“LA VITTORIA DI TRUMP INSEGNA CHE LA POLITICA È SEMPRE PIU’ SPETTACOLO MA LO SPETTACOLO NON E’ PIU’ POLITICA” – MERLO INFILZA TAYLOR SWIFT E LA CORRENTE HOLLYWOOD DEM A PARTIRE DA GEORGE CLOONEY CHE APRÌ IL FUOCO AMICO CONTRO IL POVERO BIDEN CON UN EDITORIALE DI “TRADIMENTO PER IL BENE DEL PAESE” SUL "NEW YORK TIMES" - "LA VITTORIA DI TRUMP HA SEPPELLITO IL MITO DELL’ARTISTA ENGAGÉ IN EUROPA E IN ITALIA, CHE PURE È STATA IL LABORATORIO DI SPERIMENTAZIONE DELLO SPETTACOLO TRASFORMATO IN POLITICA…"
-Francesco Merlo per “la Repubblica” - Estratti
Tra le grandi delusioni che la vittoria di Trump sta procurando al vecchio mondo, la più bruciante è la scoperta che Taylor Swift non incarna lo spirito del tempo e non aumenta né il Pil né i voti. “La fidanzata d’America” non è la leader di opinione di 283 milioni di follower che non si sono infatti trasformati in elettorato, smentendo l’incauta sapienza dei politologi delle più importanti università americane.
Taylor Swift aveva spiegato con un post di 306 parole perché avrebbe sostenuto il ticket Harris/Walz e la sua foto con il gatto anti-Trump era il simbolo della loro campagna. Ma non sono diventati voti quei 10 milioni di like che in sole 12 ore erano piovuti sull’endorsement. E non ha portato voti neppure George Clooney che, ricordate, aprì il fuoco amico contro il povero Biden con un editoriale di «tradimento per il bene del Paese» sul New York Times.
Non sono (più) consenso politico gli applausi a Lady Gaga, LeBron James, Springsteen, Eminem, Leonardo DiCaprio, Meryl Streep, Spike Lee, Beyoncé, Robert De Niro, Jennifer Lopez… Dunque, proprio oggi che la politica è sempre più spettacolo, lo spettacolo non è più politica. E se è vero che l’America un po’ anticipa e un po’ amplifica il mondo, la vittoria di Trump ha seppellito il mito dell’artista engagé anche nel vecchio continente e dunque molto probabilmente nella nostra Italia, che pure è stata il laboratorio di sperimentazione dello spettacolo trasformato in politica.
È infatti l’Italia il Paese in cui, quando era stata ormai archiviata l’America di Reagan, la politica divenne la doppia identità dello spettacolo: second life e verità parallela di Beppe Grillo. Con lui il pubblico si mutò in elettorato e gli applausi in voti, il capocomico si trasformò in leader di partito e il cartellone nella nomenklatura, un modello e un codice che l’Italia esportò come già aveva esportato il modello Berlusconi.
E in Ucraina Volodymyr Zelensky spinse il destino del comico eletto presidente, sino alla divisa di capo militare, del generale in guerra. Cosa accade adesso nel rapporto tra politica e spettacolo?
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Il ritorno del cow boy politicamente scorretto con la voglia di sparare agli immigrati, di John Wayne e del saloon, di Buffalo Bill che uccideva i bufali per sterminare gli indiani...
tutto questo in Italia è il ritorno, l’ennesimo, dell’Uomo Qualunque.