autorizzate 13 operazioni per la vendita di armi leggere, munizioni e apparecchiature elettroniche per un valore di 1,1 milioni.
Ma nessuno pare abbia avvertito il ministero che Leonardo e Fincantieri avevano messo in campo, più o meno ufficialmente, i D'Alema boys per tentare di portare a casa 4 miliardi di euro di contratti.