DI MAIO IN PEGGIO – LUIGINO OSTENTA LA PACIFICAZIONE CON CONTE DOPO MESI IN CUI HA TRAMATO CONTRO L’ARCI-NEMICO “GIUSEPPI” E INVOCA INTESE “DOVE SI PUÒ” NEI TERRITORI. MA PER ORA L’ALLEANZA SI FERMA A LIGURIA, FAENZA E LA “SUA” POMIGLIANO – L’USCITA DI ZINGARETTI CONTRO LA RAGGI E L’IRRITAZIONE DEI GRILLINI PER IL PREMIER CHE ORMAI “UBBIDISCE A FRANCESCHINI”: “SI CREDE IO, DIO E PADRE PIO”
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1 – ALLEANZE, DI MAIO ORA APRE GRILLINI SEMPRE PIÙ SPACCATI ED È LITE COL PD SULLA RAGGI
M.A. per “il Messaggero”
Non ci sta Luigi Di Maio a passare per doppiogiochista. Per quello che in pubblico dice sì alle alleanze con il Pd e in segreto le manomette. Per quello che ostenta una nuova pacificazione con Conte e alle sue spalle gli sega la poltrona dove sta seduto, visto che se il Pd uscirà a pezzi dal voto regionale, già un sicuro disastro per i 5 stelle, il suo governo rischia il tracollo.
E allora, per smarcarsi dalla fisionomia che anche dentro M5S molti gli cuciono addosso («Luigi non si convincerà mai davvero che il connubio con i dem è la nostra unica speranza di esistenza in vita», così dicono in molti ormai sdraiati più per interesse che per amore sul Nazareno e su Conte), Di Maio sente l'urgenza di chiarire che non è un sabotatore, creando altre divisioni nel movimento.
E lo fa così il ministro degli Esteri: «Mancano poche ore alla presentazione delle liste elettorali per le Regionali e ritengo sia opportuno investire ogni energia per trovare degli accordi laddove sia possibile. L'ascolto dei territori, come ho ribadito in più occasioni, resta la priorità.
Il presidente Conte a mio avviso ha espresso un concetto più che legittimo, sottolineando l'importanza di ascoltare i territori, ma tutti siamo consapevoli che per governare bene l'Italia ci sia bisogno di amministratori responsabili e le elezioni comunali e regionali sono uno snodo cruciale.
È un bene confrontarsi, è un bene provarci laddove le condizioni lo consentono. Lavoriamo per dare risposte agli italiani e non facciamoci tirare dentro in diatribe che non ci appartengono».
E dunque, l'ex capo politico ribadisce di essere allineato a Conte, si sottrae allo schema di chi continua a vederlo come l'arcinemico di Giuseppe e la nota sembra voler essere un'autogiustificazione anzitutto agli occhi del premier. Del tipo: la tua sonora sconfitta sulla questione delle alleanze con il Pd, stroncata dal movimento, non è opera mia, non sono io che ho tramato per darti la legnata.
Che proprio una legnata è, e si tratta per Conte della prima sconfitta politica, dopo la performance nel Consiglio europeo sul Recovery Fund. Ma adesso Conte deve leccarsi le ferite per il flop della sua apertura politica al Pd. E soprattutto deve subire, da parte di molti grillini, ironie e stroncature di questo tipo: «Ormai ubbidisce a Franceschini»; «Si sente un piccolo Napoleone»; «Si crede Io, Dio e Padre Pio».
L'ex ministra Lezzi, pugliese come lui: «Conte non crederà mica di usarci come sue pedine!». E per tornare a Di Maio, un ministro grillino nota: «La verità è che tra lui e Conte c'è la gara a chi è più filo-Pd». Il problema è che un Di Maio così crea una contraddizione evidente con Crimi, che aveva appena definito «forzature» i tentativi di accordo nelle Marche e in Puglia con il Pd.
Il cui fallimento sta gettando nella disperazione tutta l'ala governista di M5S, i ministri, i generali di collegamento con il Nazareno (leggi Fico e tanti altri) e la bolgia stellata sempre più a una superbolgia somiglia. Sulla quale incide, e non poco, anche la vicenda romana.
GUERRA CAPITOLINA
Ieri Zingaretti è tornato ad attaccare la Raggi: «Nessun appoggio, è lei il principale problema di Roma». E ancora: nessun sostegno a Virginia, perché è perdente, e le «uniche vincenti sono le alleanze pluralistiche, con dentro la sinistra, il centrosinistra, le liste civiche in coalizione con il Pd».
