ORLANDO CONTRO IL CIELO - IN CASO DI BATOSTA IN EMILIA L’EX MINISTRO È PRONTO A FARE LE SCARPE A ZINGARETTI – IN CASO DI SCONFITTA ALLE REGIONALI DEL 26 GENNAIO, VERRÀ CONVOCATO SUBITO IL CONGRESSO – ORFINI E GLI EX RENZIANI AFFILANO I COLTELLI. ORLANDO PUNTA A SPOSTARE I DEM A SINISTRA, LASCIANDO SPAZIO LIBERO AL CENTRO A RENZI. UNO UNO SCHEMA CHE FAREBBE TORNARE LE LANCETTE AGLI ANNI DELLA MARGHERITA E DEI DS
-Carlo Tarallo per “la Verità”
Nicola, stai sereno: firmato Andrea Orlando. Non bastassero le difficoltà per il governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte, sul ciuffo del premier sta per abbattersi una grana potenzialmente devastante: Andrea Orlando si è messo in testa di mandare a casa Nicola Zingaretti e di diventare il nuovo segretario del Pd. Non solo: il progetto dell' attuale vicesegretario è spostare il partito più di sinistra, lasciando a Matteo Renzi campo libero al centro. Uno schema che farebbe tornare le lancette agli anni della Margherita e dei Ds.
Il timing per la defenestrazione di Zingaretti prevede la sconfitta di Stefano Bonaccini alle regionali del 26 gennaio prossimo in Emilia Romagna e l' immediata convocazione di un congresso o comunque di un percorso che porti al cambio di leadership. Zingaretti, che sa benissimo di essere nel mirino dell' ambizioso ex ministro della Giustizia, il quale non a caso ha rifiutato di entrare a far parte del governo, vorrebbe un congresso «per temi», ma niente da fare: «Ci vuole un congresso vero!», ha detto pochi giorni fa Orlando, dopo che la stessa richiesta era arrivata da altri esponenti del partito, dagli (ex?) renziani a Matteo Orfini, da Massimo Cacciari a Gianni Cuperlo.
Zingaretti, sostanzialmente, è già cotto, e si attende solo la (probabile) sconfitta in Emilia Romagna per aprire ufficialmente le danze per la sua successione. Naturalmente, a Zingaretti verrà contestata la tigna con la quale porta avanti l'«alleanza strategica» con il M5s, dimenticando che, fosse stato per lui, alla caduta del governo Lega-M5s si sarebbe andati al voto. Così non è stato, sia a causa della spericolata acrobazia di Matteo Renzi, sia perché Zingaretti è stato sottoposto a un pressing asfissiante da parte della stragrande maggioranza degli opinionisti, dei parlamentari, dei guru di sinistra: Dario Franceschini, tanto per fare un nome, ha voluto fortemente mettere in piedi questo governo che ogni giorno che passa fa perdere consensi ai partiti che lo sostengono.
Orlando, vista la difficoltà del segretario, ha deciso di prendere in mano ciò che resta del Pd: «È il successore naturale di Zingaretti», vanno dicendo i suoi fedelissimi, evidentemente a corto di senso dell' umorismo e quindi non consci della comicità di questa affermazione. Orlando dunque chiederà il congresso «vero» e si candiderà alla segreteria nazionale: se riuscirà a spuntarla prima delle elezioni politiche, sarà lui a firmare le liste e quindi, sostanzialmente, a selezionare i prossimi parlamentari dem.
Naturalmente, questa repentina mossa contro Zingaretti non fa che acuire la sensazione di sbandamento in cui si trovano deputati e senatori del Pd: le sirene di Matteo Renzi sono incessanti, e adesso c' è anche la prospettiva di un nuovo lacerante congresso, con tanto di polemiche, guerre interne, posizionamenti e così via, dopo appena un anno dall' elezione dell' attuale segretario, in carica dallo scorso marzo. Non manca chi immagina un cambio delle regole e un percorso che non passi per la consultazione dei militanti ai gazebo, ma si tratterebbe di scrivere la parola fine sull' esistenza stessa del Partito democratico.
Comunque sia, per chi conosce bene le dinamiche interne al Nazareno, il cambio al timone è ormai cosa fatta: resta solo da vedere se Orlando avrà un competitor in grado di poterlo sfidare alle primarie oppure se si andrà verso una corsa in solitaria. Naturalmente, l' avvio di un percorso congressuale nel Pd porterebbe (salvo clamorosi imprevisti) a una immediata caduta del governo, con conseguente ritorno alle urne, ma del resto le elezioni anticipate sono già nella mente di Zingaretti, come La Verità ha anticipato nelle scorse settimane. Zingaretti, però, aveva in animo di riproporre alle politiche l' alleanza giallorossa, con Conte candidato a premier, ipotesi che la disfatta in Umbria, le accuse reciproche con il M5s, le tensioni sulla manovra hanno fatto derubricare a pura utopia. La sconfitta in Emilia Romagna metterebbe la pietra tombale sull' esperienza di Giuseppi a Palazzo Chigi e su quella di Nicola Zingaretti alla guida del Pd.
Orlando, il giorno stesso in cui ha rinunciato a far parte del governo, tenendo per sé la carica di unico vicesegretario dei Dem, ha posto le basi per la scalata alla leadership del partito. Negli ultimi giorni, però, la corsa di Orlando ha fatto registrare una fortissima accelerazione, dovuta molto probabilmente alla convinzione diffusa che il governo giallorosso abbia le settimane contate.
Avere in pugno la compilazione delle liste elettorali è l' unica cosa che conta: anche in caso di sconfitta, Orlando potrebbe portare in parlamento una pattuglia di fedelissimi, la stessa cosa che avrebbe voluto fare Zingaretti ma che gli è stata impedita con la scusa della necessità di «fermare la destra».
Bene: l' esperimento giallorosso non solo la destra non l' ha fermata, ma l' ha ricompattata e fatta salire vertiginosamente nei sondaggi, oltre che nelle urne, come si è potuto verificare in Umbria.
C' è anche chi, sempre tra i fedelissimi di Andrea Orlando, non collega il cambio alla guida del Pd con le elezioni anticipate, per un semplice motivo: la crisi di governo viene considerata sostanzialmente già aperta, ma «non gestita» da Zingaretti, e dunque un cambio di passo, potrebbe, in teoria, prolungare la vita della legislatura. Una speranza, una previsione o un sogno? Non si sa: quello che si sa è che la corsa di Orlando alla successione di Zingaretti è già partita.