TRA MELONI E DE BENEDETTI E’ GUERRA APERTA - DOPO GLI INSULTI DELL’INGEGNERE ALLA PREMIER (“DEMENTE E INCOMPETENTE”), FRATELLI D’ITALIA PRESENTA UNA INTERROGAZIONE PARLAMENTARE AL MINISTRO NORDIO SUI RITARDI NELL’INDAGINE SUI PRESUNTI RAGGIRI PER LE PENSIONI DEI DIPENDENTI DEL GRUPPO EDITORIALE GEDI ALL’EPOCA DI CARLO DE BENEDETTI – “GEDI SEMBRA ESSERE CADUTO NELLA TRUFFA AI DANNI DELLO STATO. IL RITARDO NELLA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO, RISCHIA DI FAR CADERE IN PRESCRIZIONE DIVERSE ANNUALITÀ NEL CORSO DELLE QUALI…” - LO SCOOP DE "LA VERITA'"
-Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori per la Verità
L’inchiesta della Procura di Roma sulla presunta truffa milionaria ai danni dello Stato da parte del gruppo editoriale Gedi procede nel massimo riserbo. Al punto che se ne sono perse le tracce, almeno a livello mediatico. E così alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia hanno deciso di chiedere lumi al ministro della Giustizia Carlo Nordio sullo stato dell’arte. Risale a due mesi fa l’ultimo articolo sull’argomento ed è stato pubblicato proprio da questo giornale. Uno scoop che i deputati hanno recuperato e citato in un’interrogazione a risposta scritta appena depositata.
Non si può non constatare che l’improvviso ritorno d’interesse sulla vicenda giudiziaria combaci con alcuni pesanti giudizi rilasciati dall’imprenditore ed editore Carlo De Benedetti sulla premier Giorgia Meloni e sulla maggioranza che la sostiene.
Insomma più che un messaggio per l’attuale proprietà di Gedi, la famiglia Agnelli-Elkann, l’istanza sembra un avvertimento per i precedenti controllori, De Benedetti e figli. Infatti tra gli indagati ci sono alcuni ex fedelissimi dell’Ingegnere, a partire da Monica Mondardini, già ad della casa editrice e attuale amministratrice del gruppo Cir, la cassaforte dell’editore del Domani.
L’imprenditore ha appena dato alle stampe la sua ultima fatica letteraria, Radicalità, e ha partecipato alla kermesse organizzata dal suo giornale intitolata senza troppa fantasia «L’Italia di Domani. Tempi radicali».
Proprio durante la due giorni di incontri e dibattiti, a cui hanno partecipato Elly Schlein e Stefano Bonaccini, ha accusato i nuovi governanti di «incompetenza», giudicandoli «in gran parte degli ignoranti», «delle persone che non capiscono neanche quello che dicono», ma soprattutto ha sbeffeggiato «la figurina del nostro primo ministro», la Meloni, che, a giudizio dell’editore, si dice soddisfatta quando esce da una riunione a Bruxelles dopo non aver ottenuto alcunché, dimostrando così «autolesionismo» e «demenza».
(...) Ma da Roma è arrivata pronta la risposta, sotto forma di interrogazione, quella presentata dai deputati Sara Kelany, Francesco Filini, Carmen Letizia Giorgianni, Paolo Pulciani e Massimo Ruspandini.
E proprio la Kelany, prima firmataria, ci spiega il senso dell’iniziativa: «Il nostro timore, fondato su oggettivi elementi, come il ritardo nella conclusione delle indagini e il fatto che non si sia ancora provveduto al rinvio a giudizio, è che possano andare prescritti reati gravissimi che, se accertati, avrebbero sia procurato enorme danno all’Erario, sia falsato la concorrenza in un settore in crisi come quello dell’editoria, nodale per la tenuta democratica della Nazione».
