LUCA BARBARESCHI ED EMMANUELE EMANUELE, UNITI NELLA LOTTA PER SALVARE ROMA DAI MARZIANI – ‘’LA STREET ART PORTA A TORMARANCIA PIÙ ROMANI CHE AL COLOSSEO E PIÙ VISITATORI DI TUTTI I POLI MUSEALI ROMANI, A COMINCIARE DA MAXXI E MACRO’’
Dagoreport
L'unico antidoto vero ai mali di Roma (sindaci improbabili, conti dei ristoranti certi, incapacità amministrative e corruzione che alimentano piccole e meno piccole criminalità), o almeno una linea di resistenza e di speranza concreta, e' la cultura. Se ne è avuta una prova l’altra sera, con l'incontro tra due realtà, una piccola e agli inizi, e l'altra che rappresenta il più rilevante soggetto italiano no profit che investe in cultura, sanità e istruzione a vantaggio dei più deboli:
Luca Barbareschi, direttore artistico del Teatro Eliseo, una delle istituzioni culturali romane che con la sua gestione sta uscendo dall'immobilismo, ha invitato Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Roma a parlare della Street Art da lui promossa e sostenuta che porta a Tormarancia più romani che al Colosseo e più visitatori di tutti i poli museali romani, a cominciare da Maxxi e Macro, che ha già contaminato i classici di Arezzo e che come prossime tappe avrà Latina e i silos del porto di Catania.
Ma la serata, davanti agli abitanti del popolare quartiere romano risanato e rinvigorito dai murales di grandi artisti internazionali scelti dalla Fondazione, ha usato la Street Art come pretesto per tutto quello che Roma e l'Italia possono essere e non sono in fatto di utilizzo della cultura come fattore reale di sviluppo e per tutto quello che il welfare italiano ed europeo non riesce più a fare per i suoi cittadini che invecchiano.
Emanuele, in un intervento in cui accanto alla solita passione non ha nascosto anche l'amarezza per la lotta contro i mulini a vento che i privati no profit come lui sono costretti a ingaggiare ogni giorno contro burocrazie e statalisti del tempo perduto, ha denunciato nell'ordine: "la ridicola spesa dedicata alla cultura dal nostro Paese, solo lo 0,1 per cento del prodotto interno lordo; il welfare, gia' vanto dell'Europa e dell'Italia che ora si trasforma in "warfare", una tragedia per i meno fortunati che non potranno averlo più dallo Stato mentre la politica non incoraggia sussidiarietà e terzo settore; il Mezzogiorno abbandonato a se stesso, all'emigrazione dei suoi abitanti o alla disoccupazione cronica, esattamente come negli scritti di Sidney Sonnino che leggevo negli anni giovanili".
E poi le battaglie civili e culturali, sulle quali non molla di un centimetro ma che, a causa di precise responsabilità, nemmeno avanzano: "La situazione delle Sovrintendenze e' sempre la stessa, la gestione dei musei pubblici e comunali resta quella che mi costrinse qualche anno fa a lasciare la presidenza delle Scuderie del Quirinale e di Palazzo delle Esposizioni perché chiedevo che i relativi bilanci venissero approvati subito e non un anno e mezzo dopo, con tutto quello che questo significa; la storia dell'arte che non si studia più a scuola;
il Comune di Roma che da tre anni non da' il suo via libera al villaggio per i malati di Alzheimer che voglio costruire sui terreni appositamente comprati dalla Fondazione alla Bufalotta: i nostri pensosi burocrati ci chiedono persino di garantire che il Tevere, che pure è distante, non esonderà per i prossimi 200 anni; il Museo dell'Africa Orientale abbandonato a languire senza affidarcene la gestione come avevo chiesto, eppure li c'è un pezzo di memoria nazionale sul quale la Fondazione avrebbe investito 10 milioni di euro.
Ovviamente ora, dopo tanti dinieghi, non sono più interessato". Esempi recenti, ai quali Emanuele ne ha aggiunto uno che un po' cambia sapore persino all'esempio positivo di Tormarancia: "Le palazzine del quartiere non hanno ascensore, avevo chiesto di poterne costruire uno affinché un giovane disabile potesse salire e scendere senza pesare sulle spalle dei genitori. Anche qui non abbiamo avuto l'autorizzazione".
E, alla fine, l'esortazione lucida e accorata a guardare con amicizia e comprensione all'immigrazione: "Siamo stati a lungo un popolo di emigranti, 27 milioni di italiani tra il 1860 e il 1920 hanno fatto la fortuna e la grandezza di paesi come gli Stati Uniti, l'Argentina, il Venezuela, l'Australia. Io sono ispanico-siciliano, non europeo. In Sicilia hanno convissuto per secoli, e oggi lo fanno i loro discendenti, arabi, spagnoli, francesi, nordici. E il Maghreb e' l'area cruciale dove si decide la futura identità dell'Europa: la Fondazione sta intervenendo a sostenere la cultura, i beni culturali, l'istruzione, il ruolo cruciale delle donne prime vittime delle cosiddette primavere arabe. Oggi non possiamo non dirci maghrebini".