“SE USIAMO TUTTI I SOLDI PER LA CRISI, NON RESTERÀ NULLA PER IL DOPO” – IL VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA FRANS TIMMERMANS: “STIAMO MUOVENDO UNA QUANTITÀ INCREDIBILE DI FONDI PER INVESTIMENTI. È UN FATTO UNICO CHE CAPITERÀ UNA VOLTA SOLA”. TRADOTTO: I SOLDI CI SONO, MA VANNO SPESI BENE: LO DICA AL GOVERNO ITALIANO, CHE HA FATTO UNA MANOVRONA SENZA UNO STRACCIO DI PIANO PER IL FUTURO...
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Marco Zatterin per “la Stampa”
«È il tempo di una nuova politica industriale europea», assicura Frans Timmermans dallo schermo del laptop che rivela una lunga barba bianca da lockdown. Si compiace per la quantità di mezzi finanziari che l' Europa e i suoi stati hanno messo in campo per cambiare la storiaccia del virus - «un' occasione unica!» -, ma invita a non perdere di vista gli obiettivi di rilancio economico, sociale e ambientale.
Anche lui immagina che gli impegni per le imprese vadano legati a programmi sostenibili, perché «se usiamo tutti i soldi per superare la crisi, non resterà nulla per il "dopo"». Teme le diseguaglianze accresciute dal virus e la deriva sovranista che portano con loro. «Il ritorno ai nazionalismi può essere più pericoloso delle difficoltà economiche», riflette. Per questo, gli pare che l' Unione non abbia scelta: deve essere rapida, rispettosa del pianeta e, soprattutto, solidale.
Ammette sorridendo di essere «stufo» del lavoro a distanza, il vicepresidente della Commissione Ue. «Le giornate scorrono davanti al computer», concede nel suo ottimo italiano, mai il tempo per «due parole con gli amici». Si fa serio quando riconosce di vedere «grandi pericoli» nella pandemia, ma «non pensate che abbia perso l' ottimismo, perché vedo anche le soluzioni e la possibilità di realizzarle». Diventerà nonno in agosto. Prima, spera che il ritorno alla normalità consenta una breve vacanza. «Siamo stati a Palermo in dicembre - racconta il socialista olandese -, la famiglia vuole tornare da voi». Conta di farcela. In treno, se possibile. Perché è un trasporto che «mi piace davvero». Oltretutto, è sostenibile.
A proposito, presidente. Piovono miliardi sull' economia europea e c' è chi invoca una condizionalità sostenibile per garantire l' ambiente e l' equilibrio sociale. E lei?
«Assolutamente sì. Occorre immaginare delle misure capaci di assicurare la sostenibilità. Stiamo muovendo una quantità incredibile di fondi per investimenti, certo necessari per superare la crisi. È un fatto unico nella nostra storia, qualcosa che capiterà una volta sola. Non possiamo dimenticare che stiamo caricando un peso rilevante sui nostri figli perché creiamo del debito che sarà noi per moltissimi anni».
E allora?
«È una questione di responsabilità. Creiamo debito mentre siamo nel mezzo di una rivoluzione industriale e anche di un cambiamento climatico evidente. È uno sforzo ineludibile, ma occorre avere in mente una società sostenibile: chi viene aiutato deve rispettare contribuire alla sostenibilità sociale e ambientale. In caso contrario, quando avremo speso e saremo oltre la crisi, non avremmo i mezzi per governare il cambiamento ambiente e tecnologico. Dobbiamo pensare al futuro. Se investiamo tutto sul "vecchio", non resterà nulla per il "futuro". Non si può fare. Non c' è scelta e abbiamo fretta».
A chi tocca la responsabilità dell' azione?
