MICHELE AINIS HA TROVATO IL CAVILLO PER IL MATTARELLA-BIS! "IL PRESIDENTE SCADE IL 3 FEBBRAIO, MA NON È DETTO CHE QUEL GIORNO IL PARLAMENTO ABBIA GIÀ TROVATO IL SUCCESSORE. CHE NE SARÀ, QUINDI, DI LUI? LA COSTITUZIONE NON LO DICE. IL PARLAMENTO POTREBBE GIOCARE UNO SCHERZETTO AL VECCHIO PRESIDENTE: PER RIELEGGERLO BASTA NON ELEGGERLO, BASTA MANDARE A VUOTO OGNI SUCCESSIVA VOTAZIONE, TANTO LUI VERREBBE PROROGATO"
-Michele Ainis per "la Repubblica"
Girano regole bizzarre attorno all'elezione del prossimo capo dello Stato. Anzi: doppiamente bizzarre, giacché nel Paese delle cinquantamila leggi le regole in questione sono figlie d'una lacuna normativa, derivano insomma da un vuoto di diritto. Eppure il paradosso si profila già al momento della scelta, durante l'espressione del voto. In questo caso mancano, difatti, candidature avanzate ufficialmente dai partiti. La Costituzione non le vieterebbe, ma una prassi battezzata nel maggio 1948 (quando fu eletto Einaudi) qualifica il Parlamento in seduta comune come collegio imperfetto, dove si vota ma non si può discutere sull'oggetto del voto.
Di conseguenza il primo accorgimento del candidato perfetto è negare l'esistenza stessa della sua candidatura, per evitare di bruciarla. Da qui un festival dell'ipocrisia, ma da qui inoltre un velo d'opacità sull'elezione, che si consuma in conciliaboli nelle segrete stanze dei partiti, mentre ai cittadini non resta che sbirciare dal buco della serratura. Infine viene fuori un nome. Quale? Poniamo Mario Draghi.
Ma poniamo altresì che si chiami Draghi Mario anche un postino di Siena, e che il giorno dopo quest' ultimo si presenti ai corazzieri per cominciare il suo mandato. Dopotutto, ne avrebbe buon diritto. Mancando candidature formali, mancando una lista elettorale affissa nei seggi come avviene alle politiche, per quale ragione non potrebbe essere proprio lui l'eletto? Risposta: perché evidentemente si presume che il nuovo presidente sia persona già nota agli italiani, e non è il caso del postino.
Però si tratta di un'altra regola non scritta, di un'altra toppa sopra il buco delle regole. E Mattarella? Scade il 3 febbraio, ma con l'aria che tira non è detto che quel giorno il Parlamento abbia già trovato il successore. Che ne sarà, quindi, di lui? La Costituzione non lo dice. L'articolo 85, difatti, menziona un'ipotesi diversa: se le Camere sono sciolte, o mancano meno di tre mesi alla loro cessazione, l'elezione slitta, mentre il presidente viene prorogato. Sicché delle due l'una: o s' estende per analogia la prorogatio anche a questo caso, oppure il 3 febbraio subentrerà il supplente, cioè la presidente del Senato.
Più giusta la prima soluzione, tuttavia, giacché la supplenza muove da un "impedimento" del capo dello Stato, mentre qui l'impedito è il Parlamento. Che perciò potrebbe giocare uno scherzetto al vecchio presidente: per rieleggerlo basta non eleggerlo, basta mandare a vuoto ogni successiva votazione, tanto lui verrebbe prorogato. Chi invece non può subire proroghe è il presidente del Consiglio, ove venga eletto al Quirinale. Dovrà dimettersi con effetto immediato, dato che la Costituzione vieta il doppio mestiere.
E il governo, chi lo guida? Silenzio: nessuna norma disciplina l'ipotesi in questione, né la morte (facciamo gli scongiuri) del premier in carica. L'unica regola si legge nell'articolo 8 della legge n. 400 del 1988: nel caso d'impedimento temporaneo, il timone passa al vicepresidente del Consiglio, ovvero - "in assenza di diversa disposizione da parte del presidente del Consiglio" - al ministro più anziano. Basta perciò applicare (un'altra analogia) la norma che disciplina questa situazione all'impedimento permanente, e il rebus si risolve. Sicuro?
Un conto è un automatismo, per cui se manca il generale il comando passa al colonnello. Un altro conto è conferire al generale il potere di nominare il caporale. Tanto più che il premier, nel nostro ordinamento, non ha la facoltà di revocare i suoi ministri, mentre avrebbe viceversa l'autorità di nominare il successore, come gli imperatori dell'antica Roma. E siccome la regola varrebbe anche se il presidente del Consiglio muore (doppi scongiuri), dovremmo immaginare che quest' ultimo si rechi dal notaio per fare testamento: lascio la casa al figlio, l'automobile al nipote, Palazzo Chigi al ministro dello Sport. Ma è il bello delle regole che ci cadono addosso come tegole: se qualcuno ci rimette, qualcun altro giocoforza ci guadagna.