MAY 'NA GIOIA - LA PREMIER BRITANNICA VA A BERLINO IN GINOCCHIO DALLA MERKEL PER SALVARE LA BREXIT - DI FRONTE AL MURO DI GOMMA DELL'EUROPA CHE COSA RESTA ALLA "COZZA DI FERRO"? RIPROVARE A CONVOCARE IL PARLAMENTO, ALZARE DIGNITOSAMENTE I TACCHI IN ANTICIPO O APRIRE AL REFERENDUM 2.0 PER CANCELLARE L'USCITA DALL'UE? LA SFIDUCIA DELL'ALA PIÙ ANTIEUROPEISTA DEL PARTITO CONSERVATORE...
-Giovanni Masotti per “Libero quotidiano”
Povera Theresa dei mille sospiri, costretta a scapicollarsi dai potenti d' Europa... Le manca una fisarmonica al collo e un piattino in mano. Il resto c' è tutto: sorriso triste, sguardo implorante e ruffiano, contemplazione speranzosa dell' atteggiamento dell' interlocutore di turno e trepida attesa. Mette la monetina, o non la mette? O fa solo la mossa di sporgersi un po' in avanti e poi si ritira? È ridotta male l' incespicante donnetta che - dopo mesi di esitazioni e piroette - aveva alacremente tramato per fingere di mettere in pratica la Brexit, in realtà preparando il trappolone ai concittadini che - a maggioranza e tra gli anatemi dei soliti noti - avevano votato per un divorzio netto, se vogliamo traumatico, dalla Ue dei burocrati e dei finanzieri, tanto forti anche Oltremanica. Senza furberie e compromessi sottobanco. Via e basta. Saluti e baci. Senza rancore.
Una stretta di mano. E via! Finalmente... Macché. Lei, abilmente irretita dai marpioni bruxellesi dello "zero virgola" e spaventata dai ricconi della sua City, aveva tradito la volontà popolare manifestata nel referendum del giugno 2016 e - il 25 novembre scorso - leggera come una libellula, aveva trionfalmente stretto l' accordo con la Ue che avrebbe annacquato e ridicolizzato la Brexit, rendendola una mezza e strana cosa, una gamba di qua e una di là, un po' dentro e un po' fuori.
Dopo il "lunedì nero" in quel della normalmente sonnacchiosa Westminster, spernacchiata da un buon numero di deputati incavolati come jene, la "signora May dire May" ha pensato bene - visto che, in patria l' avrebbero crocefissa senza pietà bocciandole il mirabile capolavoro - di mollare gli ormeggi dalla spietata Londra e di infilarsi, disperatamente speranzosa, in un umiliante gioco dei quattro cantoni (l' olandese, la tedesca, i due capoccia di Bruxelles) mendicando aiuto e comprensione in cerca di sopravvivenza, naturalmente «per il bene supremo della Gran Bratagna e dell' Europa».
INTRAPPOLATA Tanto emozionata, ansiosa e fuori di testa, che - al cospetto della coriacea Frau Angela, simulacro di quella che fu - non riusciva nemmeno ad aprire la portiera dell' auto blu e a fuoriuscirne senza intoppi per farsi incontro, pronta all' abbraccio, alla (imbarazzatissima) ex-grande della Terra, sinceramente in pena per l' amica agonizzante.
Tanti sforzi per bersi l' amaro calice del "vengo e mi prostro" e nessun risultato. Almeno nel rispondere picche ai contorcimenti della premier (ancora per poco) della ruzzolante Britannia, i leader europei - nell' ordine di apparizione sugli schermi della "Brexit-telenovela" Rutte, Merkel, Juncker e Tusk - sono stati per-fe-tta-men-te in sintonia. Giusto con qualche sfumatura di differenza, più o meno gelidamente, i quattro cavalieri dell' Apocalisse hanno cortesemente mandato, anzi rimandato, la malcapitata ospite a quel paese, il suo: grigio, piovoso e cattivone. L' intesa è quella e non si tocca. Comprendiamo, ma rigettiamo. Rinegoziare no. È l' unico e migliore patto che si potesse sottoscrivere. Qualche approfondimento, qualche chiarimento.
Quelli non si negano a nessuno. Saremo vicini al popolo britannico e a quello irlandese... Ma prendere o lasciare. E buon viaggio... Già, "popolo britannico e popolo irlandese". Perché di questo, soprattutto di questo, si era precipitata a discettare - anzi a frignare - la sventurata Theresa. Il famigerato "backstop" (clausola di salvaguardia) escogitato per mantenere aperta la frontiera tra le due Irlande, che - fino al '98 - era stata chiusa e armata fino ai denti in ragione dei rapporti non proprio idilliaci a lungo (e drammaticamente) intercorsi tra Belfast e Dublino.
SITUAZIONE SURREALE La derelitta May, in fondo una brava ragazza di oxfordiane radici, chiedeva umilmente garanzie che nell' infernale meccanismo il Regno Unito non rimanesse intrappolato "sine die", vita natural durante o giù di lì. Perché il "backstop" - ponzato per non alimentare nuove deprecabili tensioni tra il nord e il sud dell' isola - creerebbe una situazione surreale, vista come il fumo negli occhi dai conservatori brexiteers e dagli unionisti nordirlandesi, oltre che (ovviamente) dai resuscitati laburisti, pronti a proporre la mozione di sfiducia anti-Theresa per liberarsene il prima possibile e puntare dritti a Downing Street.