Una porta sbattuta in faccia alla sindaca. Una stroncatura in piena regola. Che fa inviperire Max Bugani, capo staff di Virginia: «E' la riprova che Zingaretti non capisce una mazza di politica». Altrettanto virulente le reazioni anti-M5S dei dem. E così, nel giro di pochi giorni, quella che doveva essere a livello regionale e soprattutto nazionale la nuova éra del connubio rosso-giallo si è trasformata in una guerra totale.
2 – M5S NEL CAOS DOPO IL NO ALLE ALLEANZE COL PD DI MAIO SCRIVE A ZINGARETTI: BASTA SOSPETTI
Federico Capurso per “la Stampa”
A Luigi Di Maio proprio non sono piaciute le voci circolate nelle ultime ore all'interno del Pd, che lo definiscono un «doppiogiochista». Uno che sostiene solo a parole l'alleanza giallorossa e nei fatti - è il pensiero malevolo - si crogiola dei fallimenti di Giuseppe Conte e dei Dem, impegnati senza successo a cercare un'intesa con il M5S nelle regioni.
Di Maio lo ha fatto sapere, senza girarci attorno, a Nicola Zingaretti, inviandogli messaggi di fuoco ieri mattina. E una volta ottenute rassicurazioni, ha ribadito in una nota la necessità «di investire ogni energia per trovare degli accordi laddove sia possibile». Ma l'ascolto dei territori «resta la priorità. È un bene confrontarsi, è un bene provarci laddove le condizioni lo consentono».
Poi una virgola in appoggio al premier, definendo il suo appello ad allearsi un «pensiero legittimo», - non un pensiero «condivisibile» - e poco altro si sposta, al di là di una intesa raggiunta tra Pd e M5S per le amministrative a Faenza, sulla quale si lavorava però da gennaio scorso. «Quella nota sembra scritta da me», scherza infatti Vito Crimi, il reggente M5S che ha dato lo stop ai tentativi di correre insieme al Pd nelle regioni e chiuso a un'alleanza strutturale con il Pd.
Se ne sono accorti anche tanti eletti grillini, che iniziano a condividere il dubbio dei dem, perché «in fondo - fa notare un membro di peso del Movimento - Luigi non ne voleva sapere di spostare il partito a destra o a sinistra e non si capisce perché adesso dovrebbe aver cambiato idea. Sembra, piuttosto, che si sia seduto sulla riva del fiume».
Insomma, che non faccia nulla per minare il progetto di portare il Movimento nel campo progressista, mettendo a rischio il governo, ma che nemmeno si stia spendendo per fare passi avanti in quella direzione. Il timore dell'ex capo politico è che questa possibile alleanza alle Regionali finisca solo per favorire il Pd, che sottrarrebbe voti al Movimento, senza un progetto che valorizzi entrambi.
La stessa linea di pensiero che lo ha portato ad avversare dal principio la nascita di questo governo. I parlamentari che gli sono fedeli, dopo averci parlato, però, sono alla ricerca di un altro colpevole per il flop nelle Marche e in Puglia e puntano il dito verso Crimi.
Consapevoli che l'appoggio del reggente a Davide Casaleggio, definito «un pilastro del Movimento» in un'intervista al Corriere della sera, così come l'annuncio di voler annullare il congresso del partito, lo ha trasformato in un nemico per gran parte del gruppo parlamentare, che da mesi muove guerra contro Casaleggio.
Il piano di Crimi è di evitare un evento fisico, causa Covid, e diluirlo invece in una serie di appuntamenti online. Per organizzare ogni step chiederà aiuto a 4-5 persone, rappresentanti delle diverse correnti; circolano i nomi di Enrica Sabatini, fedelissima di Casaleggio, di Danilo Toninelli per la corrente di Paola Taverna, e di Michele Gubitosa, in rappresentanza di Di Maio, ma nulla è stato ancora deciso.
Il loro primo compito, dopo le Regionali, dovrebbe essere organizzare un confronto su Rousseau per decidere se nominare un nuovo capo politico o passare a una segreteria allargata di circa 12 membri senza leader.
L'iniziativa potrebbe essere lanciata il 4 ottobre, durante le Olimpiadi delle idee, evento organizzato da Casaleggio. Ulteriore elemento di preoccupazione per deputati e senatori. «Appena torniamo a Roma dobbiamo chiedere un congresso vero», scrivono furiosi nelle chat, «a marzo, durante il semestre bianco, e che duri un mese». Anche il telefono di Beppe Grillo viene inondato di messaggi con richieste d'intervento. Proprio come un anno fa.