MENTRE RENZI E CONTE SE LE DANNO DI SANTA RAGIONE, LA MAGGIORANZA MOSTRA LE SUE CREPE. GUERINI: "SE SALTA IL PREMIER, C’E’ IL RISCHIO CHE SALTINO ANCHE I GRILLINI" - UNA PARTE DEL M5S ATTACCA IL PD ANNUNCIANDO IL VOTO CONTRARIO ALLA FUSIONE TRA MPS E UNICREDIT (MOLTO CARA AI DEM) E ACCUSANDO GLI ALLEATI DI "TRADIMENTO" SULLA SCUOLA. NEL PD PIENO DI RENZIANI IN SONNO C'È CHI PUNTA L' INDICE CONTRO BETTINI E IL SINDACATO DEI MINISTRI “ULTIMI MOHICANI DI CONTE” – LA LINEA DI ZINGA E I DAGO-SCENARI DELLA CRISI
I DAGO-SCENARI DELLA CRISI
Francesco Verderami per il Corriere della Sera
Ormai nella maggioranza nessuno si fida più di nessuno. Non solo Conte e Renzi, che neppure si parlano, siccome il primo insegue da tre giorni il secondo che si nega persino al cellulare.
Qualche sinistro scricchiolio si avverte anche nei rapporti tra il premier e gli altri suoi alleati. Di Maio e Zingaretti hanno studiato insieme a Palazzo Chigi una sorta di road map per tentare di pilotare una crisi che appare senza controllo.
Sapendo che il vertice di ieri sul Recovery plan non avrebbe prodotto risultati, il titolare degli Esteri e il leader del Pd hanno proposto al capo dell' esecutivo di prepararsi a convocare per lunedì il Consiglio dei ministri.
Il weekend verrebbe sfruttato per verificare se c' è la possibilità di chiudere un' intesa con Italia viva: e questi margini - per quanto esigui - ci sarebbero ancora. La riunione di governo a inizio settimana sul Recovery plan segnerebbe perciò lo spartiacque: potrebbe servire a chiudere l' accordo per una transizione indolore dal Conte 2 al Conte 3 - previo il passaggio formale dal Quirinale - oppure decreterebbe la rottura con Renzi.
La tattica dei duellanti è ormai chiara: da una parte il premier - che mira a disinnescare una per volta le mine poste da Iv sul suo sentiero - e dall' altra Renzi che chiede garanzie su tutto il pacchetto e non accetta l' idea di veder spostato in avanti il confronto sulle «altre priorità della legislatura», come propone Conte.
Ma il clima di reciproca diffidenza sembra essersi propagato al resto della maggioranza. Non si spiega altrimenti la fibrillazione che a un certo punto ieri si è colta nei palazzi della politica e delle istituzioni, le voci - peraltro non confermate - di un precipitare della crisi già nel fine settimana, con un premier colto dalla tentazione di rompere gli indugi per sfidare Iv in Parlamento, in modo da arrivare alle elezioni anticipate.
Perché la manovra di Iv è stato solo l' innesco del «rompete le righe» nella coalizione, che inizia a mostrare le sue pericolose crepe ovunque. Ce n' è la prova, dato che - mentre i renziani e Conte se le davano di santa ragione al vertice - una parte di grillini ha preso ad attaccare il Pd su temi sensibili, annunciando il voto contrario alla fusione tra Mps e Unicredit - molto cara ai democratici - e accusando gli alleati di «tradimento» sulla scuola. I fronti di conflitto si moltiplicano, e quindi l' opzione della scorciatoia per Conte potrebbe rappresentare l' unica arma a disposizione per garantirsi la possibilità di restare il punto di riferimento dei giallorossi anche dopo le urne.
Perché ora il premier è spalle al muro e il Pd fatica a reggere la posizione. Il ministro della Difesa giorni fa è dovuto intervenire per smorzare le polemiche nel partito, assai critico per il modo in cui Palazzo Chigi ha gestito la verifica, immaginando di resistere a dispetto di tutti e di tutto. «Guardate che se salta Conte c' è il rischio che saltino i Cinque Stelle», ha spiegato Guerini:
«Al Senato c' è una frangia consistente del gruppo grillino che non appoggerebbe un altro governo con un altro presidente del Consiglio». Ma il malumore tra i dem inizia a tracimare, perché - persino tra quanti non sono mai stati renziani - c' è chi punta l' indice contro «Bettini e il sindacato dei ministri che sono gli ultimi mohicani di Conte», c' è chi non accetta di «rompere con Iv per unirci ai responsabili» e chi sottolinea che «in fondo ad aver piegato Conte è stato Matteo».
L' equilibrio è fragile. Così ieri in direzione Zingaretti ha dovuto usare tutta l' abilità di cui dispone per tenere insieme i tanti Pd di cui si compone il Pd. Ha parlato di «rischio di elezioni anticipate», non le ha minacciate. Ha difeso il gabinetto Conte ma non ha escluso le altre strade, ponendo il problema sotto forma di interrogativo: «Un altro governo confuso? Trasformista? Trasversale? Tecnico?
Non porterebbe nulla di buono all' Italia». Il leader dem ha evitato di esprimere giudizi ultimativi sulle varie opzioni, intanto perché devono consumarsi i passaggi di questa crisi e soprattutto perché sa che se si aprisse ora la discussione sugli scenari futuri, il partito potrebbe dividersi. La linea di Zingaretti ha garantito l' unità del Pd: l' accordo con gli altri maggiorenti è di affrontare dopo la questione del «dopo», semmai si dovesse arrivare alla crisi.
Sarà forse per questo che Conte inizia a vedere fantasmi un po' ovunque, sarà questo il motivo della tentazione di forzare il gioco. Sarà forse che le responsabilità di questa situazione non sono solo di Renzi.