MAGISTRATOCRACY - DOMANI A PALERMO SI APRE IL PROCESSO SULLA “TRATTATIVA” - FUOCHI D’ARTIFICIO IN VISTA: ALLA SBARRA PEZZI GROSSI DI STATO, CARABINIERI E COSA NOSTRA ANNI ’80 E ’90 - INGROIA & C. CONVINTI DI DIMOSTRARE CHE LA PRIMA REPUBBLICA SI “CONSEGNO’” ALLA CUPOLA - I DIFENSORI CHIEDONO SUBITO IL RINVIO - LE TELEFONATE TRA NAPOLITANO E MANCINO E TRAVAGLIO CHIEDE: I POLITICI IMPUTATI DICANO SÌ ALL’UDIENZA A PORTE APERTE….


MAGISTRATOCRACY - DOMANI A PALERMO SI APRE IL PROCESSO SULLA "TRATTATIVA"...
Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera

I PM INGROIA E DI MATTEO jpeg

Gli ultimi documenti prodotti dall'accusa riguardano un ex ministro e un ex generale dei carabinieri, Calogero Mannino e Antonio Subranni, considerati «mediatori» del presunto patto tra Cosa nostra e le istituzioni. Il pentito Angelo Siino ha raccontato di stretti rapporti tra i due, confermando l'intenzione della mafia di uccidere l'allora esponente democristiano nella «resa dei conti» pianificata all'inizio del 1992.

INGROIA LEOLUCA ORLANDO DI PIETRO ALLA FESTA IDV DI VASTO

Un altro collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo, sostiene che Subranni aveva grande consuetudine con i cugini Nino e Ignazio Salvo, gli «esattori» legati da un lato alla mafia e dall'altro alla Dc e a Salvo Lima, e su loro richiesta si sarebbe occupato di far passare per suicidio l'omicidio di Peppino Impastato, ammazzato su ordine del boss Tano Badalamenti nel lontano 1978.

Sono dichiarazioni di contorno rispetto al resto delle prove che il pool di magistrati antimafia di Palermo - il procuratore aggiunto Ingroia e i sostituti Di Matteo, Sava, Del Bene e Tartaglia - ritengono di aver raccolto sulla cosiddetta trattativa tra lo Stato e la mafia, tra il 1992 e il 1994; sono racchiusi, insieme ad altri atti svolti negli ultimi due mesi, in otto faldoni di carte che non cambiano il quadro dell'accusa, ma saranno probabilmente sufficienti a far slittare di un paio di settimane l'inizio dell'udienza per decidere l'eventuale rinvio a giudizio dei dodici imputati.

NAPOLITANO INGROIA
ANTONIO INGROIA E MARCO TRAVAGLIO ALLA FESTA DEL FATTO jpeg

L'appuntamento è fissato per domattina, nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli, davanti al giudice Piergiorgio Morosini. Lì compariranno gli avvocati e forse qualcuno degli imputati: i mafiosi Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà e il pentito Giovanni Brusca (che se vorranno potranno assistere in video-conferenza dalle prigioni in cui sono rinchiusi); i tre ex ufficiali dell'Arma Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno; l'onorevole Mannino e il senatore Marcello Dell'Utri. Loro sono i presunti intermediari della trattativa. Poi ci sono Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco Vito che per sua ammissione faceva da postino tra il padre e Provenzano, e infine Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza.

BERNARDO PROVENZANO
GRAZIA VOLO

L'ex ministro dell'Interno ed ex vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura ha già chiesto di essere processato separatamente perché sostiene che non ci sia connessione tra la sua posizione e quella degli altri imputati. Inoltre il suo difensore Massimo Krogh ritiene che a giudicarlo debba essere il tribunale dei ministri. Non perché la falsa testimonianza sia un reato ministeriale (Mancino l'avrebbe commessa nel febbraio scorso, quando non era più ministro da diversi lustri) ma per connessione con la vicenda di vent'anni prima collegata alla funzione di responsabile del Viminale. Il legale di Mancino potrebbe anche chiedere una sospensione del giudizio in attesa del verdetto della Corte costituzionale sul destino delle quattro telefonate intercettate casualmente tra il suo assistito e il presidente della Repubblica Napolitano; per la Procura sono irrilevanti, ma l'avvocato ritiene che «in ipotesi i contenuti potrebbero giovare alla nostra posizione», perciò vorrebbe attendere il giudizio sul conflitto sollevato dal Quirinale, previsto per il prossimo 4 dicembre.

CALOGERO MANNINO E VINZIA FIRRIATO

Prima ancora di queste istanze, però, i difensori di un altro politico tutt'ora in attività, Mannino, chiederanno il rinvio dell'inizio dell'udienza per avere il tempo di leggere le nuove carte depositate dalla Procura. Slittamento a parte, il collegio legale (agli avvocati Nino Caleca e Grazia Volo, è stato affiancato un altro ex vice-presidente del Csm, Carlo Federico Grosso) intende contestare la competenza del giudice di Palermo: si deve andare a Caltanissetta o a Roma, per connessione con le stragi e per la sede delle istituzioni coinvolte nella trattativa; ed eventualmente al tribunale dei ministri delle due città, giacché fino a giugno '92 Mannino faceva parte del governo e le presunte pressioni del '93 per alleggerire il carcere duro ai mafiosi riguardavano competenze ministeriali.

MARCELLO DELL'UTRI

Chi non porrà questioni di competenza è l'avvocato Rosalba Di Gregorio per conto di Provenzano, imputato anche dell'omicidio di Salvo Lima: primo passo, nella ricostruzione dell'accusa, dell'attacco mafioso alle istituzioni scatenato per avviare la mediazione e ottenere benefici. I difensori del boss chiederanno l'acquisizione di alcune sentenze su quel delitto del 1992 che non sarebbero state considerate dai pm, nonché delle dichiarazioni di pentiti per i quali l'anziano boss in quel periodo non faceva più parte della Cupola mafiosa che deliberava gli omicidi.

