“SUDARIO”, CHE FIASCO! COSÌ È FALLITA LA NETFLIX DELLA CULTURA DELL'EX MINISTRO DARIO FRANCESCHINI - LA PIATTAFORMA “ITSART” È STATA CHIUSA IN MENO DI VENTI MESI. IL FATTURATO NEL 2022 È STATO DI SOLI 60 MILA EURO. ALCUNI TITOLI PROPOSTI AGLI UTENTI PAGANTI ERANO GRATIS SU RAIPLAY - CASSA DEPOSITI E PRESTITI L'HA FINANZIATA CON 10 MILIONI DI EURO DEI CONTRIBUENTI, CIFRA BRUCIATA IN VENTI MESI, SENZA AVERE ADESSO NULLA IN MANO...
-Estratto dell'articolo di Antonio Fraschilla per “la Repubblica”
Doveva avere una durata di quarant' anni come una nuova Rai 2.0, è stata chiusa in meno di venti mesi. L'obiettivo era arrivare a un fatturato di 105 milioni di euro già alla fine del prossimo anno, chiuderà il bilancio 2022 con un fatturato da acquisti da parte di utenti intorno ai 60 mila euro, peggio del 2021 che si era chiuso con incassi per 140 mila euro.
Sta tutto in questi numeri il disastro di Itsart ("It is art" in inglese), detta anche la "Netflix della cultura", la piattaforma di streaming online promossa dall'ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e messa a terra in maniera disastrosa da Cassa depositi e prestiti: che l'ha finanziata con 10 milioni di euro dei contribuenti, cifra bruciata in venti mesi, senza avere adesso nulla in mano, solo una scatola vuota. Il neoministro Gennaro Sangiuliano è stato solo il notaio che ha certificato il fallimento del progetto: la società già la scorsa estate aveva lanciato l'allarme sul rischio liquidità di cassa senza nuovi investitori, rilanciando l'avventura con faraonici piani industriali che in soldoni chiedevano altri 15 milioni di euro al socio pubblico, Cassa depositi e prestiti, e al socio privato, il gruppo di streaming Chili che distribuisce prodotti di colossi come al Warner Bros. Inutile dire che nessuno dei due era disposto a metterci soldi suoi, men che meno il socio privato che forse è l'unico che non ci ha perso da questa storia. Itsart è nata già male, è finita malissimo.
(...)
La realtà comunque nel 2021 è stata di acquisti di streaming per 100 mila euro, scesi a poco più di 60 mila nel 2022 come scritto in una relazione interna del ministero della Cultura. Nel frattempo la cassa della società registra uscite continue: 190 mila euro all'anno per gli emolumenti del consiglio di amministrazione che ha cambiato due presidenti e tre amministratori delegati; consulenze per 1,8 milioni di euro all'anno, ma 1,1 milioni tornati a Chili perché sono i privati gli unici addetti alla gestione del software e alla formazione del personale. Altri 832 mila euro per spese di acquisti di materiale tecnologico, ma anche qui a Chili sono tornati 728 mila euro. E 151 mila euro per l'affitto della sede di Milano, manco a dirlo di proprietà di Chili. E poi il personale: 18 dipendenti, che costano 900 mila euro all'anno, più altri 5 addetti in distacco da Cassa depositi e prestiti.
Ma alla fine, perché davvero Itsart non ha funzionato come previsto? Innanzitutto perché doveva imitare Netflix ma non consentiva agli utenti un abbonamento annuale, solo acquisti singoli. Doveva diventare una piattaforma online di tutti i grandi teatri di opera italiani, ma ad eccezione del Teatro Massimo di Palermo, che già del 2016 manda in streaming gratuitamente le messe in scena (avendo un ritorno negli abbonamenti in sala perché molte persone così entrano in contatto con il teatro e l'opera), tutti gli altri enti non hanno strumentazioni pronte per garantire una vera regia televisiva per gli appuntamenti delle loro stagioni. Inoltre i 1.400 titoli, acquisiti pagando anche royalties per 700 mila euro, in alcuni casi erano fruibili gratuitamente online in altre piattaforme come Rai-Play.
(...)