LONDRA, UN’ISOLA NELL’ISOLA - L’INGHILTERRA TORNA A CRESCERE, MA SOLO A LONDRA: IL RESTO DEL PAESE ARRANCA (SONO TORNATI PURE GLI SPAZZACAMINI!)


Claudio Gallo per "la Stampa"

Era poco meno della metà di novembre, quando il nuovo cancelliere della Banca d'Inghilterra Mark Carney mise il suo timbro: «La ripresa - disse - è ormai una realtà» e poi, come ogni banchiere che si rispetti, prese a squadernare cifre con il più davanti: l'economia britannica crescerà quest'anno del 1,6 e il prossimo anno del 2,8: un tasso pre-crisi. La disoccupazione dovrebbe arrivare alla soglia del 7 per cento, un risultato positivo che potrà però portare all'innalzamento dei tassi d'interesse.

«Per la prima volta da molto tempo - ha filosoficamente concluso - non bisogna essere un ottimista per vedere il bicchiere mezzo pieno». Gran Bretagna prima della classe in Europa: applausi.

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Ma, come diceva il premier vittoriano Disraeli: «Ci sono tre tipi di bugie: bugie, dannate bugie e statistiche». Proprio ciò che pensa la gente comune, se guarda alla propria vita maledettamente in salita. Non che le cifre siano davvero false, semplicemente nella società dei più la realtà a cui alludono non si percepisce.

Là fuori, ogni 5 minuti e 3 secondi qualcuno fa bancarotta. Ogni giorno 84 proprietà sono pignorate. Ogni giorno lavorativo le agenzie di consulenza per i cittadini in Inghilterra e Galles trattano 7420 problemi di debiti. L'indebitamento medio (compresi i mutui) di un nucleo familiare è di 54178 sterline. La somma dei debiti personali dei britannici è di 1428 mila miliardi a settembre 2013.

Per quanto faccia sorridere, sono tornati gli spazzacamini. Con il continuo rincaro dei prezzi del gas, in tanti hanno riscoperto la legna. Il presidente dell'associazione spazzacamini descrive un'impressionante crescita: «Nel 1982 eravamo in 30, oggi contiamo 540 membri».

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Molti si ricordano ancora il boom tra la metà degli Anni 90 e i primi dei 2000, quando tutti si trovarono più soldi in tasca. Quella era ripresa. Che cosa sta succedendo oggi?
Spiega Gavin Kelly, direttore del pensatoio «Resolution Foundation»: «Ci sono molte regioni per cui un'economia più vigorosa non fa necessariamente stare meglio i britannici. Una è che la paga media è arretrata per anni, mentre i prezzi sono saliti. Un'altra è che gli anni cattivi non hanno colpito la gente allo stesso modo: per esempio i ventenni hanno visto calare brutalmente le loro entrate negli ultimi cinque anni mentre per i sessantenni è stata meno dura».

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La verità è che sotto il cofano della ripresa britannica ci sono specialmente i servizi finanziari e le costruzioni, in poche parole c'è soprattutto Londra. La capitale è una megalopoli globale che corre a una velocità superiore rispetto al Paese. Un altro mondo.
Come ha scritto Larry Elliott sul «Guardian»: «Andate a Preston a dire che in Gran Bretagna c'è il boom, vi rideranno dietro. Andate a Hull a spiegare che il mercato immobiliare s'è impennato, vi prenderanno per matto. Suggerite a Rochdale che la crisi è passata, e rischierete grosso».

L'ultimo «Political Monitor» della Ipsos-Mori (ancora statistiche) mostra che metà dei britannici pensa che la svolta dell'economia non abbia alcun impatto sulla loro vita (48%). Solo uno su sette (14%) dice di aver avuto un riscontro molto positivo. Il 77% valuta che il prossimo anno la crescita economica non avrà alcun effetto sui suoi standard di vita. Solo uno su cinque (19%) si aspetta cambiamenti positivi.

Dice Nick Forbes, consigliere comunale a Newcastle, nel Nord più povero e arrabbiato: «A differenza del passato oggi manca soprattutto la speranza nel futuro». Persino Sir John Major, primo premier post-thatcheriano, conservatore venuto dalla gavetta, ha accusato indirettamente Cameron e la sua banda di «etoniani» di aver paralizzato la mobilità sociale.

«Non è affatto certo - sostiene Gavin Kelly - che la ripresa potrà beneficiare tanto presto l'ampia fascia di popolazione con entrate tra il livello basso e quello medio. Il mercato del lavoro è ancora in difficoltà. L'austerità continuerà per anni e, se i tassi di interesse aumenteranno, come accadrà, milioni di famiglie piene di debiti saranno messe ulteriormente sotto pressione. Il ripristino del legame tra crescita economica e miglioramento degli standard di vita è la più grande sfida politica del futuro».

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A guardare il pianeta dall'alto ci sarebbe da essere ottimisti: un recente rapporto del Credit Suisse ha mostrato un mondo, nel suo insieme, sempre più ricco e destinato a diventarlo ancora di più. Ma le ricchezze si accumulano sui picchi e non scendono. Il sindaco di Londra Boris Johnson, come il Superciuc di Alan Ford che prendeva ai poveri per dare ai ricchi, ha fatto sul «Telegraph» un peana dei milionari: «Non toccateli - ha scritto - perché grazie alle loro tasse noi facciamo funzionare i nostri servizi sociali».

Peccato che un'indagine di Action Aid ha rivelato da poco che la quasi totalità delle principali aziende del Regno Unito usa società sussidiarie e joint-ventures nelle Cayman o in altri paradisi fiscali per pagare meno tasse. Chi non ricorda la dimostrazione di Warren Buffet di come le sue tasse in proporzione erano una minima parte di quelle della sua segretaria? Aveva detto con candore il re degli investitori americani: «È vero c'è la lotta di classe. Ma è la mia classe, i ricchi, a fare la guerra. E l'abbiamo vinta».

BORIS JOHNSON