MICROFONO TRADITORE – DA FINI ALLA CANCELLIERI: MENO MALE CHE C’È IL FUORIONDA (A RESTITUIRE IMPREVISTI BAGLIORI DI VERITÀ)
Filippo Ceccarelli per "la Repubblica"
In un mondo sempre più di bieche finzioni, si rende lode alla disfunzione e perciò al fuorionda. Autentica variabile della politica, ormai: innocua, ma non troppo, di solito spassosa, comunque tale da restituire al gentile pubblico non pagante imprevisti e preziosi bagliori di verità. Ad Anna Maria Cancellieri è andata anche bene.
Il primo microfono traditore consegnato alla leggenda della comunicazione politica (Guido Quaranta, Scusatemi, ho il patè d'animo, Rizzoli, 1992) mise nei guai un esponente liberale piemontese, Soleri, il quale prima di cominciare un comizio, sbirciando l'orologio, sussurrò a un amico sul palco: «Niente paura, lasciami solo raccontare le solite quattro balle a questi imbecilli e poi ce la filiamo subito...».
Era l'alba della Repubblica. Nel 2002, nell'aula di Montecitorio, riecheggiò dai banchi del governo il consiglio che il ministro Fini dava al collega Tremonti: «Non replicare a questi coglioni! ». Invano, in mezzo alle proteste, si cercò di dimostrare che non era stata pronunciata la parola «coglioni», ma i cognomi di alcuni deputati che finivano in «oni», tipo Fioroni.
Quasi dieci anni dopo, nella stessa location istituzionale, come per una specie di nemesi sonora, il ministro La Russa mandò «affanculo» il medesimo Fini, anche se a dire il vero in quel caso la convalida si ebbe attraverso lo studio del labiale, osservato con scrupolo alla moviola in una delle più indimenticabili riunioni del Collegio dei Questori. Non solo, ma di lì a poco, nella sala stampa di Palazzo Chigi, anche Tremonti fu pizzicato da una telecamera di Repubblica.Tv mentre mormorava acidità di vario genere contro il ministro Brunetta che ignaro aveva preso la parola e non la mollava più.
E insomma, rispetto ai tempi radiofonici, al giorno d'oggi la tecnologia delle immagini riveste gli incidenti di una speciale patina spettacolare che pure arricchisce i celebri versi del Metastasio: «Voce dal sen fuggita,/ più richiamar non vale,/ non si trattien lo strale/ quando dall'arco uscì». Da tale poetica premessa, a pensarci bene, trae ispirazione
Paperissima, e forse non è un caso che proprio il padre fondatore di quel programma, Antonio Ricci, abbia lanciato i fuorionda come eminente risorsa televisiva.
Parecchie le vittime nel corso degli anni 90 e nel decennio successivo: l'onorevole Biondi,
Buttiglione e Tajani, Buontempo, D'Alema beccato mentre cazziava Velardi a Porta a porta per via di una sedia «floscia»; e poi Emanuele Filiberto «intercettato » anche al cesso, e Frattini che diede dei «cialtroni» e «traditori» (anzitempo) ai seguaci dell'Udc, ma poi fece anche causa a Striscia la notizia ed ebbe soddisfazione. In compenso Emilio Fede, a tal punto e irresistibilmente bersagliato da suscitare sospetti, accolse sempre di buon grado imboscate e degradazioni e anzi volle intitolare uno dei suoi libri autobiografici «Fuori onda», appunto (Mondadori, 2006).
Nel frattempo Fassino fece salaci commenti sull'Albania senza accorgersi che il microfono era aperto, così come in Lombardia andò in onda e in diretta una spartizione di Asl. La casistica cominciava a estendersi rivelando una specie di tagliola che il potere aveva innescato ai suoi stessi danni.
Così al fuorionda restarono variamente intrappolati prima Bassolino, poi l'assessore del Lazio Di Carlo, che si dovette dimettere, quindi il sindaco di Latina Zaccheo (idem). In un colloquio senza filtri con un magistrato Fini ne disse di cotte e di crude su Berlusconi. Appena eletto segretario del Pd, Franceschini fu sorpreso a considerare spiritosamente certi obiettivi vantaggi del comando: «Che libidine, potere togliere l'audio!». Un giorno Dario Fo e Franca Rame videro da lontano il ministro della Difesa Parisi e: «Ecco il coglione! - disse lei - Ha la dentiera nuova».
Ma i due momenti più alti, se così si può dire, riguardano la notte delle elezioni del 2001, con il sondaggista berlusconiano Crespi ripreso mentre improvvisava una danza fallica; e quella delle elezioni del 2006, alle ore tre antelucane, allorché sugli schermi comparve il demoscopo Masia che in totale confusione dei risultati e personale confessava: «Non ha più senso fare questo lavoro di merda: ti fai un culo come una scimmia e la gente non capisce una sega».
Ecco dunque il punto di speranza. Che invece qualcosa ogni tanto si capisce, ma accidentalmente. Per cui il penultimo profetico fuorionda viene dal mondo grillino, per bocca del prossimo «rinnegato» Favia: «Casaleggio prende per il culo tutti, da noi la democrazia non esiste» - e vagli a dare torto.