E ORA CHE FACCIAMO CON GLI F-35? - IL GOVERNO HA ANNUNCIATO DI PROCEDERE AL PAGAMENTO DEI CACCIA GIÀ CONSEGNATI MA PER IL RESTO SI VEDRÀ - L'AMBASCIATORE AMERICANO, LEWIS EISENBERG, E’ CORSO A PALAZZO CHIGI DOVE HA INCONTRATO PRIMA IL CONSIGLIERE DIPLOMATICO DI CONTE, PIETRO BENASSI, E POI GIORGETTI: HA FATTO CAPIRE CHE SE L'ITALIA SI TIRA FUORI DAGLI F35 POSSIAMO DIRE ADDIO ALLA FABBRICA DI CAMERI (NOVARA) DOVE È PREVISTO CHE...
-Francesco Grignetti per “la Stampa”
A questo punto c'è l'ufficialità di palazzo Chigi, che ha diramato un comunicato al termine di un vertice tra il premier Giuseppe Conte e il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta: il conto degli F-35 ordinati l' anno scorso si paga, ma per il resto si vedrà. Si sapeva che il dossier sui super-caccia americani sarebbe finito sulla scrivania del presidente del Consiglio. E si dice che Conte presto ne parlerà con Trump. In tutta evidenza, però, il governo si appresta a frenare seriamente gli acquisti se non addirittura a sospenderli, con buona pace dei vertici militari che invece in quell' aereo ci credono fermamente.
Quale fosse l' antifona, lo si capiva dal mattino, da uno strano appello pubblico del vicepremier Salvini: «Quando dò una parola, vado fino in fondo. Ritengo un danno per l' economia italiana ogni ipotesi di rallentamento e ravvedimento». E invece il comunicato di palazzo Chigi suona da requiem per l' F-35.
Non è un caso, allora, se l'ambasciatore statunitense Lewis M.Eisenberg sia andato nel pomeriggio a palazzo Chigi dove ha incontrato prima il consigliere diplomatico di Conte, Pietro Benassi, quindi il sottosegretario alla Presidenza, il leghista Giancarlo Giorgetti. Pare che abbia chiesto rassicurazioni su diversi dossier, compreso l'impegno degli F-35.
Ha fatto capire che se l'Italia si tira fuori, anche non del tutto, possiamo dire addio alla fabbrica di Cameri (Novara) dove è previsto che si assemblino i velivoli italiani e olandesi, e dove era prevista la manutenzione per tutti gli F-35 degli europei. C' è anche il rischio che non si ottengano gli upgrade informatici che rappresentano il vero «cuore» del sistema. Ma Giorgetti più di tanto non s' è potuto sbilanciare.
Conte, infatti, ha fatto balenare la revisione degli accordi: «Nei prossimi mesi - ha scritto - tutti i comparti della Difesa, sotto il coordinamento del ministro Trenta, saranno chiamati a operare una ricognizione delle specifiche esigenze difensive dell' Italia, in modo da assicurare che le prossime commesse siano effettivamente commisurate alle nostre strategie di difesa».
Il senso di marcia è chiaro. Ed è esplicito il sottosegretario agli Esteri, il grillino Manlio Di Stefano: «Specialmente in questo periodo di recessione globale, con un governo che ha investito tutte le sue risorse nelle fasce più deboli della popolazione, con il reddito di cittadinanza, dobbiamo stare molto attenti agli investimenti che facciamo in settori che non sono né prioritari e nemmeno competitivi e provare a spostare i soldi dove servono davvero». Perciò «occorre una revisione profonda degli accordi fatti».
Se i soldi servono per il reddito di cittadinanza, insomma, i fondi della Difesa (giusto ieri la Nato ha certificato che l'Italia, spendendo l'1,15% del Pil è tra le ultime dieci per spesa militare) fanno gola. Nulla di nuovo sotto il sole, peraltro: quando Renzi istituì gli 80 euro, la Difesa tagliò gli investimenti di 1 miliardo.
E le proteste dell' Aeronautica, cui ha dato voce il capo di stato maggiore, generale Alberto Rosso? Di Stefano è tranchant: «Viene da dire che qualsiasi provvedimento si prenda, c' è sempre qualche portatore di interessi che ha qualcosa da dire».
Sul memorandum Italia-Cina resta la tensione nel governo. Di Maio e Giorgetti ne hanno discusso al telefono e oggi se ne parlerà di nuovo in un vertice a palazzo Chigi.