LA MELONI SI È MAGNATA "IL CAPITONE" E "IL BANANA" - DA DOVE SONO ARRIVATI I 5,9 MILIONI DI VOTI IN PIÙ RISPETTO AL 2018 PER FRATELLI D'ITALIA? FACILE, DA LEGA E FORZA ITALIA - IL TERZO POL(L)O RUBA A ENRICHETTO LETTA TRA IL 10 E IL 20% DEI VOTI - I DIRIGENTI DEL PD DEVONO CAPIRE CHE FARE DA GRANDI: L’UNICA SOLUZIONE PER ESSERE RILEVANTI È TORNARE A DISCUTERE DI...
-Emilia Patta per “il Sole 24 Ore”
Fratelli d'Italia cannibale, che mangia i suoi alleati. Il dato era evidente già domenica sera, per così dire a occhio nudo. E il conteggio dei voti reali lo rende impietoso: 5,9 milioni di voti in più rispetto al 2018 per il partito di Giorgia Meloni (dal 4 al 26%), 3 milioni e 200mila voti in meno per la Lega (dal 17,3 all'8,7%), quasi due milioni e 330mila in meno per Forza Italia (dal 14 all'8%). Le analisi dei flussi dei vari istituti (il Cattaneo su dati reali di sezione in dieci grandi comuni, Swg e Ixè sulla base di sondaggi) pubblicati ieri non possono dunque che confermare il trend. E nel caso del Cattaneo, che fa riferimento anche alle europee del 2019 quando la Lega di Matteo Salvini arrivò al tetto del 34,3%, lo svuotamento è ancora più evidente.
«Si tratta in larga prevalenza di scambi interni all'elettorato di centrodestra - scrivono nel rapporto che accompagna le tabelle i curatori Salvatore Vassallo e Rinaldo Viganti -. Si può dire che, grosso modo, nelle città analizzate l'elettorato di FdI è formato per più dell'80 per cento da elettori che alle europee avevano già scelto il centrodestra, mentre la parte restante si divide tra recuperi dall'astensione e variamente dal centrosinistra e da altri partiti». La perdita della Lega verso FdI «è ingente», ma il partito di Salvini perde un po' in tutte le direzioni: verso Forza Italia, soprattutto al Sud, e verso l'astensione.
Ma la crescita eccezionale di FdI non è l'unico spostamento di massa dal 2018. Il M5s prese cinque anni fa il 33% dei voti vincendo la palma di primo partito. Dove sono finiti quei voti, visto che il consenso si è più che dimezzato (15,5%)? Si tratta di 6 milioni e 400mila voti in uscita, uno spostamento ancora maggiore di quello in entrata verso FdI. In questo caso va segnalato che la mobilità elettorale tra il 2018 e il 2022 ha attraversato due fasi ben distinte: nella prima (2018-2019) c'è stato un significativo travaso di voti dal M5s al centrodestra, travaso di cui inizialmente ha beneficiato soprattutto la Lega (infatti alle europee del 2019, un anno dopo le politiche, il M5s era già sceso al 17%); nella seconda gli schieramenti sono rimasti abbastanza stabili mentre c'è stato un significativo travaso interno al centrodestra, con i voti di Forza Italia e soprattutto della Lega - compresi gli ex 5 Stelle - spostatisi sul partito di Meloni. Una volta persi i voti di destra, dunque, rispetto al 2019 il M5s ha attinto soprattutto al bacino dei fedelissimi e a quello dell'astensione.
Da parte del Pd e del centrosinistra non ci sono stati significativi spostamenti verso i 5 Stelle. E infatti l'elettorato del Pd si conferma il più fedele a se stesso: il grosso degli elettori che ha votato per i dem domenica scorsa lo aveva già fatto nel 2018 e nel 2019. L'unico flusso evidente in uscita è stato nel caso del Pd quello verso Azione-Italia Viva: tra il 10 e il 20% degli elettori dem ha optato per la lista guidata da Calenda, altra novità di queste elezioni (quasi l'8%). Il grosso dell'elettorato del cosiddetto Terzo Polo viene dunque dal partito di origine di Calenda e Renzi, circa il 60%, ma il restante 40% viene dal centrodestra nelle sue tre componenti (FdI, Lega e Fi). Come si diceva, i flussi verso e da tra gli ex alleati Pd e M5s appaiono molti ridotti nel complesso.
Ma analizzando i dati del Cattaneo più da vicino si nota qualche movimento al Centro: rispetto al 2019 nella città di Bologna quasi il 20% dei voti al M5s viene dal Pd (lo stesso fenomeno, in maniera ridotta, si nota anche a Padova, Genova e Torino). Questo fenomeno, unito al voto democratico perduto in favore del Terzo polo di Calenda e Renzi, contribuisce a spiegare la cattiva performance dei dem anche nelle (ormai ex) zone rosse. Se la lista Calenda è andata bene in Emilia Romagna (8,6%) e in Toscana (9,4%), altrettanto bene sono andati i 5 Stelle rispetto allo storico locale: 9,9% in Emilia e 11% in Toscana. Voti, questi del M5s, pescati soprattutto a sinistra e tra gli astenuti. È chiaro che il Pd, schiacciato a destra e a sinistra, rischia di non essere competitivo alle amministrative della prossima primavera pure nelle sue roccaforti storiche. Insomma il tema delle alleanze, che già si impone nel dibattito interno in vista del congresso annunciato dal segretario Enrico Letta, è dirimente per il fronte delle opposizioni.
Pena un conto finale simile a quello dei collegi uninominali conquistati il 25 settembre dal centrodestra: 180 a 20 su 200. Anche per questo i fautori dem del ritorno al dialogo con il M5s stanno lavorando da subito all'accordo giallorosso per il Lazio. Con Nicola Zingaretti eletto in Parlamento la Regione sarà la prima a tornare al voto, tra fine gennaio e inizio febbraio. E dal quartiere generale del governatore fanno notare che in Giunta ci sono ora sia i 5 Stelle sia Azione-Italia Viva, che a Roma ha ottenuto un buon 11%. Strada impervia, ma l'alternativa è un altro massacro per il centrosinistra.