MA È REGGIO CALABRIA O REGGIO EMILIA? - NON È SOLO IL NORD “PADANO” A DOVER SUBIRE L’INFILTRAZIONE DELLA CRIMINALITA ORGANIZZATA - A SORPRESA È LA ROSSA TERRA DEI TORTELLI E DELLE COOPERATIVE ROSSE AD ESSERE IL SALVADANAIO DELLA ’NDRANGHETA - VI AGISCONO 63 COSCHE CHE LASCIANO SCIE DI AUTO INCENDIATE E PROIETTILI CONTRO LE VETRINE - “I CANTIERI DELL’ALTA VELOCITÀ SONO STATI IL VOLANO DELLE INFILTRAZIONI. LA ’NDRANGHETA HA FATTO AFFARI CON I SUBAPPALTI, ANDATI AD AZIENDE MESSE SU CON CAPITALI RICICLATI”…
Paolo Casicci per \"il Venerdì di Repubblica\"
I cento passi che lo separano dal boss, Enrico Bini li ha percorsi d\'un fiato. Una sera piovosa, davanti a una piccola folla accorsa a scoprire la mafia, un uomo di 55 anni, cresciuto a coop e Pci, ha indicato un bar. \"Io lì non ci vado mica a prendere il caffè. È di uno spiantato, un uomo di paglia che va in carcere a trovare il boss Grande Aracri\".
Non siamo nella Cinisi di Peppino Impastato. Siamo nella Bassa emiliana. E la palma, che con la sua linea segnava per Leonardo Sciascia l\'irresistibile ascesa della mafia, è arrivata fin qui, a spandere un\'ombra sinistra sulla patria di tortelli e gnocco fritto. Dici Reggio Emilia e pensi alla cooperazione rossa, alle biblioteche pubbliche e alle scuole dell\'infanzia celebrate su Newsweek. Sessantatré cosche e una lunga scia di auto incendiate sono l\'altra faccia, ancora poco nota, della medaglia.
L\'ultimo attentato, dieci proiettili contro la vetrina di una pizzeria, ha precipitato giorni fa nel terrore Scandiano, alle porte del capoluogo. Dietro c\'è forse un giro di usura ed estorsione, ma la vittima non pare voler collaborare all\'inchiesta. \"Al Sud la chiamano omertà. Qui faticano ancora a dare un nome alle cose\" mormora un inquirente.
Una terra, il Reggiano, dove avrebbero il quartier generale certe \'ndrine partite all\'assalto dell\'Aquila. Farebbero base qui, mica nell\'altra Reggio.
Enrico Bini, presidente della Camera di commercio locale, è l\'uomo che la palma l\'ha vista salire. Lenta all\'inizio, poi rapidissima grazie alla Tav. \"I cantieri dell\'Alta velocità sono stati il volano delle infiltrazioni. La \'ndrangheta ha fatto affari con i subappalti, andati ad aziende messe su con capitali riciclati\". Soprattutto aziende di trasporti. In centocinquanta lavorano nella provincia, provenienti in gran parte dalla Calabria, senza aver comunicato lo spostamento all\'albo di competenza e prive dei certificati previsti.
Come annota Sara Di Antonio in \"Mafia, le mani sul nord\", compendio della Gomorra emiliana in uscita per l\'editore (reggiano) Aliberti, \"ci sono ditte partite con cinque camion e arrivate a metterne su cinquecento in pochi anni\".
Il salvadanaio della \'ndrangheta. Così lo storico Antonio Nicaso definisce Reggio Emilia. Un fenomeno che Bini conosce bene per avere guidato Transcoop, l\'azienda che seguiva il trasporto di inerti per i cantieri della Tav. \"Gli imprenditori sospetti venivano a proporsi di persona e con i tir al seguito. Portavano salumi in omaggio e promettevano prezzi più bassi. Presentavano in pochi giorni documenti che le imprese sane non riescono a produrre prima di settimane\".
Carte truccate, aggiustate. \"Se li cacciavi, rientravano dalla finestra cambiando il nome alla ditta, e nei cantieri vedevi i mezzi e le facce di prima\". Le ultime denunce parlano di camionisti stranieri, specie irregolari, costretti a trasportare droga coprendo la tratta Tirreno-Adriatico e ritorno in giornata e con un carico sempre superiore al lecito.
Tutte accuse che Bini, sul quale ora veglia una pattuglia di carabinieri, ha fatto verbalizzare alla Commissione parlamentare antimafia, riunita a settembre, per la prima volta nella storia, per discutere proprio del caso Reggio. \"È stato un consiglio di Marco Venturi, l\'assessore siciliano già protagonista della stagione antipizzo di Confindustria\" dice Bini: \"‘Chiedi una seduta straordinaria\" m\'ha detto ‘e fa\' mettere tutto a verbale\'\".
