OCCHIO, MERKEL E MACRON HANNO DUBBI SULLA VIA DELLA SETA: ''POCHE CONCESSIONI DEI CINESI ALL'EUROPA''. HANNO ''CONCESSO'' SOLO 30 MILIARDI SULL'UNGHIA PER COMPRARE GLI AIRBUS FRANCO-TEDESCHI - IAN BREMMER: ''I SOLDI CINESI FARANNO COMODO ALL'ITALIA, E PECHINO PORTA A CASA UN SUCCESSO DI IMMAGINE. GLI USA NON OFFRONO ALTERNATIVE, DICONO SOLO CHE LA VIA DELLA SETA È PERICOLOSA - PER IL 5G CI SONO ALTERNATIVE AMERICANE E GIAPPONESI, MA SONO MOLTO PIÙ COSTOSE…''
-1. MERKEL E MACRON, DUBBI SULLA VIA DELLA SETA "DAI CINESI POCHE CONCESSIONI ALL' EUROPA"
Leonardo Martinelli per “La Stampa”
Emmanuel Macron la voleva quella foto, con determinazione. Alla fine ieri è stata scattata in un salone dell' Eliseo.
L' istantanea ritrae intorno a un tavolo il presidente francese, quello della Cina Xi Jinping, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Sì, segno tangibile di un dialogo multilaterale. Non solo: segnale da inviare a Donald Trump, che di quell' approccio a livello internazionale ne vorrebbe fare a meno. E anche al governo italiano, vero convitato di pietra di questo mini-vertice voluto da Macron: a Roma Xi Jinping ha appena firmato il memorandum per la Via della Seta. E in precedenza l' Italia non ha concordato niente con i partner europei.
Ieri il quartetto si è scambiato idee per poco più di un' ora, il tempo necessario al tandem Macron-Merkel per rimettere i puntini sulle «i» nel difficile rapporto con il gigante cinese.
La Belt and Road Initiative, come si chiama in inglese l' ambizioso piano di Pechino, «è un progetto molto importante: noi, gli europei, vogliamo svolgere un ruolo», ha detto la cancelliera, ma «deve portare a una reciprocità e abbiamo qualche difficoltà a trovarla».
Ha parlato anche di «concorrenza strategica», dove «non deve esserci per forza uno che vince e un altro che perde». Il presidente francese ha rincarato la dose: «Non siamo ingenui e rispettiamo la Cina, ma ci aspettiamo che i nostri partner rispettino l' unità dell' Ue e i suoi valori».
Xi Jinping ha risposto in maniera formale e un po' vaga, lo specchio di quella «strategia dell' ambiguità» (con l' obiettivo del «divide et impera»), che è ormai il fil rouge della politica estera di Pechino. Ma, messo con le spalle al muro, ha fatto capire di avere inteso il messaggio. «Ci sono punti di disaccordo tra di noi e una competizione. Ma è positiva - ha dichiarato -. Stiamo avanzando insieme».
Ha aggiunto che non occorre cedere alla «diffidenza» e che non bisogna mai perdere la visione d' insieme: «È dalla Tour Eiffel che si vede meglio Parigi. Bisogna mettersi in alto e guardare da una certa distanza per giudicare il lavoro effettuato in comune». Macron ha citato Confucio, incitando il leader cinese a fare la differenza tra «gli amici utili, che sono onesti, fedeli e colti. E quelli inutili: falsi, mosci e chiacchieroni».
Juncker ha cercato di riportare il discorso su un piano più concreto. «Vorrei che le imprese europee trovassero lo stesso grado di apertura di quelle cinesi in Europa: totale». Ebbene, un primo banco di prova concreto in questo senso è previsto il 9 aprile, al vertice Ue-Cina a Bruxelles. Lì si dovrà progredire verso un accordo sugli investimenti (che, fra le altre cose, potrebbe aprire senza limiti alle aziende europee gli appalti pubblici in Cina). La firma è prevista per il 2020. Ma la strada è ancora lunga.
2. IAN BREMMER IL FONDATORE DI EURASIA GROUP: PER IL DRAGONE ENTRARE IN AFFARI CON UN PAESE DEL G7 È UN COLPO A LIVELLO DI IMMAGINE
Francesco Semprini per “la Stampa”
Ian Bremmer è fondatore di Eurasia Group e analista di politica ed economia internazionale. «Non c' è alcune dubbio che la Cina sia pronta a staccare ricchi assegni - dice - per costruire infrastrutture all' estero».
Quindi la Belt and Road Initiative è un' opportunità o un rischio per l' Europa?
«Che i cinesi portino quattrini che fanno girare l' economia e creano posti di lavoro è innegabile: basti vedere quello che hanno fatto in Grecia col porto del Pireo, dove hanno contribuito alla ripresa economica del Paese. Lo stesso hanno fatto in Portogallo e, ritengo, possano fare in Italia ancor di più perché si tratta di un' economia più grande, di un membro del G7 e di un alleato molto vicino agli Stati Uniti. Quindi, a livello di immagine, per la Cina è senza dubbio un bel colpo».
Nessun rischio quindi sul piano commerciale?
«Rischi ce ne sono, ad esempio nel caso di partenariati con Paesi come Sri Lanka, Pakistan e Malaysia, i cinesi hanno messo tanti soldi e, se poi non si era in grado di onorare gli impegni, il prezzo da pagare per i partner è divenuto elevato in termini di aumento degli interessi o aumento delle quote di partecipazione del Dragone. Ma non credo che sarà il caso dell' Italia».
Nel suo ragionamento c' è un però?
«Quando si parla di tecnologia, di 5G, di proprietà intellettuali, a quel punto si possono presentare rischi rilevanti. A mio avviso sarebbe sbagliato se l' Italia optasse per la rete cinese sul 5G. Si innescherebbe una serie di problemi relativi alla sicurezza, alla tutela di dati e informazioni sensibili, che andrebbero a influire in modo determinante su quel tipo di scelte. E andrebbe, in ultima istanza, a minare le relazioni transatlantiche».
È quel che ripetono gli Stati Uniti all' Italia e agli altri alleati europei.
«Il punto fondamentale è che gli Usa non hanno nessuna strategia per rispondere alla nuova "Via della Seta", se non quella di dire agli italiani che si tratta di una cosa pericolosa».
Non c' è un' alternativa quindi?
«Certo che esiste, sul 5G ad esempio c' è un' alternativa occidentale a quello cinese, alternativa che non è solo americana ma riguarda altri Paesi come il Giappone, si tratta di una soluzione integrata. Ma anche più costosa e molti Paesi europei sono già esposti alle compagnie tlc cinesi. A questi Paesi occorre ricordare che il Dragone rappresenta un rischio per mancanza di uno stato di diritto, per il plagio della proprietà intellettuale, per il furto di dati. E, nel lungo termine, espone il Vecchio continente a un rischio molto pronunciato in termini di sicurezza ed economici rendendolo maggiormente dipendente dalla Cina».
A cosa punta Pechino?
«Vuol diventare il principale partner commerciale con il più alto numero di Paesi di tutto il mondo, in Asia, Africa subsahariana, Africa meridionale ed Europa dell' Est. Vuole usare la leva economica per accrescere la propria influenza politica, rafforzandosi militarmente nel Mar cinese meridionale. Dal punto di vista tecnologico sta tentando di legare il numero più elevato di Stati al mondo ai propri standard tecnologici sottraendo influenza agli americani.
Punta, in sintesi, a diventare la prima potenza economica del Pianeta utilizzando la sua "Belt and Road" come un piano Marshall del nuovo millennio con cui creare un nuovo blocco mondiale di Paesi allineati».