«Il Green New Deal e la rivoluzione digitale restano priorità della Commissione anche in questa drammatica fase. Lo abbiamo detto a tutti gli stati e la maggior parte è d' accordo. C' è una minoranza che ritiene il New Deal un lusso, non è una cosa ragionevole. Una nuova politica è nell' interesse di tutti. Gli stati devono fare la loro parte, spingendo le aziende a rispettare gli obiettivi comuni. Serve un progetto coerente, che segua gli stessi obiettivi ovunque, e pensi al clima e ai posti di lavoro che sono le urgenze più pressanti».
Il massiccio intervento pubblico propone un nuovo statalismo. Bene o male?
«La crisi ci ha insegnato che c' è bisogno dello stato, a livello nazionale come europeo, e ora abbiamo il sostegno finanziario che serve. A questo punto si impone l' esigenza di una nuova politica industriale, perché non è il mercato che fa tutto. Dobbiamo lavorare sulla resilienza, che è insufficiente, e sul fatto che siamo diventati troppo dipendenti da altri paesi. Mercoledì ho parlato,con tutti i capi dell' industria automobilistica, guidati da Michael Manley. Vivono tempi di grandi difficoltà e hanno bisogno dell' aiuto pubblico. Serve all' auto, come turismo e aviazione. Occorre una pianificazione pensata in modo democratico che impedisca a questi settori di fallire nel nome dell' interesse comune».
L' auto è un simbolo?
«E' un' industria che lega tutti i paesi. Non si costruisce una vettura in Germania senza l' Italia e viceversa. Se spacchiamo questo sistema, perdiamo posti di lavoro, perdiamo l' industria, perdiamo la capacità di competere»
Serve un grande concerto che dia luogo a una nuova politica industriale?
«Si. Ad ampio raggio. Dobbiamo chiederci ad esempio se abbiamo la fiscalità giusta? E perché i Big Tech pagano meno imposte. Era inaccettabile prima del virus, oggi lo è di più. Dobbiamo essere solidali, di nuovo. Sennò si rischia di tornare agli antagonismi del passato».
Intanto mascherine, guanti di plastica e barriere di plexiglas rischiano di creare ulteriore inquinamento.
«Dipende dal livello di organizzazione. La plastica monouso è indispensabile per proteggerci, ma dobbiamo riciclarla. In caso contrario, diventa un pericolo».
Questa crisi sta gonfiando le diseguaglianze. Dobbiamo essere allarmati?
«Purtroppo, si. Dobbiamo stare attenti a non ripetere gli errori di dieci anni fa. Tanti dicono che questo virus non discrimina perché possiamo ammalarci tutti. Non è vero. Se sei più anziano, o di costituzione non abbastanza forte, sei più vulnerabile. I ricchi sono più al sicuro dei poveri. E qui che nasce l' esigenza di solidarietà. Se non ora, quando?»
I russi non attendono altro, per dirne una.
«Angela Merkel ha ricordato che i metodi di Putin sono sempre gli stessi. L' Europa e la Russia hanno un concetto diverso di stabilità. Loro credono che, per essere più forti, debbano avere vicini di casa divisi e instabili. Noi pensiamo invece che la scelta sia esportare stabilità o importare instabilità. È una differenza quasi filosofica, e i russi praticano la stessa politica da secoli. Sperano nel caos europeo per rafforzarsi».
Viviamo la peggiore crisi dal 1929. Rischiamo di rivivere gli anni Trenta?
«Non necessariamente, non almeno dal punto di vista economico. Se saremo rapidi e solidali, possiamo farcela, ne usciremo bene. Se non lo facciamo, è possibile un ritorno diffuso ai nazionalismi. Allora dobbiamo evitare la fine della fiducia fra i paesi europei, come avvenne dopo il 2008. Va scongiurato un dibattito come quello fra Olanda e Italia, in cui uno dice "non fate i compiti" e l' altro "non siete solidali". È una escalation nociva in cui perdiamo tutti. Non lo capiamo, cadremo. E allora non potremo nemmeno essere sicuri della sopravvivenza dell' Unione europea».