A Reggio, come in regione, la penetrazione della \'ndrangheta risale a diversi anni fa. Iniziò tutto con il soggiorno obbligato inflitto ai boss per sradicarli dalle terre d\'origine. Una misura che già nel \'74 allarmava Cesare Terranova: \"Finiranno col fecondare zone ancora estranee alla mafia\" avvertì il giudice ucciso cinque anni dopo da Cosa nostra. E così è stato. Relegati i calabresi a Cutro town, l\'enclave nel cuore della città, la \'ndrangheta è attecchita a Reggio grazie alle connivenze e alle omertà che hanno saldato i criminali agli imprenditori estorti (non solo meridionali, ormai), dando vita a una zona grigia in cui è sempre più difficile distinguere gli onesti.
Da Cutro vengono i Grande Aracri, la famiglia del boss contro il quale Bini ha scagliato la sua accusa plateale. Una piovra che ha allungato i tentacoli in tutta la provincia e fino a Salsomaggiore, la città di Miss Italia, e a lungo in guerra con gli Arena di Isola Capo Rizzuto. A questi ultimi sarebbe riconducibile l\'ordigno collocato davanti all\'Agenzia delle entrate di Sassuolo, \"colpevole\" di un accertamento fiscale su una ditta della famiglia.
Oggi a Reggio Emilia vivono circa ottomila calabresi. \"La città è in mano loro\" racconta un agente immobiliare. \"Calabresi sono gli operai che tirano su le case e mandano avanti l\'economia. Senza di loro, non lavorerebbe la manodopera locale specializzata: artigiani e rifinitori reggiani resterebbero a spasso, se si fermassero i calabresi\".
Ma i calabresi non si fermano. Da tempo, racconta Di Antonio, a Reggio Emilia si costruisce a ritmi da boom. \"In città ci sono settemila alloggi invenduti\" spiega la giornalista: \"Il mattone cresce più del doppio della popolazione ed è pure destinato ad aumentare, visto che il nuovo Piano regolatore prevede ulteriore espansione\". Eppure i prezzi non scendono: qui nessuno ha fretta di vendere. \"L\'obiettivo è riciclare\" accusa Matteo Olivieri, il grillino che ha portato in Consiglio comunale il movimento del comico genovese. \"Abbassare i prezzi significherebbe far calare i valori di mercato e, quindi, precludersi le speculazioni future. Meglio vendere le case complete di mobili o con un\'auto in omaggio, come ha iniziato a fare qualcuno\".
Negli anni, la lobby calabrese è cresciuta grazie anche a una serie di relazioni ufficiali. Il gemellaggio tra Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone, e quello di Isola Capo Rizzuto, per esempio, che ha fatto mugugnare la Lega Nord (il presidente nazionale, Alessandro Alessandri, è della vicina Guastalla). O la visita dei principali candidati a sindaco di Reggio alla processione del Santissimo Crocifisso di Cutro. Pare che di recente proprio il primo cittadino cutrese abbia preso il telefono per lamentarsi col collega reggiano Graziano Delrio perché la crisi starebbe riportando in Calabria troppa gente.
Solo folclore? Non proprio. I voti delle comunità del sud fanno gola a tutti. E lasciano briciole. Il manager Ivano Strozzi ricorda le resistenze incontrate per tagliare \"una ventina di partecipazioni inutili in società calabresi, siciliane, perfino sudamericane\", acquistate dai suoi predecessori al timone dell\'azienda locale per i rifiuti. Più banalmente, Bini invita a farsi un giro sulla gloriosa via Emilia: \"La gente inizia a sospettare di tutte queste rotatorie cresciute come funghi. All\'inizio servivano a fluidificare il traffico, ora forse servono più a far lavorare certe aziende che le costruiscono\".
A inquietare moltissimo è la saldatura che sembra essersi creata tra l\'universo della cooperazione e ditte vicine alle \'ndrine, sviscerata in un altro libro inchiesta, Tra la via Emilia e il clan, a cura della Casa della legalità di Genova, che circola in rete e nei sit-in antimafia come un samizdat. In particolare, preoccupa il ruolo dei Mamone di Gioia Tauro, al centro di un\'informativa recente del prefetto di Genova, città dove sono molto attivi e dove lavorano a bonifiche di terreni sui quali sono destinate a costruire le coop. Il nome dei Mamone appare nelle relazioni della Direzione distrettuale antimafia tra quelli legati alle originarie cosche calabresi, ma il ramo ligure della famiglia ha sempre respinto il collegamento.
E così Reggio oscilla tra vecchi miti e minacce nuovissime. Nel suo libro, Di Antonio cita Edmondo Berselli: l\'intellettuale parlava di un modello emiliano che sfuma nel mito, forse perché \"si vuol mitizzare un sistema dandolo per scontato, come se non cambiasse l\'economia e non potesse mai cambiare la politica\". Ecco, osserva Bini, la paura è che, guardando al mito, sfugga ciò che lo sta deformando.
Ora l\'emergenza non può che essere questa mafia che nessuno avrebbe mai pensato di dover fronteggiare. E ci sono le parole dell\'uomo che al Nord ha fatto i suoi cento passi: \"La lotta alle mafie\" dice Bini \"non è più roba da eroi, ma una questione di piccoli gesti quotidiani. Come allacciarsi le scarpe o prendere un caffè\". Nel bar giusto, naturalmente.