ORSONI A CACCIA-RI DI SANGUE – IL SINDACO DI VENEZIA, CHE SI E’ APPENA DIMESSO REVOCANDO LA GIUNTA, TORNA LIBERO E INGUAIA L’EX PRIMO CITTADINO: "SOLDI ANCHE A LUI" -


Giacomo Amadori per "Libero Quotidiano"

 

A Venezia è in corso un regolamento di conti interno al centro-sinistra che rischia di avere conseguenze anche a Roma. Il sindaco Giorgio Orsoni, arrestato con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti e scarcerato ieri, ha fatto una rumorosa chiamata di correo nei confronti dei maggiorenti veneti del Partito democratico. A cui va aggiunto il durissimo atto di accusa della procura veneziana contro il partito di Matteo Renzi.

Matteo Renzi spiega il programma
Matteo Renzi

 

Infatti nella cittadella giudiziaria in piazzale Roma, i magistrati che si stanno occupando dell’inchiesta sulle presunte tangenti legate alla costruzione del Mose hanno vergato «un parere sulla revoca della custodia cautelare di Giorgio Orsoni» che appare come una quasi assoluzione per il professore e un condanna del Pd. 

 

Secondo il procuratore Luigi Delpino, l’aggiunto Carlo Nordio e i pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini la politica e le sue «spregiudicate contese elettorali» sono una mala pratica capace di infettare anche gentiluomini come Orsoni. Per loro «una volta spesa la propria immagine in una competizione di risonanza nazionale, il candidato era quasi obbligato ad accedere alle consuetudini funeste dei finanziamenti neri, adeguatamente rappresentategli con argomentazioni serrate dai tre responsabili del partito, come unico mezzo per conseguire il successo finale».

 

Il terzetto è composto dai «responsabili politici e contabili Davide Zoggia, Giampietro Marchese e Michele Mognato». Il primo, ex presidente della Provincia di Venezia, è stato nominato nel 2009 (fino all’avvento di Renzi) responsabile Enti locali del Pd ed è considerato un fedelissimo di Pier Luigi Bersani; insieme con Mognato è attualmente parlamentare. Marchese, ex vicepresidente del consiglio regionale, è attualmente rinchiuso nel carcere di Piacenza con l’accusa di finanziamento illecito nell’inchiesta sul Mose. 

 

Tutti e tre respingono gli attacchi del sindaco. Per la procura le loro «richieste sarebbero state accolte (da parte di Orsoni ndr) con riluttanza e soltanto dopo una sorta di intimazione ultimativa». Il primo cittadino ha sì commesso un reato (per il quale ha chiesto di patteggiare a quattro mesi grazie a tutti gli sconti previsti per legge), ma la sua responsabilità penale è mitigata se si riconducono «gli episodi al loro reale connotato: la mera esecuzione di una strategia di finanziamento occulto elaborata dai vertici del partito cui lo stesso non si è opposto ed anzi -sia pur per una propria debolezza- si è prestato». 

 

Carlo Nordio

Nonostante questa leggerezza Orsoni viene trattato con riguardo dagli inquirenti. Al punto che, quando le sue dichiarazioni sono in contraddizione con quelle dell’ex presidente del Consorzio Venezia nuova, l’ingegner Giovanni Mazzacurati, i pm annotano: «Le versione dei due protagonisti differiscono solo in apparenza e possono in realtà ritenersi coincidenti». 

 

Orsoni dice di non aver mai maneggiato denaro e Mazzacurati afferma di avergli consegnato 450mila euro in contanti a casa? Per i magistrati la spiegazione è semplice: «Tra persone di mondo questi affari si regolano con comportamenti concludenti e discreti, senza formule sacramentali e atteggiamenti grossolani. È dunque perfettamente plausibile che la “consegna a domicilio” riferita dall’ingegner Mazzacurati sia stata la semplice collocazione di una busta anodina in una stanza qualunque con vereconda indifferenza, seguita dalle consuete reciproche manifestazioni di cavalleresche cortesie».

 

Per gli inquirenti è impossibile che un incontro tra gentiluomini possa essersi concluso con una volgare e «metodica verifica contabile di una frusciante mazzetta». Per questo l’accusa chiede al giudice dell’udienza preliminare Alberto Scaramuzza la scarcerazione e una pena di soli 4 mesi per Orsoni. 

