“L’EUROPA CI HA IMBAMBOLATO” - GIULIO SAPELLI ATTACCA: “LA PRIMA COSA DA FARE PER RINEGOZIARE È ABOLIRE IL FISCAL COMPACT. OVVIAMENTE PER FARLO OCCORRE ANCHE UN AIUTO POLITICO ESTERNO DAGLI STATI UNITI - IL MEMORANDUM CON LA CINA? TRA I RESPONSABILI CI SONO MOLTI IGNORANTI. MA CI SONO ANCHE ALCUNI CHE HANNO STUDIATO E POI SUBITO LA MORAL SUASION DELLA CINA. SA, I PROFESSORI UNIVERSITARI SONO SPESSO VANAGLORIOSI… - TRIA? SERVIREBBE PIU’ CORAGGIO. MOAVERO? E’ UN FUNZIONARIO. LA SUA ASSENZA SULLA VICENDA LIBICA SCONCERTA…”
-Daniele Capezzone per “la Verità”
Giulio Sapelli, economista e storico dell' economia, osservatore dotato di speciale autorevolezza, ha accettato di ragionare a tutto campo con La Verità, con uno sguardo all' Italia e uno al quadro geopolitico globale.
Professore, è - per così dire - tornata la politica internazionale. Non le pare che troppi, e da troppi anni, si fossero invece abituati a valutare le cose italiane solo in termini provinciali e condominiali?
«Beh sì Dopo la scomparsa di Aldo Moro, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, è invalsa l'abitudine, anzi l' idea, che la politica internazionale dipendesse da quella interna, mentre è vero esattamente il contrario. In una nazione come la nostra, che si fa purtroppo fatica a chiamare nazione - chiamiamola "insediamento umano territorialmente stabile" - c' è una difficoltà a identificare quello che Dino Grandi chiamava "interesse prevalente". Questa difficoltà e questa dimenticanza producono conseguenze e costi drammatici».
Il che poi ha significato per anni stare regolarmente a ruota di Parigi e Berlino, diciamolo
«Ah, questo esito è stato accentuato dalla tendenza, propria già di molti padri costituenti, a un atlantismo troppo tiepido. Per paradosso, i comunisti togliattiani, nel loro cinico ma realistico punto di vista, erano perfino più atlantisti degli altri. Pensi al Togliatti che dice: "Mica vogliamo fare la fine della Grecia". Invece c' era un antiatlantismo dossettiano, lapiriano (per carità, persone di alto valore spirituale), e poi di tanti altri dc ed ex dc, che ci ha via via portato a subire un pilota automatico franco-tedesco»
Adesso improvvisamente - che scoperta! - alcuni si sono accorti che Emmanuel Macron persegue il suo interesse nazionale in Libia
«In Libia concorrono una serie di fattori: la Francia, gli Stati del Golfo In particolare i sauditi che in qualche misura "si vendicano" contro i libici e dicono: "Ora comandiamo noi". E poi la partita giocata dagli Usa e da tutti quelli che temono un ruolo della Russia nel Mediterraneo E rischiamo di andarci di mezzo noi. Nonostante la nostra intelligence. Nonostante che la nostra Folgore si copra di onore con la lotta contro l'Isis. Nonostante l'Eni, che è una realtà "unificante": il rapporto con l'Eni è forse l' unica cosa che tutte le tribù libiche condividano».
Ci aiuti a capire. Questo spirito gregario della classe dirigente italiana rispetto a Germania e Francia è stato solo frutto di miopia o di una sorta di «acquisizione» morale (aggiungo morale per evitare querele)?
«È purtroppo un carattere nazionale, al di là delle influenze economiche. Lo diceva tragicamente Giacomo Leopardi: "Gli italiani non hanno virtù, ma solo usi e costumi". È un'attitudine nazionale: una "borghesia vendedora", una disposizione alla svendita.
Pensi al concetto di "vincolo esterno" esaltato da tanti per decenni: se l' immagina un francese o un inglese che si fanno imporre un vincolo esterno? Ovviamente no».
Ora un po' tutti (lo ha fatto Giovanni Tria in commissione Finanze al Senato, salvo poi pentirsene, e lo fece l' ex ministro Fabrizio Saccomanni un anno e mezzo fa davanti alla commissione Banche, salvo ora ridimensionare) ammettono che su bail in e unione bancaria la Germania ci ha politicamente umiliato e ricattato
«È stato uno dei molti casi in Europa di squilibrio di potere. Vede, tanti hanno la strana idea che l'Unione europea esista. Ma in realtà un'Unione non esiste. Una forma di entente cordiale era possibile prima, quando le nazioni si mettevano d'accordo. Ma la gabbia tecnocratica costruita intorno alla moneta unica a cambio fisso ha cambiato tutto: l'Ue è diventata un gioco a somma zero, in cui qualcuno perde e qualcuno guadagna È chiaro, no?».
Eppure c'è ancora chi insiste dicendo: «Ci vuole più Europa». La medicina ha peggiorato le condizioni del paziente? Allora dategliene di più
«Il punto è che non c'è oggi alcuna Europa sociale. Ma come? Siamo il continente che ha inventato il welfare, il continente del piano Beveridge, il continente della Rerum Novarum Eppure oggi non c'è nulla di sociale. E poi ci raccontano la favoletta del Manifesto di Ventotene, che in realtà era un programma per una sorta di partito socialista europeo di radici trotskiste».
Ci hanno imbambolato, professore?
