ORA SE NE SONO ACCORTI UN PO’ TUTTI: DALL’''ECONOMIST” AL ‘’NEW YORK TIMES’’ ALLA GRANDE STAMPA EUROPEA. EBBENE SÌ, I SOCIAL MEDIA POSSONO ESSERE UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA – MA FINO A POCO TEMPO FA IL “PENSIERO DOMINANTE” CI RICORDAVA COME FACEBOOK, TWITTER, YOU TUBE ETC. FOSSERO STATI FONDAMENTALI NELLE “PRIMAVERE ARABE” O ALL'ELEZIONE DI OBAMA ALA CASA BIANCA...
-Mauro Masi per Italia Oggi
Ora se ne sono accorti un po’ tutti: dall’Economist” (famosa l’inchiesta “Do social media threaten democracy?” - i social media minacciano la democrazia?) al New York Times (articolone dello scorso novembre “Ritardare, Negare, Sopire” puntando la disinformazione sinora favorita da Facebook) alla grande stampa europea. Ebbene sì, i social media possono essere un pericolo per la democrazia. E’ un cambiamento non da poco.
Fino a poco tempo fa il “pensiero dominante” ci ricordava come Facebook, Twitter, You Tube etc. fossero stati fondamentali nelle “primavere arabe” o nella cacciato del Presidente ucraino Yanukovich mentre ora si stigmatizza l’intervento della Russia nelle elezioni presidenziali USA (almeno 146 milioni di utilizzatori di Facebook hanno visto “fake news” provenienti dalla Russia tra il gennaio 2015 e l’agosto 2017), del Presidente filippino Duterte che racconta a modo suo la guerra ai narcos, o dei candidati alle elezioni presidenziali in Kenya finite per essere annullate.
E si enfatizza un recentissimo sondaggio per cui, nella patria della Rete e dei social, gli Stati Uniti d’America, solo il 37% degli interessati ha fiducia nei social media ( per lo stesso campione, ben il 75% ha fiducia nella stampa tradizionale, giornali e riviste). Meglio tardi che mai. Anche se qualcuno lo diceva da tempo.
Lo studioso americano Nicholas Carr già da anni ammoniva che “entro breve tutti saremo più superficiali, incapaci di concentrarci per più di qualche minuto e, soprattutto, di distinguere un informazione importante da quella irrilevante” (un allarme lanciato, tra gli altri, anche dal sottoscritto con il libro edito da Class Editori nel maggio 2015 “Internet ci rende più stupidi?”). Il tema è, naturalmente, enorme e tocca le radici stesse di Internet quindi del nostro approccio alla modernità per cui, il minimo che si può dire, è che non esistono soluzioni facili e di immediata applicazione.
Mi sembra comunque che se qualche soluzione si vuole davvero trovare (e non è detto: a tanti la Rete così com’è ora va più che bene) ciò non possa che passare nel rendere in qualche modo responsabili proprietari e gestori delle piattaforme per quello che vi passa attraverso e che viene diffuso e condiviso. E’ stato così con i media tradizionali e qualche risultato si è ottenuto.
I grandi gestori sembra che abbiano capito l’aria che tira e si stanno adeguando: Google, Facebook, Twitter, You Tube hanno già lanciato (o hanno annunciato) nuovi algoritmi che dovrebbero bloccare (o almeno contenere) le “Fake news” e gli “Hateful contents” (le “bufale” e i “commenti d’odio”). Vedremo. Ma ancora siamo in alto mare.
In proposito gli addetti ai lavori citano un illuminante esempio: il 5 novembre 2017 ci fu un massacro in una chiesa del Texas (27 morti e decine di feriti gravi) pochi minuti dopo il fatto You Tube mandò on-line un video in cui un popolare commentatore della Rete affermava di sapere per certo che l’attentatore era un mussulmano o un negro ( lo stesso commentatore è peraltro un afroamericano), in pochi minuti raccolse oltre 100.000 condivisioni. Inutile dire che era tutto falso (l’attentatore era un giovane ex militare USA, cristiano e bianco).