LA LEGA ALLA RESA DEI CONTI - ALTRO CHE PARTITO MONOLITICO: IL CASO MORISI E LE PAROLE DI GIORGETTI SONO LA RAPPRESENTAZIONE PLASTICA DELLE DUE ANIME DEL CARROCCIO E LA RIVINCITA DELLA VECCHIA GUARDIA, EUROPEISTA E GOVERNISTA, SUL CERCHIO MAGICO DI SALVINI COMPOSTO DI PERSONAGGI CHE CON LA STORIA DEL PARTITO NON C’ENTRANO NIENTE. L’EX TRUCE SEMPRE PIÙ ISOLATO È TERRORIZZATO DALLA SCOPPOLA ALLE AMMINISTRATIVE
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1 - LA VECCHIA LEGA CONTRO IL «CERCHIO MAGICO» DEL CAPO
Paolo Bracalini per "il Giornale"
La vicenda Morisi è un altro colpo alla leadership di Salvini, l'ultimo di una serie. Ma nella Lega tutti assicurano che non sia in discussione (almeno, non ancora) il segretario, quanto invece alcune sue scelte, anche in fatto di persone. In altre parole, il suo «cerchio magico».
Cioè i fedelissimi di cui Salvini si è circondato in questi ultimi anni, personaggi senza una storia leghista, arrivati per «chiamata diretta» del Capo. «Li vediamo come un corpo estraneo, un gruppetto autoreferenziale che forse a Roma si è montato la testa - racconta un parlamentare lombardo di lungo corso -. Il rischio di imbarcare persone che poi combinano casini c'era anche nella vecchia Lega (gli esempi, non mancano, vedi l'epoca Belsito, ndr), ma in un partito leninista come il nostro c'erano più filtri. Se invece fai un partito liquido, che pesca in territori dove non la Lega non ha un radicamento, oppure fai arrivare gente solo per fedeltà a Salvini, è chiaro che il rischio aumenta molto...».
Perché Morisi, arrivato dal nulla a capo della comunicazione della Lega, è appunto l'ultimo dei «non leghisti» che hanno avuto un ruolo importante nella trasformazione della Lega a primo partito a livello nazionale, aiutando Salvini ad uscire dai confini della Padania.
Sia organizzando il partito a Roma e nel centrosud, come ha fatto Cladio Durigon, sia portando nella Lega i temi (a suo tempo molto efficaci) dell'uscita dall'euro e del ritorno alla lira, come hanno fatto gli economisti Borghi e Bagnai, sia appunto costruendo una macchina social per macinare like e consensi, come ha fatto Luca Morisi.
Ma proprio da loro sono arrivati i problemi per il capo leghista (e prima ancora con Armando Siri, anche lui leghista non della prima ora, al centro di una vicenda giudiziaria), senza contare quelli imbarcati strada facendo, soprattutto al sud, pronti a mollare la Lega (vedi l'europarlamentare no vax Donato). I leghisti della vecchia Lega, specie in Lombardia e Veneto, guardano con poca simpatia al cerchio magico salviniano.
Non a caso proprio i veneti sono stati i primi a chiedere il passo indietro di Durigon da sottosegretario, e sempre loro i più irritati dalle partecipazioni dei «non leghisti» Bagnai, Borghi, Siri, Pillon e Rinaldi alle manifestazioni no vax. Ci mancava anche l'ombra della droga per l'ex guru di Salvini. Se agli scivoloni del cerchio magico salviniano si aggiungerà un risultato deludente alle amministrative, la discussione finirà per coinvolgere la leadership di Salvini. Magari nei congressi, chiesti a gran voce dai veneti.
2 - LA RABBIA DEL LEADER SEMPRE PIÙ SOLO NELLA LEGA E GIORGETTI DETTA LA LINEA
Emanuele Lauria per "la Repubblica"
Declina il simbolo della Lega social, urticante e populista, e s' avanza quello del partito di Palazzo, draghiano ed europeista. La notte senese di Matteo Salvini è popolata da incubi, agitata dalla consapevolezza che i principali quotidiani stanno per pubblicare la notizia che Luca Morisi è indagato per droga, e tormentata per la sconfessione pubblica contenuta nell'intervista di Giancarlo Giorgetti a La Stampa, che il segretario legge in rassegna.
Un doppio uppercut da ko, anche per un combattente come il leader del Carroccio, finito all'angolo all'inizio dell'ultima settimana di campagna elettorale.E ora le amministrative diventano, a tutti gli effetti, una resa dei conti. Nulla sarà più uguale, dopo questo lunedì da tregenda, in cui il Capitano finisce travolto dalla retromarcia della macchina social che lui e Morisi avevano lanciato.
