OH MY ONG – COME MAI QUANDO LE IMBARCAZIONI UMANITARIE NON SONO A ZONZO IN ACQUE LIBICHE I MIGRANTI NON VENGONO MESSI IN MARE? ECCO COME I “TAXI DEL MARE” INVOGLIANO I TRAFFICANTI A INCREMENTARE LE PARTENZE – I DATI: DA INIZIO ANNO SONO SBARCATE IL 96% IN MENO DI PERSONE: QUASI TUTTE LE CHIAMATE DI SOCCORSO PARTONO DA UN “ALARM PHONE” GESTITO DA ONG
-Chiara Giannini per “il Giornale”
I buonisti hanno provato a smontare la tesi che la presenza delle Ong nel Mediterraneo invogliassero i trafficanti di esseri umani a incrementare le partenze. Ma i dati, inconfutabili, parlano chiaro. Quando le imbarcazioni umanitarie non sono in acque Sar libiche o, comunque, a zonzo nelle vicinanze e pronte a intervenire, praticamente nessun migrante viene messo in mare. E su questo, fanno sapere fonti vicine al Viminale, si sta indagando da tempo.
Ciò che accadde il 6 novembre 2017, quando nel tentativo di raggiungere a nuoto la nave di Sea Watch, cinque migranti annegarono, descrive bene ciò che succede. In quel momento stava intervenendo, per recuperare gli immigrati che erano in navigazione su un barcone, una motovedetta libica, all'epoca già in servizio attivo dopo gli accordi con Tripoli del ministro Marco Minniti. L'equipaggio dell'imbarcazione Ong invitò gli extracomunitari a salire a bordo, nonostante la Guardia costiera stesse cercando di fare il suo lavoro.
Da lì la tragedia. Insomma, gli immigrati non vogliono essere riportati indietro, ma sperano nel traghettamento sicuro di quelli che, ormai, sono veri e propri taxi del mare. Certo, i numeri non sono quelli di un tempo, proprio grazie alle azioni che si stanno mettendo in campo e al fatto che entrare in Italia è ora molto più difficile del passato. Ma i trafficanti di esseri umani sanno perfettamente che quando le navi delle Ong sono in mare basta segnalare la presenza del gommone affinché i volontari dei recuperi partano.
L'intelligence italiana starebbe indagando sugli affondamenti di alcuni gommoni. È vero che sono fatti di materiale fragile, ma non tutti devono necessariamente sgonfiarsi facendo naufragare gli occupanti. Perché i video realizzati dall'equipaggio delle navi del soccorso mostrano quasi tutti gommoni che stanno affondando?
Laddove i dubbi insistano, resta la granitica certezza dei dati, che parlano chiaro. L'ultimo recupero in mare risale al 19 gennaio ed è quello a cura di Sea Watch 3, che ieri ha fatto scendere i 47 migranti che aveva a bordo, a Catania, dopo giorni di tira e molla tra Ong e governi europei. Una sola partenza, su due gommoni, è avvenuta dalla Libia in questi dodici giorni ed è quella del 22 gennaio, quando la Guardia costiera libica ha salvato un totale di 332 immigrati.
Eppure, fatta eccezione del 23 e dei giorni successivi, in cui c'è stato maltempo, le condizioni meteo non erano così sfavorevoli da impedire le partenze. Da inizio anno sono sbarcati in Italia 155 migranti, ovvero il 96,29 per cento in meno rispetto allo scorso anno e il 96,53 per cento in meno rispetto al 2017. La maggior parte di questi è stata recuperata dalle Ong o grazie a una segnalazione delle stesse. Quasi tutte le chiamate di soccorso da parte dei migranti partono da un Alarm Phone gestito da Organizzazioni non governative.
Guardando ai dati del passato i conti tornano tutti. Nel 2017, ad esempio, i recuperi avvenuti grazie alle Ong furono 6.609, contro i 3.485 delle navi dell'operazione Sophia. Quando al fatto dei «poveri migranti che scappano dalla guerra», sono ancora i dati a smontare le fandonie di chi tenta di riempire l'Italia di clandestini. Su 155 sbarcati quest'anno, 57 vengono dal Bangladesh, 38 dall'Iraq, 31 dalla Tunisia, 13 dall'Iran, 9 dall'Egitto e le altre nazionalità a seguire. Di libici, invece, in Italia non ne è sbarcato neanche uno. Ora che la Sea Watch è quasi pronta a ripartire, chissà che le non si avvisti qualche altro barcone.