MORO PER SEMPRE: L’ASSASSINIO DI WALTER TOBAGI E LA TRATTATIVA PER SALVARE IL POLITICO DELLA DC, LE CUI CARTE SEGRETE FURONO SOTTERRATE A VIA FRACCHIA. E POI L'IMPEGNO DI CRAXI A MILANO. TUTTO QUELLO C’E’ DA SAPERE DI NUOVO IN BASE AI DOCUMENTI DESECRETATI DAGLI ARCHIVI DEI SERVIZI ITALIANI E' NEL LIBRO DI MARIA ANTONIETTA CALABRÒ E GIUSEPPE FIORONI
-(estratti dal libro “Moro, il caso, non è chiuso”, LINDAU , 2019, di M.Antonietta Calabrò e Giuseppe Fioroni)
La strage di via Fracchia, a Genova, che si svolse in piena notte il 28 marzo del 1980, rappresenta una delle vicende più complesse della storia delle Brigate Rosse e delle azioni che le contrastarono, lasciando molti interrogativi sul reale svolgimento dell’irruzione, divenuto poi un evento cui si riferì simbolicamente la lotta armata, con la costituzione di un gruppo milanese denominato appunto «XXVIII marzo».
Fu la Brigata “XXVIII marzo” che uccise l’inviato del «Corriere della Sera», Walter Tobagi, proprio a due mesi dall’irruzione di Genova da parte degli uomini del generale Dalla Chiesa, il 28 maggio 1980. Domani, vent’anni fa.
Il «Corriere della Sera», il 2 aprile 1980, negli articoli che illustravano l’irruzione in via Fracchia segnala che sarebbe stata trovata nel covo br una cartellina con un appunto «materiale da decentrare sotto terra». I giornalisti presenti erano Antonio Ferrari inviato a Genova dal direttore Franco Di Bella insieme a Giancarlo Pertegato e Tobagi, appunto, cattolico, socialista, vicino al segretario Bettino Craxi, che ebbe un ruolo nella «trattativa» milanese del segretario del Psi Bettino Craxi, durante il sequestro Moro, emersa solo negli ultimi anni grazie alle indagini della Commissione Moro2 che ha chiuso i battenti nel dicembre 2018. Facendo emergere tanti fatti e circostanze che illuminano gli ultimi anni della vita di Tobagi, e forse, anche della sua morte. Perchè la conoscenza di quegli anni è molto progredita, portando alla luce fatti sorprendenti. Lo dobbiamo alla memoria di Walter, un grande giornalista.
L’impegno di Walter Tobagi per salvare Moro.
Umberto Giovine, iscritto al Psi sin da ragazzo, militando nella Federazione
milanese, aveva avuto incarichi nell’ambito dell’Internazionale socialista ed era divenuto direttore di «Critica Sociale» alla fine degli anni ’60, ha dichiarato alla Commissione d’inchiesta Moro2 che: l’input per cercare d’intervenire nella vicenda Moro per salvare la vita del sequestrato avvenne qualche giorno dopo il sequestro, a Torino, durante il congresso del Psi.
“Ebbi modo di parlare con Walter Tobagi che conoscevo da molti anni e mi disse che secondo lui avrei potuto e dovuto fare qualcosa attraverso «Critica Sociale» visto che lui personalmente, data la sua posizione al «Corriere della Sera» non poteva agire”.
Questa attività milanese era speculare ad un’attività con le medesime finalità e medesimi contenuti, una vera trattativa, che era stata avviata a Roma dal segretario Craxi. “Craxi - continua Giovine - in ogni caso poteva contare sull’appoggio e il contributo del generale Dalla Chiesa che era responsabile nazionale delle carceri di massima sicurezza e che in tale veste poteva muoversi anche in modo indipendente e senza specifiche autorizzazioni del Governo. In quelle settimane non ebbi incontri personali con Craxi ma solo colloqui telefonici protetti in quanto lo chiamavo nel ristorante dove andava a pranzo o a cena”.
Il “tesoro” di Genova: tutte le carte di Moro
Massimo Caprara scriverà più volte, in date diverse: «Disse a caldo (dopo l’irruzione nel covo brigatista di via Fracchia, NdA) l’allora procuratore della Repubblica di Genova, Antonio Squadrito: “La verità è che abbiamo trovato un tesoro. Un arsenale di armi… Soprattutto una trentina di cartelle scritte meticolosamente da Aldo Moro alla Dc, al Paese”». I due articoli sono stati pubblicati anni dopo la barbara uccisione di Tobagi, nel numero 1 di «Pagina», del 25 febbraio 1982, e nel periodico «Illustrazione
Italiana», n. 32, luglio 1986.
La rivelazione di Caprara, ex segretario di Palmiro Togliatti, è precisa e circostanziata. Ma di quelle trenta cartelle «meticolosamente scritte da Aldo Moro», indicate dal magistrato che nel 1980 era al vertice della Procura del capoluogo ligure, non è stata trovata alcuna traccia agli atti del processo. I lavori della Commissione Moro 2 sono partiti da qui. La quantità e l’importanza del materiale sequestrato in via Fracchia si desumono esaminando il verbale di perquisizione e sequestro (acquisito agli atti della Commissione) che reca un impressionante elenco di 753 reperti, che certamente dal punto di vista investigativo poteva essere considerato un «tesoro».
