IL M5S E' MEJO DELLA VECCHIA DC: CI SONO ALMENO TRE CORRENTI - UNA VUOLE ANDARE DIETRO ALLA LEGA, UNA CON IL PD E UNA CHE VUOLE RIMANERE INDIPENDENTE - LA SCOPPOLA ALLE REGIONALI È STATO IL “LIBERI TUTTI”. E PARAGONE COME AL SOLITO CAMBIA LINEA: “NIENTE CAUSA CONTRO L’ESPULSIONE, SICCOME RISCHIO DI VINCERLA. POI COSA FACCIO RIENTRO IN UNA CASA SENZA IDENTITÀ?”
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Francesco Bonazzi per “la Verità”
Una che guarda a sinistra, una che guarda a destra, e in mezzo un grande centro a vocazione maggioritaria. Le tre correnti del M5s sembrano la Dc, senza tangenti e senza le simpatie di Cosa nostra, ma anche senza statisti e programmi ambiziosi. Dopo l' ennesima scoppola alle regionali, il Movimento capace di prendere il 32% alle ultime politiche sta implodendo e chissà se arriverà almeno in doppia cifra alle prossime elezioni. Le correnti interne a lungo negate e quasi criminalizzate, ieri sono state ammesse da Max Bugani, capo dello staff di Virginia Raggi, ex socio della piattaforma Rousseau ed ex uomo forte di M5s in Emilia Romagna. Per Bugani, i colleghi sono sempre più divisi tra autonomisti duri e puri, orfani dell' accordo con Matteo Salvini e deputati speranzosi di unirsi sempre più strettamente con il Pd e con Leu.
Per capire la portata di una simile ammissione (che ci fossero le correnti si era capito al momento della formazione del Conte bis) basta riportare le secche parole di un post comparso sulla pagina Facebook del Movimento il 30 giugno 2019, quando l' ala sinistra dei Roberto Fico e degli Alessandro Di Battista era già insofferente per il patto con la Lega, accusata di «spolpare» l' alleato, anche per l' evidente divario di carisma e di ritmo tra Salvini e Di Maio, entrambi vicepremier.
«Nel Movimento c' è una sola corrente: quella dei cittadini!», esordiva il proclama social, «Correnti interne o spartizioni di poltrone nel Movimento? No grazie, non siamo il Pd. Continuiamo a leggere di fantasiose ricostruzioni sul fatto che qualcuno stia proponendo posti per cercare una pace interna: è pura mitologia. Se qualcuno non fa altro che chiedere poltrone viene allontanato».
Bugani, che finora ha dimostrato che le poltrone le lascia, non le colleziona, ieri ha dunque fatto giustizia della propaganda di questo recente passato. Intervistato da un giornale «cugino» come il Fatto Quotidiano, ha spiegato con estrema naturalezza che il Movimento è spaccato in tre correnti: «C' e chi soffre la distanza da Salvini, chi vorrebbe fare un terzo polo autonomo e chi vuole andare a sinistra».
E per spiegare in modo plastico quanta confusione regni sotto quel che resta del cielo grillino, il braccio destro del sindaco di Roma ha anche ammesso che una strada precisa ancora non c' è: «Nell' ultimo anno e mezzo non si e voluta guardare in faccia la realtà. Ognuno voleva un M5s fatto a sua immagine e somiglianza. Oggi il M5s non sa più dove andare». E Bugani ha anche ammesso che tutte e tre le strade sono legittime, perché «nessuno ha mai chiesto agli attivisti dei 5 stelle quale dovesse essere la rotta».
L' occasione giusta dovrebbero essere gli stati generali del 13-15 marzo, una specie di congresso pentastellato, ma il problema è in che atmosfera e in che stato d' animo ci si arriverà. Luigi Di Maio, al di là della piccola astuzia di abbandonare il ruolo di capo politico di M5s prima del tracollo di domenica (ma va detto che era contrario a correre tanto in Calabria quanto in Emilia Romagna), ha lasciato momentaneamente il campo perché stremato fisicamente.
Ma non è escluso che si ripresenti, da solo o con Stefano Patuanelli, come leader ancora una volta del corpaccione indipendentista del Movimento, e a patto di ottenere un piccolo passo indietro della Casaleggio&Associati dalla gestione delle cose anche più minute del Movimento, come le candidature e la rendicontazione finanziaria dei deputati. Ma alla fine è anche possibile che sia il solo Patuanelli a raccogliere la croce da «Giggino 'a marachella», come lo chiamano gli amici campani. Carlo Sibilia, voce sempre critica, invece chiede che ci sia un comitato di reggenti, perché la situazione è troppo delicata e un leader solo rischierebbe di perdersi per strada due correnti su tre.
Limare le unghie a Davide Casaleggio è nei fatti anche il progetto della sinistra interna, rappresentata da Fico, presidente della Camera, dal «solito» Di Battista, da Nicola Morra, presidente dell' Antimafia, dal ministro Federico D' Incà e molti altri a Montecitorio. Formalmente, e per evitare strappi e accuse di mancanza di gratitudine, si tratta di mettere mano alla statuto del Movimento riportando dentro il partito alcune funzioni.
Poi, certo, c' è anche il contenuto politico: ai grillini di sinistra proprio non vanno giù la politica dell' immigrazione della Lega, qualche strizzata d' occhio a Casa Pound e dintorni e le uscite anti euro. Sul fronte destro del partito, invece, bastano due temi a scaldare gli animi contro l' abbraccio mortale del Pd: i rapporti troppo stretti con le banche e la timidezza nei confronti della famiglia Benetton e delle concessioni autostradali che l' ex ministro Danilo Toninelli e Di Maio stesso volevano spezzare con una revoca totale.
Gianluigi Paragone ha annunciato che non farà causa contro l' espulsione perché il partito ha già deciso di andare «di là» e ha aggiunto: «Siccome quella causa rischio di vincerla, cosa faccio?
Rientro in una casa che è senza identità?».
Certo, aiuterebbe il confronto se almeno si conoscessero le regole che governeranno gli stati generali, come osservano sotto garanzia di anonimato un paio di senatori vicinissimi a Beppe Grillo. E intanto, il comico genovese è costretto ad annullare le prossime due date (Palermo 28 febbraio e Catania il giorno dopo) del suo tour Terrapiattista. Lo ha annunciato via Facebook, spiegando che non riesce «a lavorare e riposare correttamente per colpa di apnee notturne». Lui almeno ce le ha solo di notte.