A questo punto la parlamentare, neppure troppo tra le righe, ci fa comprendere come la coincidenza temporale con le esternazioni di De Benedetti potrebbe non essere casuale: «Aggiungo che all’epoca dei fatti il gruppo era di proprietà di De Benedetti, il quale pochi giorni fa, alla festa del giornale di cui oggi è editore, ha scompostamente affermato che il governo Meloni sarebbe pieno di dementi e incompetenti. Ecco il gruppo Gedi, che faceva e fa del moralismo un’arma per attaccare quotidianamente il centro-destra, sembra, invece, essere caduto nella truffa ai danni dello Stato. Mi chiedo se sia questo il modello di competenza di cui è portatore De Benedetti».
La dichiarazione di guerra lanciata dall’editore «radicale» e dal suo giornalino ha trovato pronto il partito di maggioranza relativa. L’interrogazione è la prima reazione di chi non sembra più disposto a subire attacchi in silenzio. Soprattutto da parte di un miliardario che risiede in Svizzera, da dove sparge giudizi sferzanti sull’Italia.
I deputati, come detto, in premessa, citano un articolo pubblicato dalla Verità lo scorso 19 febbraio, dal titolo «Presunta truffa di Gedi, per ora pagano soltanto i prepensionati» e ricordano quanto riportato da questo giornale a partire dalla fine del 2021 a proposito dell’inchiesta della Procura di Roma sulla presunta frode messa in atto da Gedi, indagine che coinvolge oltre 100 tra top manager e dipendenti (in gran parte ex) e 5 società dello stesso gruppo.
I cinque esponenti di Fdi sottolineano anche che nel dicembre 2021 i magistrati ordinarono nei confronti di queste aziende un sequestro preventivo di oltre 38 milioni di euro, corrispondenti all’ipotizzato «illecito risparmio dei costi del personale» realizzato dal gruppo editoriale attraverso manovre che avrebbero causato all’Inps danni per decine di milioni di euro.
A questo punto i parlamentari pungono De Benedetti nell’orgoglio di imprenditore: «Inoltre, per i titolari dell’inchiesta, le operazioni del gruppo Gedi sarebbero avvenute “a discapito […] della libera concorrenza nel settore commerciale di riferimento”, con evidente enorme danno per tutti i competitori, particolarmente grave in un settore in crisi come quello dell’editoria; a tal proposito, è bene ricordare come il gruppo Gedi sia stato l’editore del settimanale L’Espresso, fino al luglio 2022, e sia tuttora l’editore dei quotidiani La Repubblica e La Stampa, nonché di diversi altri quotidiani, periodici, emittenti radiofoniche e televisive».
Media ostili, che criticano aspramente tutti i giorni il governo, mentre gli inquirenti dormicchiano: «Lo scorso mese di maggio i magistrati titolari dell’inchiesta hanno firmato l’avviso di conclusione delle indagini nei confronti di 101 persone e cinque aziende del gruppo Gedi, ma, da quanto si apprende dai media, la Procura di Roma non avrebbe ancora formalizzato la richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati, e nemmeno sembrerebbe stata fissata la data dell’udienza preliminare». Una lentezza che perplime i firmatari: «Il ritardo nell’esercizio dell’azione penale, quindi la richiesta di rinvio a giudizio, rischia di far cadere in prescrizione diverse annualità nel corso delle quali il sistema truffaldino avrebbe operato, con un indubbio vantaggio per gli indagati, in caso di condanna, ma soprattutto un notevole danno per lo Stato; a rendere la questione ancora più paradossale, il fatto che il fascicolo penale sia stato aperto nel 2018 e l’avviso di chiusura delle indagini» sia arrivato «solamente nella primavera del 2022».
Per questo i cinque deputati chiedono a Nordio se «sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa» e «quali urgenti iniziative, per quanto di sua competenza, intenda promuovere, per scongiurare il verificarsi dell’inaccettabile circostanza che un evento di così grave portata, che riguarda non solo un presunto danno all’erario, ma anche la tutela della libera informazione, elemento cardine della nostra società e del nostro Stato, cada in prescrizione, senza che le eventuali responsabilità degli indagati vengano accertate dalla magistratura». De Benedetti, ma anche i nuovi padroni del gruppo Gedi, sono avvertiti. Adesso a Nordio toccherà verificare se la flemma degli inquirenti capitolini sia giustificata.