MATTEUCCIO KAMIKAZE - IL PIANO DI RENZI: LUNEDI' SI DIMETTE DA SEGRETARIO, FA CADERE IL GOVERNO SULLA MANOVRA CORRETTIVA CHIESTA DALL'ODIOSA BRUXELLES, POI PRIMARIE ED ELEZIONI IN ESTATE - PER QUESTO LA CHIAMATA A PADOAN E L'INVITO ALLA DIREZIONE PD: 'NON SI POSSONO METTERE NUOVE TASSE'. MA È ESATTAMENTE QUELLO CHE CHIEDE L'UE
1. PD, SCONTRO SULLA MANOVRA RENZI CHIAMA PADOAN "NON METTIAMO NUOVE TASSE"
Tommaso Ciriaco, Carmelo Lopapa per 'la Repubblica'
«Della manovra correttiva che ci chiede Bruxelles non voglio sentir parlare», "suggerisce" al telefono Matteo Renzi a Piercarlo Padoan. Ecco la nuova frontiera del leader, invischiato nella lotta tra correnti del Pd e pronto a rilanciarsi alzando il tiro con l' Europa. Un' escalation accompagnata da una decisione che sembra ormai presa, le dimissioni da segretario. Un passo da ufficializzare lunedì in direzione, necessario per convocare il congresso.
Sul calendario dell' ex premier c' è già una data cerchiata di rosso: il 30 aprile. Utile, tra l' altro, a tenere aperta anche l' improbabile finestra del voto a settembre.
È il momento di giocare al rialzo per non finire impallinato dal fuoco amico. L' attivismo del leader dem, allora, si traduce nello sforzo di alzare in continuazione l' asticella del governo. Non per mettere in difficoltà Paolo Gentiloni, sostiene, ma accettando comunque il rischio di questo "effetto collaterale".
E non mancano i segnali di tensione. Ieri, per dire, durante il consiglio dei ministri è andato in scena un ruvido duello tra Marco Minniti e il renzianissimo Graziano Delrio, contrario allo strumento del decreto per intervenire su immigrazione e sicurezza. Scintille, finché non prevale la linea del ministro dell' Interno, sostenuto da Gentiloni.
È un crescendo, questo pressing renziano, che imbarazza i fan dell' esecutivo. Prima la mozione anti-tasse dei 35 deputati guidati dal "leopoldino" Edoardo Fanucci - che suscita l' irritazione poi smentita del premier - poi la telefonata con cui il leader invita Padoan alla direzione di lunedì e si raccomanda di non accettare i diktat della commissione Ue: trattiamo fino alla sfinimento, il ragionamento, ma senza cedere alla richiesta di una manovra che non serve. E che fiaccherebbe ulteriormente la popolarità del Pd.
I risultati della nuova strategia sono tutti da valutare. Certo, le elezioni restano in cima ai desideri del capo. Ma per sperare di ottenerle, l' unica strada percorribile diventa quella di mettere tutti di fronte a un bivio: senza le urne c' è soltanto il blitz sull' assise nazionale. «Così chiariamo la situazione una volta per tutte - ha ribadito - E voglio vedere cosa farà la minoranza, ora che gli alibi sono finiti».
L' idea, statuto alla mano, è quella di affidare a Matteo Orfini la transizione alla guida del Nazareno, lasciando a Lorenzo Guerini il timone della commissione per le regole. L' alternativa, allo studio, è quella di invertire i due nomi. Bastasse fare i conti con la minoranza, sarebbe tutto più facile. A preoccupare Renzi, però, è soprattutto la tenuta dell' ormai logoro "patto di maggioranza" che regge il Pd. Dario Franceschini, ad esempio, non vuole strappi con il Colle, mentre Andrea Orlando non gradisce la rincorsa elettorale.
Non può approvarla neanche Angelino Alfano.
All' inizio della scorsa settimana raccoglie l' appello del segretario dem: «Vieni con noi in coalizione, ma aiutami a votare a giugno». Il sondaggio dei gruppi di Ncd, però, fallisce miseramente: nessuno vuole elezioni. A quel punto Alfano, con la scusa di portare i saluti dei diplomatici europei, telefona a Silvio Berlusconi. Il quale, intanto, a cena promette al presidente del Ppe Joseph Daul che mai sosterrà i lepenisti di Matteo Salvini. Ieri, infine, l' ultimo tassello. Daul incontra Alfano e vaticina: «Con Silvio tornerete insieme».