«Sì, ci hanno imbambolato. E sa che le dico? Che molti profeti di questa "religione europeista" sono in realtà "cardinali atei". Non ci credono neanche loro Alcuni sì, ma tanti no».
È possibile secondo lei lavorare a uno schema «meno Europa», cioè trovare alleati per una rinegoziazione delle regole Ue, all' insegna di un maggiore riconoscimento delle diversità nazionali?
«È difficile, è un' opera lunghissima. È stata costruita una macchina, non a caso unica al mondo, difficilissima da smontare. Non ha una costituzione; non è uno Stato di diritto; è uno stato giurisprudenziale Funziona con sentenze della Corte di giustizia e con direttive (non con leggi). Bisognerebbe, al posto del pilota automatico, introdurre dei segmenti virtuosi di politica economica nazionale: ma se non hai una costituzione, come si fa? Gli unici che potrebbero iniziare lo smontaggio - per paradosso - sono i tedeschi, che hanno plasmato la Bce sul modello della Bundesbank. Poi gli americani hanno voluto lì un loro intelligente rappresentante come Mario Draghi, che ha poco a che fare con l' Italia».
Cosa pensa di un meccanismo per rendere più stringente la possibilità per il Parlamento italiano di respingere (o di non recepire pressoché automaticamente) ciò che arriva da Bruxelles?
«È utile. Ma la prima cosa da fare per rinegoziare è abolire il fiscal compact. Ovviamente per farlo occorre anche un aiuto politico esterno dagli Stati Uniti, superando il tiepido atlantismo di cui parlavo prima».
Ma allora era proprio necessario far arrabbiare gli Stati Uniti firmando il memorandum con la Cina?
«Eh, amico mio... Tra i responsabili di quella scelta ci sono molti ignoranti: gente che si presenta all' esame senza aver studiato. Poi, tra i favorevoli, ci sono anche alcuni che invece hanno studiato: questi ultimi hanno subito la moral suasion della Cina. Sa, i professori universitari sono spesso vanagloriosi C'è la boria dei dotti: ti chiamano a Pechino, ti mettono in un albergo di lusso. Non è un fatto di soldi E alla fine si è arrivati a questo grande sfregio agli Usa».
I leader politici italiani le sembrano consapevoli delle partite da giocare prossimamente, e del rapporto da recuperare con Washington?
«Se parliamo di leader nel senso in cui avrebbero potuto parlare di élite Vilfredo Pareto o Gaetano Mosca, gli unici esistenti sono quelli della Lega, o individualità singole nelle vecchie forze politiche. Gli altri non sono nemmeno classe politica. Per definire i 5 stelle e Luigi Di Maio, senza offesa, bisognerebbe inventare una nuova categoria Mi capitò di parlare di "popolo degli abissi": e mi sbagliavo. Poi mi capitò di parlare di "popolo degli ultimi": e mi sbagliavo. Forse oggi avrei la definizione vera: ma è meglio non dirla».
Com' è potuto arrivare al vertice dell' Ue un uomo come Jean Claude Juncker? La scorsa settimana stava dando fuoco alla First Lady del Rwanda
«Guardi che abbiamo avuto molto di peggio: il portoghese José Barroso, in gioventù un maoista portoghese Ma si rende conto? Juncker in fondo è un vecchio democristiano lussemburghese in rapporto con l'alta finanza. Non è un semplicione: certo, poi gli anni e gli agi di Bruxelles E stendiamo un velo pietoso sui commissari».
Come andò la vicenda della sua possibile candidatura a premier? Cosa non scattò, ripensandoci un anno dopo? È evidente che lei non si sarebbe fatto imporre un ministro dell' Economia e uno degli Esteri
«Infatti fu esattamente per questo che non lo feci. Avevo un rapporto personale e direi affettivo con uomini della Lega. Anni prima ero stato amico di uno dei loro riferimenti intellettuali, Gianfranco Miglio In fondo il loro obiettivo era evitare che Di Maio diventasse primo ministro».
Ha la sensazione che alcuni ministri (Tria, Moavero) lavorino pensando più a Bruxelles e al Quirinale che alla loro maggioranza politica?
«Non voglio dare giudizi personali. Penso che Tria si stia comportando da quel galantuomo che è. Però avrebbe dovuto avere più coraggio. E in più se fai il professore, devi farlo fino in fondo. Esempio: la flat tax è una tassa sulla produzione, mentre l' Iva è una tassa sul consumo. Non si può dire che recuperi di qua ciò che perdi di là».
Moavero invece?
«Si comporta per quel che è sempre stato: un funzionario. Senza offesa, eh Anzi, è un compito difficile in uno Stato che per tanti versi non esiste Certo, la sua assenza sulla vicenda libica sconcerta. Capisco che a volte occorra lavorare in silenzio, ma un ministro degli Esteri deve anche far sentire la sua voce».
Ma regge il governo?
«Siamo al dilemma del prigioniero Non è un gioco a somma zero: le forze che lo compongono, pur così diverse, hanno interesse a rimanere. Un' eventuale crisi non dipenderà dall' economia. Siamo in un momento in cui gli italiani vivono angoscia e frustrazione, insieme a una terribile rabbia. Se cadrà, sarà per una buccia di banana, per un imprevisto, per un "incidente di Sarajevo". Non credo a teorie cospirative, all' esistenza di "piani". Ci sono troppi homines novi, tranne quelli della Lega. Può scattare qualche "nesso termodinamico" non previsto».