“SMETTI DI ADULARE L’UE, GLI USA E QUELL’INFAME DEL LEADER UCRAINO” - DITE A GIORGIA MELONI CHE NEL 26% DI VOTI CHE HA PRESO C’E’ UNA QUOTA DI MAL-DESTRI CHE NON LE PERDONERA’ SVOLTE ISTITUZIONALI - E’ BASTATO UN SUO TWEET DI APPREZZAMENTO PER LA LETTERA DI URSULA VON DER LEYEN AI CAPI DI STATO E DI GOVERNO SUL GAS A SCATENARE I FOLLOWER SU TWITTER: “DA ‘IO SONO GIORGIA’ A ‘IO SONO DRAGHI BIS’ IL PASSO E’ BREVE”, “TI ABBIAMO VOTATO PER DARE UNA SVOLTA CONTRO L’EUROPA MAFIOSA NON PER CONTINUARE A ESSERNE SUCCUBI”
-Ilario Lombardo Francesco Olivo per “la Stampa”
Lei è Giorgia, la sovranista che avverte l'Europa: «La pacchia è finita». Ma lei è anche Giorgia, la futura presidente del Consiglio convertita all'europeismo che ringrazia la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen: «Un passo in avanti per far fronte alla crisi energetica». L'incognita di queste ore, e non solo in Italia, è capire quale sia la Giorgia che guiderà il Paese.
Se la responsabile leader che, con l'occhio pragmatico e i polsi tremanti per l'enormità della sfida che l'attende, evita i caroselli che avrebbero portato in strada fiamme e nostalgia. O la premier in pectore che già liquida il predecessore, Mario Draghi, e il suo lavoro su Pnrr e sulle trattative europee su gas, dando eco al vittimismo di chi è preda di una sindrome da assedio perenne. Il fatto è che anche nel suo popolo, oltre al comprensibile entusiasmo del momento, c'è qualche sconcerto.
Quando Meloni, mercoledì sera, ha postato sui social un messaggio di apprezzamento per la lettera di Von der Leyen ai partner europei sulla crisi, le risposte sono state centinaia e con toni durissimi, la maggior parte delle quali arrivano da utenti chiaramente schierati a destra. «Ursula è quella che ci ha minacciato nel caso ti avessimo votato.
Ma non ce l'avete un po' di autostima?» si legge sotto al post. Altri ironizzano sul fatto che Enrico Letta o Emma Bonino siano entrati in possesso dell'account della leader che fu sovranista. Mentre c'è chi utilizza gli argomenti che Meloni ha usato spesso per criticarla: «L'Italia deve prendere le sue decisioni come Stato sovrano».
Le rivolte social lasciano il tempo che trovano, ma è chiaro che c'è una parte del popolo di destra che non ha digerito le presunte svolte moderate della sua leader. Al di là dell'Europa, l'altro tema che una parte dell'elettorato rischia di rifiutare è l'appoggio incondizionato all'Ucraina. Un sondaggio di Quorum/YouTrend ha dimostrato che questa ondata sui social non è un fenomeno virtuale: Fratelli d'Italia, il partito che più di tutti, con il Pd, ha appoggiato le sanzioni alla Russia ha un elettorato che la pensa diversamente: il 55% è contrario e solo il 27% è favorevole. Meloni ne è perfettamente consapevole.
«È la prova che la nostra posizione a favore della Nato non è una scelta di convenienza politica. Anzi. E quindi è sincera», spiegava subito prima delle elezioni Giovanbattista Fazzolari, consigliere fidatissimo della leader e probabile sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. La luna di miele, magari ridotta visti i tempi, fa sì che per il momento la contraddizione resti sotto controllo. Ma quanto durerà?
In realtà, come prova a interpretarla una fonte del partito che la conosce bene, nel doppio registro di Meloni c'è tanta tattica e un po' di strategia. Ci ha messo poco, pochissimo, la presidente di FdI, a passare da leader dell'opposizione a essere ribattezzata «Draghina», per l'atteggiamento che, stando al suo stesso vocabolario, è parso aderire «all'establishment» e «al mainstream».
Per un giorno, davanti ai suoi commilitoni di partito, Meloni ha ritrovato i toni del salotto tv dove colpiva duro contro il governo. E deve farlo a maggior ragione adesso che dovrà scontentare tanti di loro, come altri dentro la coalizione di centrodestra, delegando a figure tecniche l'architettura del suo esecutivo. Nel partito sono tutti allineati con la leader. Ma non è un mistero che i messaggi rassicuranti verso l'Europa vengano accettati da un'ala di FdI solo se frutto di preciso disegno.
In un partito monolitico, ci sono in realtà delle differenze: la vecchia guardia legata ai temi identitari, i giovani più vicini alla leader, e i dirigenti approdati da altre esperienze. "I gabbiani" guidati da Fabio Rampelli rappresentano l'anima più vicina alla destra sociale. Gli ex militanti di Colle Oppio rivendicano la paternità delle origini, non solo della destra, ma della stessa Meloni, che Rampelli ha tenuto a battesimo.
Con lui resistono Federico Mollicone, Massimo Milani e Marco Marsilio, attuale presidente dell'Abruzzo. Per trovare le tracce dei messaggi più moderati bisogna cercare nei nuovi arrivati: Raffaele Fitto, famiglia Dc e poi in Forza Italia, percorso simile a quello di Guido Crosetto. Dietro ai toni più identitari, invece, si riconosce la mano di Fazzolari, che però più di altri sa modulare la tempra delle origini, con il pragmatismo di chi si appresta a governare.
Nella "fiamma magica" ci sono poi i giovani della cosiddetta generazione Atreju (definizione mal digerita dai "vecchi" dirigenti depositari dei riferimenti a Tolkien), come, tra gli altri, Giovanni Donzelli, Augusta Montaruli e Carolina Varchi. Con percentuali modeste, per Meloni è stato relativamente semplice mantenere lo «spirito di comunità» di cui va orgogliosa.
Ora però la massa di voti arrivati e le responsabilità di governo aprono una nuova era. E in molti si chiedono se Meloni da Palazzo Chigi riuscirà a governare da capo partito anche a via della Scrofa. I precedenti sono pochi, Matteo Renzi è tra questi, e gli eventuali reggenti o persino successori in teoria esistono. Basta leggere le dichiarazioni di questi giorni per trovare gli indizi: «Resto al partito», hanno risposto Francesco Lollobrigida, capogruppo e Giovanni Donzelli.