MA QUALE RIFORMA? BANKITALIA BOCCIA PITTIBULLO SULLA RIFORMA DEL CREDITO COOPERATIVO - LE BANCHE SAREBBERO TROPPO PICCOLE PER OBBLIGARLE A TRASFORMARSI IN SPA - IL CONTROLLO DEGLI ISTITUTI SAREBBE A RISCHIO CONDIZIONAMENTO DA “GRUPPI DI INTERESSE LOCALI O SINGOLE PERSONALITA’”
Gian Maria De Francesco per “il Giornale”
La Banca d' Italia fa a pezzi la riforma delle banche di credito cooperativo. E lancia un pesante avvertimento: via Nazionale verificherà «in modo rigoroso la capacità di stare sul mercato rispettando tutti i requisiti» degli istituti con almeno 200 milioni di euro di patrimonio netto che intenderanno trasformarsi in spa pagando un' imposta sostitutiva del 20% sulle riserve.
Il monito sembra proprio rivolto all' indirizzo di Palazzo Chigi, sospettato di aver «inventato» il meccanismo della way out (via d' uscita) per consentire ad alcune Bcc toscane come Chianti Banca e il gruppo Cabel di mantenere la propria influenza a livello territoriale senza disperdersi nel gruppo unico.
Il capo della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, ieri in audizione alla commissione Finanze della Camera, ha squadernato tutti i punti oscuri della riforma che, occorre ricordare, è nata con un peccato originale: la presidenza del Consiglio ha modificato le intese tra il mondo della cooperazione, il Tesoro e Palazzo Koch.
L'«orientamento non favorevole» del direttorio guidato da Ignazio Visco nasce da questo sgarbo istituzionale, ma soprattutto dal fatto che «le ridotte dimensioni dei gruppi risultanti dalla trasformazione (in spa)», sarebbero «difficilmente compatibili con l' ingresso di investitori esterni e con la quotazione del capitale».
Inoltre, ha aggiunto Barbagallo, gli «assetti proprietari caratterizzati dalla non contendibilità del controllo finirebbero per riproporre alcuni limiti della governance cooperativa, quali i condizionamenti dei gruppi di interessi locali o di singole personalità». Parole che lasciano intendere come la «fronda» delle Bcc possa in qualche modo essere eterodiretta. «Una way out per gli amici», ha commentato il vicepresidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani (Fi).
I dubbi di Bankitalia, però, non sono circoscritti a questi aspetti economico-politici, ma entrano nella natura del provvedimento. L' imposta straordinaria, oltre ad avere dubbia costituzionalità (la spartizione tra privati delle riserve di una coop), potrebbe prefigurare vantaggi per chi esercita l' opzione di uscita dal gruppo unico e, pertanto, il rilascio delle autorizzazioni dovrebbe anche contemplare «la conformità dello schema alla disciplina europea degli aiuti di Stato». Insomma, non solo la way out viene delineata come una modalità atta a soddisfare gruppi di potere locale (e forse nazionale), ma anche come un provvedimento illegittimo che danneggia la concorrenza.
Anche per questo motivo Barbagallo ha chiesto che nel decreto, che lascia alle banche cooperative 18 mesi per decidere se aderire o restare autonome, venga fissata «una data di riferimento» rispetto alla quale calcolare la soglia dei 200 milioni. Nella fase di transizione, infatti, le banche con patrimonio compreso fra 100 e 200 milioni potrebbero dare corso a operazioni di fusione per «beneficiare della facoltà di uscita».
Una circostanza che Bankitalia vorrebbe evitare in quanto la riforma nasce dall' esigenza di allineare le Bcc alle più grandi sia per la patrimonializzazione che per la copertura delle sofferenze. Ecco perché via Nazionale, oltre a chiedere maggiori poteri di indirizzo sulla materia, ha sollecitato modifiche riguardanti la possibilità che le Bcc, in caso di crisi, possano perdere la maggioranza del gruppo unico. E ha chiesto che nella fase di transizione possa fondersi con una banca popolare, previsione eliminata «stranamente» dal decreto.