LA MELONI SE NE FACCIA UNA RAGIONE: "ITA" NON PUÒ SOPRAVVIVERE DA SOLA – CON L’ACCELERAZIONE SULLA VENDITA, DRAGHI HA MANDATO UN MESSAGGIO ALLA “DUCETTA”. LEI STREPITA, MA SA BENE CHE IL DESTINO DELL'EX ALITALIA (SU CUI LO STATO HA BUTTATO 15 MILIARDI NELL’ULTIMO MEZZO SECOLO) È SEGNATO. MA NON È DETTO CHE ALLA FINE LA SPUNTI DAVVERO LA CORDATA CERTARES-DELTA-AIR-FRANCE: MSC E LUFTHANSA POSSONO ANCORA RIBALTARE IL TAVOLO CON UN RILANCIO – LA SORPRESA DI GIORGETTI E IL SILENZIO DI SALVINI
-Alessandro Barbera per “La Stampa”
A Palazzo Chigi si augurano non sia la replica di un film già visto. Aprile 2008: poco prima di restare senza maggioranza, il governo di Romano Prodi stringe l'accordo con Air France-Klm per la vendita di Alitalia alla cordata franco-olandese.
Prima ancora di andare al voto, Silvio Berlusconi sentenzia che la compagnia deve restare in mani italiane. L'epilogo è noto: il nuovo premier organizza la cordata dei capitani coraggiosi e nel giro di pochi mesi Alitalia brucia un aumento di capitale da un miliardo di euro.
Anche questa volta, complici i ritardi burocratici del Tesoro, l'ennesima operazione di vendita è arrivata sul filo di lana con il governo già dimissionario. Per questo Mario Draghi, deciso a lasciare il tavolo sgombro dal dossier, ha recapitato ai partiti di centrodestra e in particolare a Giorgia Meloni un messaggio molto preciso: «Abbiamo impostato un lavoro che può dare una prospettiva alla compagnia. L'esperienza ci insegna che l'unica possibile è quella di un'alleanza con un grande gruppo».
In apparenza le dichiarazioni della leader di Fratelli d'Italia dopo l'annuncio del Tesoro sembrano una risposta poco convinta: «Ritenevo che l'attuale governo non dovesse andare avanti in una materia così strategica. Non ho in mano il dossier, ma è un altro pezzo di Italia che se ne va».
La scelta del condizionale e alcune telefonate di riscontro alla prima linea del partito raccontano una verità diversa. La Meloni sa bene che Alitalia non ha speranze di sopravvivere senza un partner forte. Informata dei termini dell'operazione, sa che l'offerta della cordata americana e franco-olandese fornisce molte più garanzie di quella tedesca: promette di investire di più, lascia al governo italiano il 40 per cento del capitale e la scelta del presidente di Ita.
Spiega un esponente del partito sotto stretto anonimato: «Lufthansa in Europa può contare già su almeno cinque hub, fra cui Francoforte, Monaco e Zurigo. Air France e Klm ne hanno solo due, a Parigi e Amsterdam. È evidente che le opportunità di crescita per Alitalia sono migliori nella seconda ipotesi».
Non solo. La Meloni è consapevole che ripartire da zero significherebbe dover investire tempo ed energie nell'ennesima operazione di salvataggio. Da novembre - se i sondaggi non si sbagliano - avrà ben altro a cui pensare: la guerra, la crisi del gas russo, l'inflazione a due cifre, i tassi in crescita, una Finanziaria da votare a tempo di record pena l'esercizio provvisorio e la punizione dei mercati.
A meno di colpi di scena, Draghi farà dunque procedere la vendita il più rapidamente possibile, nella speranza di arrivare ad un protocollo di intesa con i compratori entro i primi giorni di novembre. Fra i vertici del fondo americano che ha preparato l'offerta c'è consapevolezza del fatto che il nuovo governo potrebbe chiedere condizioni più stringenti.
Solo dopo le elezioni si capiranno gli effettivi rapporti di forza dentro il centrodestra, e questo peserà anche sulla chiusura dell'operazione. Ieri, non appena ricevuta la notizia sulla trattativa in esclusiva, il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti ha cercato la Meloni per dire che lui avrebbe preferito la soluzione tedesca.
«La notizia dell'avvio del negoziato in esclusiva ha colto di sorpresa la Lega», dice oggi in un'intervista al Secolo XIX di Genova. «Con questa ipotesi manca un futuro per la compagnia e i suoi lavoratori».
Il leader Cinque Stelle Giuseppe Conte ha chiesto di «chiarire le ragioni che hanno spinto a privilegiare l'offerta americana». Non ha detto nulla invece Matteo Salvini, a conferma dell'impressione che questa volta il destino della compagnia è segnato: ormai è troppo piccola e troppe sono state le volte in cui la politica ha fallito. Negli ultimi quarant'anni l'astratta difesa nazionalista, dei posti di lavoro, il dibattito attorno al dualismo Roma-Milano hanno lentamente distrutto la compagnia alla modica cifra di quindici miliardi di euro. Nel 2008 l'Alitalia tricolore di Berlusconi ripartiva con quasi duecento aerei. Oggi sono cinquantadue.
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