LUIGINO UNO E TRINO – PANARARI: "LA CENTRALITA’ DI DI MAIO E’ TORNATA DI PREPOTENZA IN QUESTA FASE DI SCONTRO FRONTALE TRA GRILLO E CONTE – IL MINISTRO DEGLI ESTERI È SEMPRE STATO ATTRATTO DAL POTERE, E PER QUESTO SI È RIVELATO IL PIÙ RISOLUTO NELL' INTRAPRENDERE LA STRADA DELL'ISTITUZIONALIZZAZIONE TUTTORA INCOMPLETA DEL "MAGMA 5 STELLE". UN POSTMODERNISSIMO "DOROTEO 2.0"...
-Massimiliano Panarari per "la Stampa"
«Il sole splendeva, non avendo altra alternativa, sul niente di nuovo». Così, Samuel Beckett cominciava il suo romanzo Murphy, uscito nel 1938. Un incipit che vale, a ben guardare, anche per la carriera di una figura irrinunciabile nella breve ma vorticosa esistenza del Movimento 5 Stelle. Di cui rappresenta un volto imprescindibile, anzi tre al medesimo tempo.
Si tratta di «Giggino uno e trino», detto con rispetto parlando. Ovvero, l' uomo di governo (e la figura istituzionale), il competitor e avversario di Giuseppe Conte (la cui ascesa dentro il Movimento si deve precisamente a lui, ma che ha finito per sottrargli in parte la leadership politica) e, in queste ore concitate, il mediatore (e reintermediatore) proprio tra l' ex premier e Beppe Grillo.
La sua centralità (di più, indispensabilità) è ritornata di prepotenza in questa fase di scontro frontale tra il Garante e il Leader designato (e poi stoppato). Come accade, a volte, nelle vicende della politica nostrana al modello dell'«usato sicuro», per dirla in bersanese. Visto il precipitare degli eventi, inopinatamente, tertium datur; e Luigi Di Maio si è attivato in una mission (al momento data più come possible che impossible) di mediazione tra i contendenti.
All' insegna di un attivismo condiviso da Roberto Fico, l' altra anima del grillismo politico delle origini: quella barricadiera-pasionaria e proveniente da una sinistra radicalissima e antisistema (la scena napoletana dei centri sociali), tanto quanto Di Maio incarna, invece, quella più conservatrice e moderata (nell' antropologia ancor più che nei toni, che ha cambiato con notevole flessibilità e altrettanto fiuto politicistico nel corso degli anni).
Sin dagli esordi, quindi, il «fondamentalista» e il «realista», come si direbbe nel linguaggio delle correnti dei Verdi tedeschi: e «Dimma» per biografia, ambizioni e pure physique du rôle, ovviamente, non poteva che essere il secondo. Tanto che il suo «ritratto dell' artista da giovane» di rivoluzionario aveva, già a un primo sguardo, ben poco, se non nulla, contrariamente alla narrazione ufficiale anti-establishment sparsa a piene mani dai grillini - e ben presto infrantasi di fronte ai muri della realtà e della frequentazione delle stanze dei bottoni. E, dunque, secondo i suoi detrattori descamisados e anticasta, un giovane nato vecchio, stile «ritratto di Dorian Gray» (per continuare a saccheggiare la letteratura anglosassone), o genere lo stendhaliano Julien Sorel.
Uno nato troppo «con la cravatta» - da lui adottata rapidamente, e si sa quanto questo tipo di dress code non fosse propriamente nelle corde del partito iperpopulista del Vaffa e dell' oggi infine archiviato «uno vale uno». Agli inizi valido per tutti tranne che per lui che, infatti, ricevette ben presto l' investitura benevola dei cofondatori Grillo e Gianroberto Casaleggio, avendo saputo - a dispetto dei rivali - rendersi irrinunciabile per la meccanica del Movimento, soprattutto nei momenti di difficoltà, allorché gli ingranaggi si inceppano e il motore del grillismo (che va a benzina altamente incendiaria, con buona pace della tanto richiamata transizione ecologica) finisce per battere in testa.
Insomma, una «riserva del Movimento» - come giustappunto lo è, su un altro versante, Fico - da richiamare in servizio quando il gioco si fa duro, e le sue doti mediatrici (o, per dirla berlusconianamente, le sue capacità di «farsi concavo e convesso») risultano necessarie. Peraltro, uno dei rarissimi tratti che ha in comune con l' ex «avvocato del Popolo».
«Giggino uno e trino» è sempre stato attratto dal potere, e per questo si è rivelato il più risoluto nell' intraprendere la strada dell' istituzionalizzazione - tuttora incompleta - del «Magma 5 Stelle»; e, naturalmente, molto ben gliene colse sul piano personale alla luce dei ruoli ministeriali ricoperti fin da giovanissima età (specie per gli standard della politica nazionale). Il realismo in politica costituisce, molto sovente, una virtù.
E in un movimento che si è fatto ancor più gassoso nonostante i proclami sul dotarsi di un' organizzazione e di una strutturazione (e dove la parola partito fa ancora storcere il naso a molti militanti e perfino ad alcuni parlamentari, pardon «portavoce») equivale, di sicuro, a possedere almeno una bussola di navigazione. Ora, non ci si deve nascondere il fatto che le conversioni repentine conducono qualche volta a discutibili eccessi di entusiasmo, inducendo a essere più realisti del re: come quando Di Maio se ne uscì definendo il M5S una «forza moderata, liberale ed europeista».
Un (troppo) «vasto programma», viene da commentare. E, tuttavia, accanto all' abbondante dose di tatticismo che guida le sue scelte, è stato proprio l' approccio realista ad averlo portato ad approdi innegabili. È lui il pivot di quell' ala governista che riconosce nel governo Draghi uno stadio fondamentale per la messa in sicurezza e il rilancio dell' Italia (e lo stesso, malauguratamente, non si può dire della corrente contiana).
E, nonostante i flirt e le corrispondenze d' amorosi sensi sbocciate sulla Via della Seta fino a qualche tempo fa (per non dire delle inusitate scampagnate del passato tra i gilet gialli in compagnia di Alessandro Di Battista), l' attuale orientamento euroatlantista dimaiano appare saldo. In buona sostanza, un postmodernissimo «doroteo 2.0» (chiedendo preventivamente venia a Marco Follini, fine conoscitore della storia dc). E nel paesaggio di un partito assai movimentato - anzi, al momento proprio shakerato - come il Movimento 5 Schegge, «Giggino uno e trino» (o, se si preferisce, la «Trimurti Dimma») è quanto di più vicino a un punto di riferimento solido si possa immaginare.