“SIAMO PRONTI A VOTARE CONTRO, COSTI QUEL CHE COSTI” - UNA PATTUGLIA DI SENATORI GRILLINI, CAPEGGIATI DA BARBARA LEZZI, E’ PRONTA A SABOTARE QUALSIASI IPOTESI DI SCUDO PENALE PER ARCELOR MITTAL - DI MAIO NON RIESCE PIÙ A CONTROLLARE I GRUPPI PARLAMENTARI: ALLA CAMERA SI STA CONSUMANDO UNA LOTTA INTERNA PER LA SCELTA DEL NUOVO CAPOGRUPPO - GLI INSIDER GRILLINI: “SULL'ILVA CHI RISCHIA DI NON REGGERE NON È SOLO IL GOVERNO, MA LO STESSO LUIGI…”
-S. Can. per “il Messaggero”
La bomba dell'ex Ilva irrompe nel M5S. A complicare ancora di più la tenuta dei gruppi pentastellati ora c'è la questione dell'ex acciaierie. Dal Senato, sempre più una trincea interna per Luigi Di Maio, è partito ieri un messaggio al capo grillino: «Nessun cedimento, lo scudo penale non deve ritornare. A Palazzo Madama siamo pronti a votare contro costi quel che costi».
Un campanello suonato dopo le indiscrezioni di una apertura di Di Maio e soprattutto di Conte alla possibilità di introdurre DI nuovo le tutele tolte proprio a Palazzo Madama durante la conversione del dl-crisi. Si spiega così l'irrigidimento del premier e del titolare della Farnesina delle ultime 24 ore. La consapevolezza che la battaglia sull'ex Ilva è qualcosa di identitario e non derogabile per i grillini, un film già visto proprio sulla Tav, utilizzato dalla Lega come scusa per far cadere il governo Conte I.
LA TENSIONE
In questa fase sono i segnali al leader a essere più che mai belligeranti. Non è un caso che in Senato, ieri l'altro, proprio su questo argomento abbia preso la parola per il M5S Barbara Lezzi al posto del capogruppo Gianluca Perilli. L'ex ministra del Sud ha detto chiaro e tondo che «sullo scudo non si può tornare indietro».
E non caso, ieri proprio Di Maio durante il Consiglio dei ministri ha ammesso candidamente che se i decreti dovessero andare in un'altra direzione non riuscirebbe a controllare i gruppi. E che la creazione di un'altra maggioranza intorno a questo provvedimento sarebbe pericolosa per la tenuta dell'esecutivo. Dai big di Palazzo Madama ieri sera trapelava questa battuta: «Sull'Ilva chi rischia di non reggere non è solo il governo, ma lo stesso Luigi».
E anche di questo argomento hanno discusso ieri a Palazzo San Macuto, sede della commissione antimafia, i parlamentari chiamati a raccolta da Nicola Morra. Una riunione a cui hanno partecipato, tra gli altri, Giorgio Trizzino, Ugo Grassi e Michele Giarrusso dissidenti alla luce del sole, e a vario titolo, verso la leadership del capo politico dei grillini. Non a caso sono tornati alla carica per chiedere la modifica dello statuto M5S che blinda i poteri e la vita del Capo politico. Un clima incandescente che ha costretto proprio Morra a sgomberare il campo da qualsiasi dietrologia: «Non sono sovversivo, la riunione serve ad anteporre il noi».
L'aria intorno a Di Maio, tornato ieri dalla missione in Cina, è pesante: «Speriamo di voltare pagina», ha detto Giarrusso lasciando San Macuto. E se il Senato è una polveriera pronta a esplodere, anche alla Camera le cose non vanno meglio. Lo dimostra la vicenda kafkiana del capogruppo a Montecitorio, una telenovela che va avanti da un mese. Come dimostra la nuova fumata nera di ieri. Al termine dello spoglio né Francesco Silvestri né Davide Crippa hanno ottenuto la maggioranza assoluta richiesta dallo statuto del gruppo. Il primo ha incassato 95 voti, il secondo 83.
La proposta di cambiare lo statuto del gruppo per togliere il quorum della maggioranza assoluta e rendere più agevoli le prossime votazioni è stata presentata ma l'assemblea l'ha bocciata. Nelle prossime ore saranno avviate quindi delle consultazioni informali per capire il gruppo quale profilo vorrebbe nei singoli ruoli del direttivo: capogruppo, vice capogruppo, tesoriere, delegati d'Aula. Potrebbero sembrare dettagli, ma così non è. «Poniamo che il governo presenti un decreto sull'ex Ilva che non ci piace: alla Camera e in Senato sarebbe un Vietnam», dice un parlamentare grillino molto vicino al dossier.
Avvisaglie di una crisi che Di Maio faticherebbe a gestire. Con il rischio di finire dentro la morsa tra il Pd e la Lega di Matteo Salvini. E proprio sulle accuse trapelate ieri dalla riunione convocata da Nicola Zingaretti con i ministri dem, i vertici del M5S rispondono: «Il segretario sta mettendo le mani avanti in vista della sconfitta in Emilia Romagna». Ma prima adesso c'è da superare lo scoglio Taranto.