Anche i difensori di Dell'Utri, Giuseppe Di Peri e Pietro Federico, lamentano l'assenza di carte. All'interno degli stessi documenti presentati dalla Procura, secondo loro, ci sono buchi sostanziosi: pagine illeggibili o saltate, verbali pieni di omissis, documenti governativi o parlamentari di cui c'è solo il frontespizio o poco più. In questa situazione, sostengono, il processo non può cominciare.

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg
VIGNETTA MANNELLI - NAPOLITANO STIRO MANCINO

2- I POLITICI IMPUTATI DICANO SÌ ALL'UDIENZA A PORTE APERTE
di Marco Travaglio per Il Fatto


Quello che si apre domani a Palermo in udienza preliminare è un processo storico. Uno dei più importanti per la storia non solo della mafia, ma anche e soprattutto della politica italiana. Il reato contestato dalla Procura ai 12 imputati (6 per la mafia, 6 per lo Stato) non è - come molti credono e troppi scrivono - la trattativa fra lo Stato e Cosa Nostra. Che fu una libera, per quanto vergognosa, scelta politica.

Ma il ricatto che i vertici di Cosa Nostra e pezzi delle istituzioni orchestrarono ai danni dello Stato affinché si piegasse ai diktat di Cosa Nostra, che proprio a quello scopo gli aveva dichiarato guerra a colpi di stragi. Sull'altare della trattativa, per salvare la pelle a un pugno di politici destinati a finire come Salvo Lima, furono immolati forse Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, sicuramente Borsellino, i suoi agenti e, nel 1993, i cittadini inermi caduti o feriti sotto le bombe di Milano, Firenze e Roma.

Basterebbe questo scenario per indurre tutti gli imputati a chiedere un'udienza a porte aperte, consentendo al gup Piergiorgio Morosini di far entrare cronisti e telecamere per documentarla minuto per minuto. Per la prima volta dopo anni di indagini, accusa e difese si confronteranno dinanzi a un giudice "terzo", chiamato non a giudicare gli imputati, ma solo a decidere se esistano i presupposti per farli giudicare da un tribunale della Repubblica: 11 per violenza o minaccia a corpo dello Stato (i boss Riina, Provenzano, Bagarella, Brusca, i loro ambasciatori Cinà e Ciancimino jr., gli ufficiali del Ros Subranni, Mori, De Donno, i senatori Mannino e Dell'Utri) e uno per falsa testimonianza (Mancino).

GIORGIO NAPOLITANO E LORIS D'AMBROSIO
NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO

La presenza di stampa e tv non sposta nulla per la colpevolezza o l'innocenza degli imputati. Anzi, se i loro difensori saranno più convincenti dei pm Ingroia (presente all'udienza di lunedì prima di volare in Guatemala), Di Matteo, Sava, Del Bene e Tartaglia, il gup darà loro ragione. L'importante è che i cittadini sappiano tutto, parola per parola, di quel che accade in aula.

E possano formarsi un'idea compiuta della posta in gioco. Che non è quella di un normale processo: perché, oltre ai morti, ai feriti e ai loro familiari, le vittime della trattativa siamo tutti noi cittadini italiani. Lo testimonia la decisione assunta l'altroieri dal governo Monti, che ha raccolto l'appello a costituirsi parte civile lanciato dal Fatto Quotidiano e raccolto da esponenti del centrosinistra (soprattutto Idv), ma anche di Fli. Purtroppo le schermaglie procedurali annunciate dai rappresentanti dello Stato non fanno sperare nulla di buono, quanto alla pubblicità delprocesso(mentreiseiimputatimafiosiolegatiai mafiosi non hanno obiettato nulla).

MORI

Mancino chiede che la sua posizione venga separata da quella degli altri imputati, per non essere processato assieme ai mafiosi. E, non contento, ha preannunciato un'eccezione di incompetenza contro il gup, sostenendo che il suo giudice naturale sarebbe il Tribunale dei ministri di Roma (peccato che la sua presunta falsa testimonianza Mancino l'abbia commessa un anno fa a Palermo quando non era più ministro da 18 anni, ma un privato cittadino).

Anche l'imputato De Donno tenta di difendersi non nel processo, ma dal processo, anzi dal giudice, annunciando la ricusazione del gup solo perché ha osato parlare della trattativa in un libro, mettendo a confronto le varie tesi sul tema. Dunque non ha affatto anticipato il suo giudizio sulla trattativa, che comunque è un fatto giudiziariamente assodato da sentenze definitive della Cassazione. Il che non implica la colpevolezza degli attuali imputati.

GIORGIO NAPOLITANO SALUTA IL FERETRO DI LORIS DAMBROSIO

Un conto è affermare che la trattativa c'è stata, un altro è dimostrare che chi la condusse commise un reato. Altrimenti ad anticipare il giudizio sarebbero stati gli stessi De Donno e Mori, che fin dal 1996, dopo le rivelazioni di Giovanni Brusca, hanno dovuto ammettere che nell'estate '92 andarono a parlare con Vito Ciancimino perché facesse da tramite fra loro e Riina.

Se tutto ciò integri il reato di violenza o minaccia a corpo dello Stato lo decideranno i giudici se, come ogni cittadino onesto deve augurarsi, il gup darà il via libera al processo. Sarebbe davvero paradossale se una decisione così cruciale si consumasse a porte chiuse, fra il lusco e il brusco, lontano dal controllo democratico dei cittadini. E sarebbe ancor più paradossale se il giudice fosse costretto a chiudere le porte non dagli uomini della mafia, ma da quelli dello Stato.