 

In fondo, aggiungono, «il pericolo di reiterazione del reato (tanto più attuale quanto più prossime le nuove elezioni) è, infatti, eliminata dalla volontà di autoesclusione da ogni carica politica e amministrativa manifestata dal prof. Orsoni; circostanza che a sua volta elimina il rischio di inquinamento della prova legato alla valenza influente della carica ricoperta». 

 

«Volontà di autoesclusione» che non compare in alcun accordo scritto, ma di cui i magistrati sembrano certi. A parer loro il primo cittadino non potrà più inquinare le prove, né reiterare il reato perché avrebbe manifestato il proponimento di lasciare la politica. Peccato che tale nobile intendimento di Orsoni sia durato lo spazio di un mattino. 

 

Infatti quando il sindaco ha lasciato casa, dove era rinchiuso agli arresti domiciliari, e ha indetto una conferenza stampa volante, alla domanda se intendesse dimettersi, ha scandito: «Non mi dimetterò perché non ci sono le condizioni per farlo. Non ho nulla da rimproverarmi. Credo che si debba andare avanti nell’interesse della città». 

Pierluigi Bersani

 

Poi ha attaccato Renzi per «la superficialità di giudizio» nei suoi confronti e ha annunciato querele per alcuni esponenti nazionali del partito, colpevoli di averlo attaccato. Va detto che non sarà facile per Orsoni restare in sella, visto anche il clamoroso scaricabarile di cui si è reso protagonista nell’interrogatorio del 9 giugno scorso. 

 

Il Professore si è praticamente autoassolto per i finanziamenti ricevuti da Mazzacurati, che consosce da trent’anni («eravamo, tra virgolette, in amicizia»), perché, a suo dire, così fan tutti: «Era cosa nota che il finanziatore delle campagne elettorali era Mazzacurati» ha detto in procura. 

 

E ha aggiunto: «Quando si era proposto di finanziarmi o di finanziare la mia campagna elettorale, una delle cose che mi aveva detto era che lui aveva finanziato tutte le campagne elettorali precedenti, ma da una parte e dall’altra; non solo, ma mi aveva anche precisato che in questa campagna (quella del 2010 ndr) il mio avversario Brunetta si era già fatto vivo per chiedere di essere congruamente finanziato, e Mazzacurati mi disse: “Ma se finanzio Brunetta devo finanziare anche te”». 

 

Per Orsoni quest’atteggiamento faceva parte della linea politica dell’ingegnere: «Non voleva che il candidato che vinceva poi gli andasse a rimproverare: “Tu non mi hai sostenuto”». Orsoni fa riferimento anche al suo predecessore, l’ex sindaco Massimo Cacciari, che lo avrebbe spinto ad accettare la candidatura: «Mazzacurati mi disse: “Io mi sono sempre occupato delle campagne elettorali, anche quella precedente del tuo predecessore (Cacciari ndr), dove c'erano anche dei confilitti interni al Pd, io sono stato presente». 

 

Davide Zoggia

L’ex sindaco-filosofo in questi giorni ha ammesso di aver chiesto aiuto a Mazzacurati per un’azienda veneziana in difficoltà e per la squadra di calcio locale, ma non per la sua campagna elettorale. Nel suo interrogatorio Orsoni se la prende soprattutto con i maggiorenti del Pd, partito che rivendica di non avere frequentato e che lo avrebbe circondato di personaggi di cui non ricorda nemmeno la faccia. 

 

Sarebbero questi signori ad averlo costretto a forzare la mano per vincere: «Andando avanti, nella campagna elettorale le pressioni per avere più soldi si sono fatte sempre più forti, da parte di vari esponenti della politica, ma soprattutto o quasi esclusivamente da parte di esponenti del Pd…(…) Mi ricordo che con qualcuno di quei personaggi (…) avevo anche posto il problema dell’opportunità di essere finanziati dal Consorzio o da Mazzacurati». 

 

La replica? Altre pressioni: «Il tuo concorrente (Brunetta ndr) è in vantaggio, (…) dispone di un budget, si dice, di un milione di euro. Qui tu fai la figura del pezzente (…) Senza un budget adeguato rischiamo di andare male». E così Orsoni ha bussato a denari. Più e più volte. Con la (quasi) assoluzione della procura.

jerry cala twitta brunetta che vota