NE RESTERA' SOLTANTO UNO: BORIS – L'ULTIMO A LASCIARE IL GOVERNO DI BORIS JOHNSON È STATO QUESTA MATTINA IL MINISTRO PER L'IRLANDA DEL NORD BRANDON LEWIS: “SIAMO OLTRE IL PUNTO DI NON RITORNO” – L'ADDIO SI AGGIUNGE ALLE OLTRE 40 DIMISSIONI DI MINISTRI, SOTTOSEGRETARI E PORTABORSE CHE SI SONO SUSSEGUITE MERCOLEDI'. LA PIU' GRANDE FUGA DI MASSA DA UN ESECUTIVO NELLA STORIA BRITANNICA – BORIS CONTINUA A RESISTERE (“MI HANNO VOTATO MILIONI DI PERSONE”), MA PER QUANTO ANCORA RIUSCIRA' A RIMANERE INCOLLATO ALLA POLTRONA?
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1 - GB: LASCIA ANCHE IL MINISTRO PER L'IRLANDA DEL NORD
(ANSA-AFP) - Non si arresta l'emorragia di ministri nel governo britannico di Boris Johnson: questa mattina è stato il turno del responsabile del dicastero per l'Irlanda del Nord, Brandon Lewis, secondo il quale l'esecutivo colpito dallo scandalo è ormai "oltre il punto di non ritorno". "Non posso sacrificare la mia integrità personale per difendere le cose come stanno adesso", ha detto Lewis, aggiungendo che il partito conservatore al potere e il Paese "meritano di meglio".
2 - TUTTI IN FUGA, BORIS AL CAPOLINEA
Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera”
Fine corsa, si scende. Dal treno deragliato del governo Johnson è stata una gara a chi saltava via per primo: nella giornata di ieri si sono dimessi oltre quaranta fra ministri, sottosegretari e portaborse. La più grande fuga di massa da un esecutivo nella storia britannica. E in serata un gruppo di ministri, guidati dal neo Cancelliere dello Scacchiere Nadhim Zahawi, si è presentato a Downing Street per intimare a Boris Johnson di andarsene. Ma lui ha opposto un secco rifiuto: mi hanno votato milioni di persone, ha risposto, chi di voi saprebbe replicare il mio successo?
Fra Westminster e Downing Street si sono consumate ieri ore drammatiche. Boris era stato mollato fin dalla mattinata anche dal suo braccio destro, quel Michael Gove che era stato il suo «gemello» nella campagna per la Brexit e che ora ricopriva il ruolo chiave di ministro alla Coesione territoriale: secondo indiscrezioni di stampa, Gove in persona avrebbe detto ieri mattina a Johnson che il tempo era scaduto ed era venuta l'ora di smontare le tende (poi in serata il premier l'ha cacciato).
Boris ha resistito fino all'ultimo, ma attorno a lui si spandeva un tanfo di decomposizione. Al briefing per la stampa estera a Downing Street, ieri pomeriggio, le facce dei portavoce erano quelle di una veglia funebre: imbarazzo, risposte svogliate ed evasive, sguardi al soffitto. La stessa, identica atmosfera che si era vista in quelle stanze tre anni fa, nelle ore che precedettero la cacciata di Theresa May.
Pure al poliziotto di guardia è scappata una battuta: «Giornata impegnativa, oggi». Le cataratte si erano aperte martedì pomeriggio, con le dimissioni contemporanee del Cancelliere dello Scacchiere (ossia il ministro del Tesoro) Rishi Sunak e del ministro della Salute, Sajid Javid, che hanno inferto un colpo fatale al governo Johnson e alla sua credibilità.
E ieri, durante un feroce question time in Parlamento, nel quale Boris aveva promesso di «andare avanti», Javid ha spiegato le ragioni delle sue dimissioni dicendo «il troppo è troppo: ho dato più volte il beneficio del dubbio» al premier su altri sospetti di scandalo, ma «mi sono ora convinto che il problema è al vertice, e che Johnson non cambierà». Altri deputati conservatori gli hanno fatto eco, mentre i colleghi fissavano il vuoto con sguardi di pietra. Subito dopo, Boris si è presentato a un'audizione davanti a una commissione parlamentare, dando vita a uno spettacolo surreale: mentre gli chiedevano conto di quello che stava succedendo, lui assicurava che «domani sarò ancora primo ministro».
Ma la sua autorità evaporava di minuto in minuto. Se non è accaduto già ieri, Johnson dovrà andarsene a giorni, travolto dalla sua inettitudine prima ancora che da errori politici. A far precipitare la situazione è stato l'ultimo imbroglio nel quale il primo ministro si è trovato impegolato, ossia lo scandalo sessuale che ha investito il vice capogruppo dei conservatori, Chris Pincher, reo di palpeggiamenti e avances sgradite verso numerosi giovani colleghi e assistenti maschi.
È emerso che il premier era stato al corrente per anni di questi comportamenti, circostanza in primo momento negata: insomma, come nel caso del Partygate, le feste a Downing Street durante il lockdown, e di altre svariate circostanze, Boris ha dimostrato ancora una volta disprezzo totale per le regole e la verità, mentre i suoi ministri venivano spediti davanti alle telecamere a difendere l'indifendibile.
Il morale nel partito conservatore in questi giorni era crollato sotto zero e il disagio era evidente anche nel governo: alla riunione di gabinetto trasmessa in tv le facce dei ministri sembravano quelle di un funerale. Ministri che si sono visti ridere in faccia in Parlamento, anche da parte dei loro stessi deputati, quando hanno provato a spiegare che Johnson aveva «dimenticato» le accuse contro Pincher.
L'autorità del premier era stata già gravemente compromessa un mese fa, quando era sopravvissuto a un voto di sfiducia ma aveva visto più del 40 per cento del gruppo parlamentare votargli contro. E in seguito, la doppia sconfitta elettorale in due importanti suppletive aveva dimostrato che il suo tocco magico era svanito: per la maggioranza dell'opinione pubblica, disgustata dagli scandali, doveva dimettersi. Ieri sera gli stessi conservatori hanno finalmente provato a staccare la spina. Il dramma continua.