ORA IL PD CHE FA? - GIACHETTI FA LA SUA DIAGNOSI: “L'ASSE LEGA-M5S SI È DIMOSTRATO PIÙ FORTE E SALDO DI QUANTO PENSASSIMO. QUALSIASI ALTRA LINEA DA QUELLA ADOTTATA CI PORTEREBBE, O A SOSTENERE UN GOVERNO DEL M5S O DEL CENTRODESTRA, E IN ENTRAMBI I CASI NOI SCOMPARIREMMO” - MA C’E’ UN ALTRO, TREMENDO, RISCHIO: L’IRRILEVANZA…

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Nino Bertoloni Meli per “il Messaggero”

 

DAVIDE FARAONE

«S'avissiru ammucciari». Scappa proprio così a Davide Faraone, vulcanico renziano di Sicilia, un «dovrebbero nascondersi» rivolto a brutto muso ai grillini «che da disseminatori di odio, dopo che ci hanno accusato di inciuci e nefandezze varie, ora votano i presidenti delle Camere con Berlusconi».

 

Eletti i presidenti, spenti i riflettori sul Parlamento, nel Pd chi sale in cattedra subito sono Renzi e i renziani. L'esito delle votazioni, per loro, dimostra chiaro e tondo che la linea del tocca a loro, tracciata dall' ex leader, si è dimostrata quella più praticabile, naturaliter quasi, a dispetto di quanti peroravano di entrare in gioco, scendere dall' Aventino e via tatticheggiando.

 

GIACHETTI - LOTTI - FRANCESCHINI

Per l' occasione viene coniato il neologismo Grillusconi, a significare che la partita presidenze porta il marchio dell' inciucio impronunciabile, Grillo e Berlusconi. «E' nato l' asse Di Maio-Salvini, con l' ex Cav come ruota di scorta», dice Lorenzo Guerini di solito avvezzo a dichiarazioni più soft.

 

STRATEGIA

«La terza Repubblica è nata dalla quadriglia Di Maio, Salvini, Berlusconi, Meloni», insiste Gennaro Migliore. Quanto a Renzi, l'ex segretario spiega a chi gli chiede che «non c' era altra via che quella seguita, non c' erano margini, di fronte all' asse M5S-Lega l' unica strategia da seguire era quella del tocca a loro», argomento che ripete alla buvette del Senato, entrando e uscendo, incrociando l' altro Matteo, Salvini, con freddo saluto reciproco.

 

berlusconi salvini meloni fitto

C' è anche il passaggio con nota polemica incorporata, quando gli chiedono come mai si sia scelto la Fedeli e non per esempio Richetti, come era circolato, come candidata di bandiera, «ah io non c' entro, stanno decidendo i caminetti», per poi subito precisare, a scanso di equivoci, «ce l' avevo con i caminetti tra M5S e Lega». Il caminetto dem, comunque, è tornato a riunirsi in mattinata senza Renzi e renziani doc, è servito a Martina per fare il punto e decidere il da farsi per le fasi finali, e decisive, delle presidenze.

 

L' altro candidato di bandiera, Roberto Giachetti, in un corridoio della Camera dà la sua lettura che non si discosta da quella renziana: «L' asse Lega-M5S si è dimostrato più forte e saldo di quanto pensassimo. Qualsiasi altra linea da quella adottata ci avrebbe portato, e ci porterebbe, o a sostenere un governo del M5S o un governo del centrodestra, e in entrambi i casi noi scompariremmo».

 

SALVINI - DI MAIO - BERLUSCONI - RENZI

Che fare, a questo punto? «Dobbiamo stare all' opposizione, essere il punto di riferimento di quanti, già ora vedendo quel che sta accadendo, temono che questi nuovi vincitori portino il Paese a sbattere», dice Giachetti. I rapporti tra Gentiloni e Renzi sono sempre tesi? Giachetti, da buon gentiloniano e amico di entrambi, non risponde e guadagna l' uscita, non prima di aver sussurrato qualcosa che somiglia a un ci stiamo lavorando, non c' è altra via, la politica ha le sue regole.

 

NUMERI

Nel Pd si agita uno spettro, quello dell' irrilevanza. Lo dicono i numeri, lo conferma il modo di procedere dei vincitori, lo segnalano alcune reazioni sui neo presidenti, con qualche esponente dem che apre già credito al nuovo numero uno della Camera, Roberto Fico, manco fosse il nuovo Ingrao della situazione.

 

BOSCHI E GUERINI

«Finalmente un presidente di sinistra», scherza non si sa fino a che punto Francesco Boccia. «Fico ha fatto un discorso sfidante, accettiamo la sfida», un più cauto Martina in cerca di sintesi interna. Sintesi che ancora appare lontana per gli assetti interni al Pd del dopo Renzi. Sono circolate voci e indiscrezioni di due vice presidenze delle Camere assegnate a Barbara Pollastrini a Montecitorio e ad Anna Rossomando al Senato, la prima cuperliana, la seconda orlandiana, ma dalle rispettive aree fanno sapere che «non è vero niente, non se ne è mai discusso, non c' è alcuna intesa».

 

Le minoranze temono il trappolone: siccome quelle cariche paiono destinate a Rosato e Mirabelli, che non sono delle minoranze, il sospetto è che girino quegli altri due nomi per poi non farne nulla e magari avere nel frattempo il disco verde sui capigruppo, per i quali resta in pista l' accoppiata Guerini-Marcucci. Si vota martedì.