IL MINISTRO ZERO - IL SÌ ITALIANO ALLA TAV ARRIVA A BRUXELLES, MA A FIRMARLO NON È TONINELLI, BENSÌ L'UFFICIO TECNICO. E ALLORA A CHE SERVE? LE RICHIESTE DI DIMISSIONI ARRIVANO DA DESTRA E SINISTRA, E SOPRATTUTTO ORA DI MAIO PUÒ OFFRIRE LA SUA TESTA PER IL RIMPASTO CHE SALVINI NON CHIEDE UFFICIALMENTE MA PRETENDE
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Giovanni Sallusti per ''Libero Quotidiano''
La permanenza di Toninelli al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è troppo, anche per il partito (?) del "mandato zero". Se con quest' ultimo infatti siamo ancora nel campo del folkloristico, una sorta di supercazzola neodemocristiana per giustificare la vecchissima saldatura alla poltrona dei cosidetti "nuovi", l' affaire-Toninelli trascolora nel grottesco spinto, non strappa nemmeno quella risata disimpegnata che era l' unico senso del grillismo, trasmette solo sconcerto per l' analfebitismo politico di questa classe non dirigente.
Ieri l' ultima puntata, che in qualsiasi consiglio comunale del mondo civile avrebbe innescato le immediate dimissioni del Nostro, il quale viceversa persevera a rimanere in sella con quel sorriso vagamente allucinato di chi forse è davvero in buona fede (il che è addirittura peggio). Su impulso della presidenza del Consiglio, il Ministero dei Trasporti (è il dicastero di cui sei titolare, precisiamo per Toninelli) ha inviato una lettera all' Inea, l' Agenzia esecutiva per l' innovazione e le reti della Commissione europea, con cui si ufficializza il via libera del governo italiano all' ultimazione della Tav.
COSTI MAGGIORI
La lettera è firmata dall' ufficio tecnico del Mit, ma non dal ministro. È la logica conseguenza della linea dichiarata dal premier Conte: la Tav si fa, perché non farla costerebbe di più, perché scomoda un interesse strategico nazionale, perché dopo che l' Europa ha annunciato di aver portato alla soglia del 50% il suo contributo le scuse stavano a zero.
A sua volta, la logica conseguenza di tutto questo, in qualunque Stato appena passabile, compresa la libera Repubblica di Bananas, sarebbero le dimissioni non trattabili del ministro Toninelli, annunciate come tali da lui stesso per un' irrinunciabile questione di dignità politica e personale. In Italia, nell' Italia grillina, quella avvezza a chiedere le dimissioni di ministri altrui quando regalavano Rolex ai figli, no. Riepiloghiamo, perché ormai rischiamo di essere assuefatti all' assurdo quotidiano.
Danilo Toninelli è ministro (così almeno carta recita) delle Infrastrutture e dei Trasporti. Tutta la sua esistenza di politico (se vogliamo scomodare vocaboli sproporzionati rispetto alla commedia all' italiana cui assistiamo) poggiava su un punto: il «No» granitico, orgoglioso, di principio (continuiamo a esagerare) all' alta velocità Torino-Lione. Per una serie di capriole della storia e della cronaca, il Toninelli si ritrova ministro, proprio nel settore che coinvolge la battaglia della sua vita.
SCONFITTA
Così il suo governo finisce per essere quello che mette nero su bianco il completamento dell' opera. Ci fosse un' immagine della sconfitta in politica, è questa. Le ragioni di un impegno che decadono nel loro opposto. E il Nostro pensa davvero di cavarsela non mettendo la firma sotto il documento, fingendo di essere un passante del Palazzo, uno dei tanti, mica il ministro che aveva il dossier nelle proprie competenze, e che aveva giurato «Mai la Tav»? Davvero crede che qualunque sua sillaba d' ora in poi possa essere presa vagamente sul serio, e non liquidata con una pacca sulla spalla, «faccia il bravo Toninelli, che finisce come la Tav...»?
Pensa che esista davvero un mondo possibile in cui il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti non firma quella che dovrebbe essere l' opera-chiave del mandato, e anzi c' inscena contro sgangherate dirette Facebook, e possa ancora essere considerato tale da qualcuno?
Da oggi, ogni secondo che passa senza l' annuncio delle dimissioni di Toninelli è un insulto alla logica, alla politica, al senso comune e, se solo lo capisse, anche a Toninelli medesimo.