2. RENZI VERSO LE DIMISSIONI DA SEGRETARIO "O SI VOTA A GIUGNO O SI FA IL CONGRESSO"
Carlo Bertini per 'La Stampa'
Doppio colpo, primarie a fine aprile, con dimissioni da segretario preannunciate lunedì in Direzione.
E voto per le politiche a giugno, dopo essersi ripreso il partito con il consenso del popolo dei gazebo. È lo schema ambizioso - tattico e minaccioso - che in queste ore scalda gli animi del segretario Pd e del suo cerchio magico. Renzi non demorde: rincuorato dai sondaggi che danno i 5stelle in calo del 2,7% dopo il caso Raggi - e temendo di pagare nel 2018 lo stesso prezzo che costò a Bersani il sostegno al governo Monti - vuole votare a giugno. Possibilmente l' 11: un «election day» per cercare di evitare la sconfitta in molte città in bilico, da Genova a Palermo, con il traino delle elezioni nazionali. Un sogno, in una fase come questa in cui il partito del non voto si ingrossa ogni giorno. Ma al quale Renzi non rinuncia, conscio di esser quello che dà le carte come ricorda Salvini.
Dunque il voto in estate, al massimo in settembre (gira anche una data, il 24): dopo aver fatto trascorrere le prossime settimane dimostrando al Paese e alle più alte istituzioni che il Parlamento non riescono a fare una nuova legge elettorale. «E se non ci riesci ora, perché dovresti riuscirci a farla tra sei mesi? Cosa cambia?», chiede il fedelissimo David Ermini.
La mediazione e le correnti
Ma dietro le minacce c' è il realismo che induce alla mediazione.
Lunedì metterà le carte sul tavolo. Della serie, «ditemi se vogliamo fare la legge elettorale e andare a votare, oppure si fa subito il congresso». Mettendo tutti di fronte alle responsabilità di una decisione, quella di rinviare le urne, che può penalizzare il Pd e il Paese.
Per lanciare un segnale sui rischi di urne nel 2018, ieri ha benedetto un post del fiorentino Dario Parrini, che cita l' economista Guido Tabellini: per il Paese sarebbe «assai rischioso far coincidere il massimo di incertezza politica - la campagna elettorale - con un evento come la fine del maxiscudo Bce a dicembre 2017, che può aprire una fase di forte turbolenza sui mercati».
Anche Padoan in Direzione
Si vedrà in Direzione, dove Renzi ha invitato Padoan per fargli illustrare i successi del suo governo, come la prenderà la minoranza.
Il congresso subirebbe questo timing: voto nei circoli sui candidati alla segreteria, con primarie per la leadership a fine aprile, il 23 o il 30. E poi rinvio all' autunno delle votazioni sugli organismi dirigenti locali. Fare il congresso e votare implicherebbe però una fortissima accelerazione: convocare il congresso subito, per chiudere all' angolo Bersani e compagni costringendoli a cimentarsi in battaglia. E far venire meno le ragioni di vita del governo, portando Gentiloni a dimissioni lampo il giorno dopo le primarie.
Qualcuno azzarda: magari dopo un incidente parlamentare: perché la presa di distanze dal governo con la lettera dei 37 fedelissimi guidati dal fiorentino Fanucci - mirata a far quadrare i conti solo con tagli di spesa e proventi da evasione fiscale, senza aumenti di accise - è un avvertimento. Anche se gli stessi renziani più fedeli lo definiscono «un boomerang», perché «avremmo dovuto essere almeno tutti quelli della prima ora, così sembra che perdiamo pezzi», dice uno dei firmatari .
Lo stesso Renzi, nella telefonata di ieri a Padoan, ha comunque ribadito la linea: «La manovra correttiva non serve, non dovete toccare le accise, continuate a trattare con l' Ue».
Il colloquio con Orlando
Un piano che si scontra con i potentati interni, con Dario Franceschini, con cui pare abbia parlato ieri, e altri capicorrente. A partire da Andrea Orlando, con il quale Renzi si è intrattenuto ieri al Nazareno.