“E’ UN PROCESSO POLITICO A 5 GIORNI DAL VOTO" – SALVINI PARLA DI GIUSTIZIA A OROLOGERIA (IN EFFETTI, LA PERQUISIZIONE E’ AVVENUTA A META’ AGOSTO, IL CASO E’ SCOPPIATO NELLA SETTIMANA CHE PRECEDE IL VOTO) – “È UN ATTACCO A ME E ALLA LEGA BASATO SULL'EVENTUALE ERRORE PRIVATO DI UNA PERSONA” – NELL’INNER CIRCLE DI SALVINI SI TEME LA TENAGLIA GIUDIZIARIA E POLITICA, E PER GIORGETTI CIRCOLA GIÀ IL SOPRANNOME DI “GIANFRANCO FINI”…
-Alberto Mattioli e Chiara Baldi per "la Stampa"
Altro che «di Lega ce n'è una sola». Ormai è evidente che non soltanto sono due, ma anche che polemizzano fra loro. In tournée elettorale a Milano, fra la moschea abusiva e il quartiere degradato, Matteo Salvini, molto nervoso, passa al contrattacco. Sul caso Morisi, parla di «mostro sbattuto in prima pagina. È un attacco gratuito, e a cinque giorni dal voto. Si sta imbastendo un processo politico a me e alla Lega basato sull'eventuale errore privato di una persona».
E poi, senza nominarlo ma a muso duro, risponde a Giancarlo Giorgetti che nell'intervista alla Stampa aveva fatto un endorsement per Carlo Calenda a Roma: «Io penso che a Roma Michetti abbia la competenza e la preparazione giusta per ripartire dalle periferie, non dal salotto di Calenda». No anche all'idea di Giorgetti di mandare Draghi al Quirinale: «A differenza di altri, io non tiro per la giacchetta né Draghi né Mattarella. È una mancanza di rispetto nei loro confronti».
E poi naturalmente fa dell'ottimismo obbligato in vista delle amministrative, sulle quali invece le previsioni sono pessime: «Finirà cinque a zero, se va bene quattro a uno», prevedono nel partito. Già, la Lega. È sotto choc, perché l'ultimo partito leninista non è abituato al pubblico deflagrare delle sue risse interne. L'ordine di scuderia è di non parlare con i giornalisti.
Ma fra loro i salviniani temono l'«accerchiamento», la tenaglia giudiziaria e politica, e per Giorgetti circola già il soprannome di «Gianfranco Fini». Anzi, c'è proprio chi il paragone l'attribuisce allo stesso Salvini: «Giorgetti si è messo a fare il Fini della Lega», insomma sarebbe pronto a sacrificare il segretario populista ai poteri forti.
All'epoca, fra Fini e Berlsconi finì malissimo, con il «Che fai, mi cacci?» del primo al secondo e poi sì, Fini fu cacciato davvero. Nella Lega, nessuno pensa a un finale così drammatico, anche se descrivono Salvini ferito, anche personalmente, dalle prese di posizione del ministro. Insomma, potrebbe essere lui a passare al contrattacco e a isolare chi gli fa la fronda. «Più mi attaccano e più mi danno forza. Io non mollo e non mollerò mai», ripete Salvini, ed è chiaro che non si riferisce soltanto agli avversari esterni.
«Scusate, ma quelli dell'"avete tradito, siete parte del sistema" si stanno rendendo conto di cosa stanno facendo a Salvini o no? Altro che parte del sistema», tuona su Twitter Claudio Borghi. Dall'altra parte, persone vicine a Giorgetti spiegano che il ministro non aveva idea che stesse per esplodere la vicenda di Morisi e che, se l'avesse saputo, mai avrebbe rilasciato un'intervista così incendiaria. In realtà, e questo nella Lega lo sanno tutti, al momento un leader di ricambio non c'è.
«Benissimo i contatti con il mondo del potere, le banche, l'imprenditoria - spiega un deputato salviniano con chiaro riferimento a Giorgetti - ma alla fine chi prende i voti è Matteo». «La Lega? Per novantanove militanti su cento ha il volto di Salvini», diceva ieri l'altro il governatore della Lombardia, Attilio Fontana. E se il segretario torna a escludere un congresso, una strada per garantire maggiore collegialità potrebbe essere quella di una segreteria politica ristretta, non più di cinque o sei persone, ma di peso, che condividano la responsabilità delle scelte, invece di quella pletorica di una trentina di membri che c'è adesso. In attesa di sviluppi, si apre però un nuovo fronte interno, stavolta fra Salvini e i governatori, in questi giorni molto attenti a non dire una parola di troppo, anzi a non dire nulla.
Oggetto del distinguo, macroscopico, l'aumento delle capienze, con percentuali diverse, deciso dal governo per musei, cinema, teatri e impianti sportivi. Per il leghista Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli e presidente della conferenza Stato-Regioni, «è una decisione equilibrata, che ridà ossigeno al mondo dello spettacolo e della cultura, coniugando le esigenze della ripresa con le regole basilari della prevenzione». Per il suo segretario, invece, non è affatto così.
«Cosa impedisce una riapertura al cento per cento con Green Pass e mascherine per cinema e teatri - sbotta Salvini -? Chiedetelo a chi dice di no, chiedetelo o a Draghi o a Speranza», e poi propone di «riaprire tutto per tutti», comprese le discoteche da sempre care al suo cuore. Insomma, anche sulla pista da ballo la Lega raddoppia.