Perché situazione surreale? Perché l' Ulster resterebbe (non si sa per quanto) nel mercato unico europeo e il resto della Gran Bretagna - appena un passettino di lato - perpetuerebbe il rapporto con la Ue in un regime di Unione doganale, mentre la frontiera verrebbe collocata nel mar d' Inghilterra. Roba da chiodi.
Di fronte al muro di gomma dell' Europa (che ha tutta l' aria di essere ribadito nel vertice di domani) che cosa resta a Mrs. "Suspiria" May? Riprovare, malgrado tutte le bastonate calatele sul capino, a convocare il Parlamento per il voto decisivo entro il 21 gennaio, contando sul diffuso terrore di un disordinato e rischioso "no deal" e confidando in Dio e nella Regina? Oppure alzare dignitosamente i tacchi in anticipo (molti ci sperano, pochi ci credono)? Oppure, ancora - questa opzione prende quota dopo il sì della Corte di Giustizia europea al diritto unilaterale di revoca dell' uscita - aprire al referendum 2.0 per cancellare la Brexit, come dire "abbiamo scherzato"? La patata bollente è nelle mani della premier. Che, prima o poi - di questo passo - potrebbe arrivare a sperare di essere cacciata: è diventata l' ostaggio numero uno del caos che ha provocato.
MAY GIRA L' EUROPA PER SALVARE BREXIT
Davide Zamberlan per “il Giornale”
Dopo avere rinviato lunedì il voto dei Comuni sull' accordo per la Brexit, Theresa May ha ieri cominciato un mini tour de force tra le principali capitali europee: la mattina in Olanda a colloquio con il primo ministro Mark Rutte; a pranzo con Angela Merkel a Berlino, dove ha anche incontrato la nuova leader della Cdu, Annegret Kramp-Karrenbauer. Il pomeriggio a Bruxelles, a confronto con il presidente della Commisione Europea Jean-Claude Juncker e il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. Domani sarà poi la volta di Leo Varadkar a Dublino, dove discuterà con il primo ministro irlandese il principale ostacolo all' approvazione dell' accordo da parte del Parlamento di Londra, la clausola di backstop per scongiurare il ritorno a un confine fisico nell' isola d' Irlanda.
Ma di cosa ha parlato Theresa May con i leader europei, poche ore dopo una clamorosa marcia indietro sul voto parlamentare, negata fino alla mattina di lunedì dallo stesso Michael Gove, uno dei suoi ministri più in vista? Quale nuove idee e soluzioni e clausole da aggiungere al testo della bozza può aver portato all' attenzione dei colleghi europei, che non siano già state discusse e ponderate nei 18 mesi precedenti?
Angela Merkel, dopo l' incontro con May, ha escluso che l' accordo possa essere ridiscusso. Il primo ministro inglese aveva dichiarato lunedì in Parlamento che sarebbe ritornata a parlare con i leader europei per avere ulteriori rassicurazioni che la clausola di backstop sarebbe stata temporanea e che il Regno Unito non sarebbe rimasto legato a Bruxelles per un periodo indefinito. «Rassicurazioni» è la stessa parola usata ieri da Merkel, che più in là non può o non vuole spingersi. La bozza è quella e non si cambia, è lo stesso mantra ripetuto da Juncker dopo l' incontro con la premier inglese. Ci può essere spazio per «ulteriori chiarimenti», ha detto al Parlamento europeo.
In che cosa consistano, non è chiaro. Alcuni funzionari europei hanno dichiarato che si può pensare di emendare la dichiarazione politica in alcuni suoi dettagli, spiegare meglio la temporaneità della clausola di backstop. Che tuttavia è la parte non vincolante dell' accordo, il libro dei buoni propositi. La parte vincolante, quella che contiene i dettagli legali, non si tocca. Theresa May non ha molto da offrire ai colleghi europei, forse null' altro che la sua debolezza e la prospettiva che tutti temono. Una hard Brexit, uno shock economico e finanziario dalle conseguenze imprevedibili sia per il Regno Unito che per l' Unione Europea.
Ora che ha rinviato il voto rendendo palese l' insostenibilità della sua posizione, è forse questa la sua ultima carta. Attendere, far trascorrere il tempo, rendendo di giorno in giorno più probabile la prospettiva di una hard Brexit. Che, tra le altre cose, porterebbe in dote il ritorno a un confine tra Irlanda e Irlanda del Nord.
Anche la politica interna inglese sembra essersi sintonizzata sull' attendismo di May. Corbyn minaccia in Parlamento di chiedere un voto di fiducia, il Labour è pronto ma non si muove. Lo è da settimane anche l' ala più antieuropeista del partito conservatore, deve raccogliere 48 lettere per sfidare internamente la l' autorità di May, ogni giorno sembra essere sul punto di esserci ma nulla accade. Anche nel pomeriggio di ieri sono circolate indiscrezioni sul raggiungimento delle 48 lettere di sfiducia. Qualche tweet eccitato di parlamentari e commentatori, smentite e poi nulla di fatto. Nessuno compie la prima mossa. Con May in sella un giorno in più. Un gioco di dichiarazioni e smentite in cui tutti hanno paura di fare la prima mossa, di partire troppo presto e farsi superare poco prima del traguardo.