Tenuto conto degli interrogativi che sono nati dai parziali ritrovamenti documentali avvenuti nel covo di via Monte Nevoso a Milano (nel 1978 e nel 1990) , la citata esternazione di Squadrito, è apparsa meritevole di serio approfondimento, anche alla luce delle indicazioni sul ruolo che la colonna genovese guidata da Riccardo Dura ha giocato, secondo la Commissione, nel sequestro Moro. Solo agli inizi degli Anni Duemila, sono cominciati ad emergere nuovi fatti.
Nell’articolo intitolato “Via Fracchia, ricordi indelebili. Quella donna in giardino, l’uomo con il piccone, pubblicato venerdì 13 febbraio 2004, firmato da Simone Traverso sul Corriere Mercantile, storico quotidiano della città della Lanterna, vengono riportati i ricordi raccolti dalla «gente del civico 12», tra cui quello di «un uomo misterioso, forse Riccardo Dura , che scavava con un piccone nell’erba alta delle aiuole».
Testimonianza questa che descrive una caratteristica peculiare del covo: la presenza anche di un giardino di pertinenza, a cui si accedeva dalla cucina e dalla sala da pranzo, e che conduceva alla parte posteriore dell’edificio. «Un giardino
che, incredibilmente – annota la Commissione Moro 2 – non trova esplicita menzione negli atti processuali, né viene evidenziato nella ricostruzione della planimetria dell’appartamento».
Che sia stato effettuato uno scavo nel giardino pertinenziale è stato confermato ai consulenti della Commissione Moro 2 da Filippo Maffeo, intervenuto sul posto in qualità di pubblico ministero di turno. Il magistrato ha indicato con certezza il particolare che in giardino il terreno appariva smosso da poco tempo, precisando le rilevanti dimensioni dello scavo, corrispondente, a suo avviso, al volume di tre valigie di media grandezza. Uno scavo immediato e verosimilmente mirato non poteva che scaturire dalla disponibilità di indicazioni precise.
Quell’operazione dovette durare ore ed ore e terminare, appunto, prima dell’arrivo del magistrato di turno.
Anche lo scavo di un’ampia buca nel giardino del covo non fu riferito negli atti giudiziari del 1980, ma è stato esplicitamente rievocato solo il 15 marzo 2017 nel corso delle dichiarazioni a Palazzo San Macuto dal pm Maffeo.
L’agente tedesco nella palazzina di Tobagi, le carte “segrete” di Moro.
Umberto Giovine (che ha illustrato da qualche anno il ruolo di Tobagi nella trattativa per Moro) ha anche parlato della opaca vicenda di Volker Weingraber (alias Karl Heinz Goldmann), un agente tedesco occidentale che operò in Italia durante il sequestro Moro.
6 informative del Sisde che lo riguardavano sono state desecretate dall’AISE (l’attuale servizio segreto estero) nel giugno 2017. In particolare, dagli atti del nostro servizio segreto – solo ora resi noti – risulta che Weingraber giunse a Milano nel febbraio 1978 e che si mise in contatto con diverse persone, tra cui il terrorista Oreste Strano e un gruppo che preparava il sequestro di un imprenditore svizzero.
L’informativa del 6 novembre 1978 precisava inoltre che «la fonte infiltrata ha avuto contatti con Aldo Bonomi il quale gli avrebbe confermato di essere in grado di procurare armi e documenti falsi per sviluppare attività eversive». La fonte – continua la citazione – «ritiene che Bonomi sia un provocatore e un confidente della Polizia. Sarebbe stato isolato dalle Br perché ha sempre evitato di assumersi compiti
rischiosi nell’ambito dell’organizzazione».
Ma «la fonte infiltrata» – come risulta da un’altra lettera desecretata del 2 novembre 1990 inviata dall’ammiraglio Martini, capo del Sismi, al capo della Polizia, prefetto Vincenzo Parisi oggi desecretata – altri non era che proprio Weingraber, il quale lavorava in un’operazione congiunta del Sismi e dei servizi segreti tedesco e svizzero. Risulta inoltre che Weingraber – come confermato dal colonnello Giorgio Parisi al giudice Priore il 28 settembre 1990 – entrò in contatto, tramite Strano (che aveva una compagna tedesca), anche con Nadia Mantovani, cioè la persona che aveva avuto l’incarico di battere a macchina il Memoriale Moro, e che prima del suo arresto, a Novara frequentava una radio di sinistra extraparlamentare collegata alla Rote Armee Fraktion. Va pure segnalato che Weingraber alloggiò a partire dal 1978 in Italia nello stesso palazzo dove abitava Tobagi, ucciso il 28 maggio 1980.
Ma poi fu lo stesso Strano a denunciare Weingraber pubblicamente come un infiltrato, dopo che al valico del Brennero vennero sequestrati a quattro cittadini tedeschi 800 fogli di documenti: ciò accadde poche settimane prima della seconda scoperta di materiale proveniente dal sequestro Moro nel covo di via Monte Nevoso 8, a Milano, nel novembre 1990”.
Moro per sempre, dunque. Il caso non è chiuso!