«Luca era indagato per droga? Io non sapevo nulla», dice Salvini davanti ai collaboratori che avevano rilanciato nei giorni scorsi «i motivi familiari» addotti ufficialmente dal responsabile della comunicazione per giustificare il suo disimpegno. Va detto che non tutti, anche dentro la Lega, credono che il segretario fosse all'oscuro dei guai del suo strettissimo collaboratore. Ma tant' è.
La soluzione (concordata?) è quella lettera di scuse in cui Morisi parla della sua "fragilità esistenziale" e annuncia a sorpresa, forse troppo tardi per essere credibile, di essersi dimesso "a partire dal primo settembre" da tutti gli incarichi, ivi incluso quel posto nella ristretta segreteria del partito che Salvini gli aveva assegnato fra i malumori dei big.
Non basta, questa mossa, a lenire l'effetto boomerang di un fatto che in tanti, sugli stessi social cavalcati dal senatore milanese, contrappongono alla famosa chiamata al citofono nel rione bolognese del Pilastro: «Scusi, lei spaccia? », disse Salvini che oggi viene messo alla berlina da milioni di internauti, con Fedez in prima linea a definirlo "eroe contemporaneo".
La Bestia è morta ufficialmente ieri e con sé rischia di trascinare un modo di fare politica aggressivo e naif, attento soprattutto ai like, che nella Lega i custodi nordisti dell'ortodossia guardavano con sempre maggior fastidio, specie dopo l'avvicinamento estivo ai No Vax che ha spaccato il fronte degli eletti.
E per un incredibile scherzo del destino questo smacco, per Salvini, arriva nello stesso giorno in cui il suo principale rivale interno, Giancarlo Giorgetti, azzoppa i candidati sindaci del centrodestra a Roma e Milano, scelti o avallati dal segretario, dicendo in sostanza che non hanno chance di vittoria.
«La mia era semplicemente un'analisi politica - spiegherà poi il ministro - Io comunque sostengo i rappresentanti della coalizione e chiuderò la campagna elettorale nel capoluogo lombardo ». Ciò non toglie che, in mattinata, succede una cosa senza precedenti nella storia della Lega: Salvini, subissato da chiamate e messaggi di alleati e militanti inferociti, è costretto a fare una nota per esprimere sostegno agli uomini del centrodestra sconfessati dall'eminenza grigia degli ex lumbard.
Alla faccia del partito monolitico, è la plastica conferma che di Leghe ce ne sono almeno due. «È Matteo ad aver portato l'anarchia, ora ne subisce le conseguenze », sibila uno dei soliti big non amici. Ma lui, Salvini, non ha dubbi. Ufficialmente preferisce non replicare direttamente a Giorgetti (non l'ha mai fatto) però a chi lo ascolta, nel corso della giornata, manifesta "stupore" per una critica «fuori da ogni grammatica politica», viste le elezioni alle porte.
E ormai lo stupore non basta più, per il pilota di questo Carroccio multi-direzionale: il segretario è convinto di una manovra non per abbatterlo ma per logorarlo, per delegittimarlo, per togliergli quella credibilità necessaria a fare di lui, proprio dopo Draghi che Giorgetti vuole mandare al Quirinale, un candidato premier.
Non è più un mistero, negli ambienti leghisti, la sensazione che a Chigi voglia e possa andarci proprio l'attuale capo delegazione, se le Politiche - come nel 2018 - non forniranno un chiaro vincitore anche e soprattutto dentro il centrodestra. Giorgetti garantirebbe la continuità con una linea europeista ed atlantista più di un Salvini macchiato da un approccio critico nei confronti dei provvedimenti anti- Covid dell'attuale governo.
Il ministro dello Sviluppo economico, a fine ottobre, sarà negli States per un appuntamento del Niaf, la National italian american foundation, e c'è chi indica il viaggio come occasione per accreditarsi con i vertici dell'amministrazione Biden.
Di certo, Salvini non starà a guardare: si gioca tutto nelle amministrative di domenica e lunedì, nelle quali il centrodestra parte svantaggiato (tranne che a Torino, non a caso preferita meta giorgettiana). Se andrà male, come pronosticano alcuni esponenti dell'ala governista, sarà un'ulteriore zavorra per le ambizioni del leader.
Che comunque, contando su un consenso ancora molto forte nella base (e delle tessere fatte al Sud), potrebbe ribaltare il tavolo e chiedere subito il congresso per consolidare la sua primazia. In ogni caso è alle viste un duro chiarimento, in questa Lega che il Capitano orfano di chi lo battezzò con questo nome (Morisi, appunto) guida con sempre maggiore impaccio.