NON FATE GLI STRONZI: QUI COMANDA MATTARELLA - SOLO CONTE E QUALCHE KAMIKAZE GRILLINO PUO’ PENSARE DI FAR SALTARE IL GOVERNO E PORTARE L’ITALIA AL VOTO A OTTOBRE, A POCHI MESI DALLA FINE DELLA LEGISLATURA - IL QUIRINALE NON HA NESSUNA INTENZIONE DI AVALLARE UN DELIRIO SIMILE: SI MARCIA ALLINEATI E COPERTI FINO AL 2023 - LETTA HA AVVISATO CONTE: SE STACCHI LA SPINA AL GOVERNO, L’ALLEANZA PD-M5S E’ MORTA…
-Carlo Bertini per “la Stampa”
Il disastro di Conte, lo chiamano dietro le quinte i dem più alti in grado. Presidenza della commissione esteri persa, una roccaforte in meno per il campo progressista; maggioranza spaccata; Draghi indebolito, governo in bilico e M5s scosso dalle convulsioni. Un bel risultato. Che potrebbe anche portare dritto ad elezioni anticipate, poco gettonate nei palazzi, ma temute assai.
Il premier schiva le accuse E per il premier era proprio quel che ci voleva, uno strappo della maggioranza sulla commissione Esteri, alla vigilia di una giornata foriera di tensioni come quella di oggi, con l'informativa sulla guerra in aula.
Basterebbe questo per immaginare quale sia l'umore di Mario Draghi: di fronte all'ennesima spaccatura dei partiti che lo sostengono, ha replicato con un'alzata di sopracciglio meno algida del solito. La reazione all'accusa di Conte («Draghi era avvertito, doveva pensare lui alla tenuta della maggioranza») è un laconico «non spetta al governo intervenire sulle presidenze di commissione», trapelato dalle stanze di palazzo Chigi.
Nessun riverbero sulla tenuta del governo, almeno fino a prova contraria. Ma la questione viene analizzata con attenzione: stavolta tocca un fronte più delicato, vista l'importanza della posta in palio; e viste le conseguenze imprevedibili che possono scaturire dal franoso fronte pentastellato. Che esprime nel governo il ministro più esposto, il titolare degli Esteri, Luigi Di Maio. Protagonista «occulto» della singolar tenzone sulla commissione Esteri: visto che «se Conte candidava la Nocerino, vicina a Di Maio, anche il centrodestra l'avrebbe votata...», sussurra uno dei massimi dirigenti del Pd alla Camera.
In ogni caso, il premier sceglie di non rispondere al leader M5s. Quindi il caso non si pone. E per quel che riguarda un qualche effetto sulla tenuta del governo, la considerazione è che in questi quindici mesi la maggioranza si è spaccata spesso. Insomma, la questione «potrebbe divenire delicata solo se i 5stelle facessero scelte di un certo tipo...».
Proprio quelle che Letta prova a scongiurare. Le sue parole tradiscono grande preoccupazione, «perché il mondo ci guarda: spero non vi siano conseguenze sulla maggioranza, però è stato proprio un grande errore della destra». Il segretario non dice altro, ma i suoi uomini sì e con lui condividono grande agitazione.
E se Matteo Renzi bistratta Conte, «incapace di fare politica», il dem a lui più vicino, Andrea Marcucci, si incarica di dire ciò che pensano tutti: «Sarebbe irresponsabile far cadere il governo. Quello che e' successo per la commissione Esteri era prevedibile, soprattutto perché Forza Italia non aveva presidenze. Eppure si e' scelto di andare avanti». Fatta la frittata, i dem temono davvero che i 5stelle si possano sfilare dal governo a luglio millantando «un appoggio esterno».
E spiegano che «un minuto dopo Salvini farebbe lo stesso. E noi pure. Del resto, a quel punto cosa potremmo fare? Versare da soli il sangue per gli altri?». Ecco che si profila di nuovo lo spettro di urne a ottobre. Letta stesso non lo può escludere: «Troppi incidenti si stanno accumulando e possono far deragliare una macchina di Governo, anche se non si vuole. Richiamo tutti gli attori, a partire da noi stessi».
Si teme dunque un precipitare della situazione e i politici si sporgono sempre avanti, come attirati dal baratro: se Conte dovesse sfilarsi dal governo, a quel punto per i dem sarebbe difficile stringere un'alleanza con i 5stelle. Per questo Letta ha avvisato il leader M5s che le conseguenze di un tale gesto sarebbero devastanti: il segretario Pd faticherebbe a reggere le spinte a sganciarsi dai grillini della metà dei suoi gruppi parlamentari, capitanati dal ministro Lorenzo Guerini. Gli ex renziani insomma.
E la pur esile speranza di una vittoria su una destra alta nei sondaggi, sempre pronta a ricompattarsi nel momento clou delle politiche, verrebbe meno. Del resto, sui divani di Montecitorio c'è già chi si lascia scappare la domanda con i colleghi: «Nella democrazia dell'alternanza possiamo pure andare una volta all'opposizione, o no?». E chi viceversa ragiona sulle opportunità che si aprirebbero con urne in ottobre: «Sarebbe un modo per separare il turno elettorale delle politiche di marzo da quello per le regionali del 2023 in Lombardia e Lazio: l'election day favorisce sempre la destra...».