NEL PAESE DEI CONTE, ANCHE DI MAIO SEMBRA UN RE – MENTRE IL MOVIMENTO 5 STELLE IMPLODE TRA TABÙ CHE CADONO E CONSENSI CHE CROLLANO, L’IMMAGINE DI LUIGINO RIMANE INTONSA. ANZI, MIGLIORA: SI DICE CHE DRAGHI LO STIMI, E AI CONSIGLI DEI MINISTRI LUI SI ATTEGGIA A TECNICO E DISPENSA CONSIGLI DA STATISTA – DA MANETTARO A GARANTISTA, DA GILET GIALLO A FAN DEL TRATTATO DEL QUIRINALE: LA TRASFORMAZIONE DELL’EX BIBITARO, CHE MENTRE CONTE ARRANCA, È L'UNICO CHE TOCCA PALLA SULLE NOMINE (VEDI ALLA VOCE RAI)
-Susanna Turco per “L’Espresso”
In piena contraddizione con le sue origini (il Vaffa), in controtendenza rispetto a un tempo in cui tutto si sperpera e disfa, pure le reputazioni, Luigi Di Maio è impegnato da mesi in una clamorosa operazione da formichina - condotta in buona parte sulla pelle di Giuseppe Conte - consistente anzitutto in una dissimulazione nella quale il ministro degli Esteri si rende identico al colore di pareti, arazzi o poltrone sui quali transita o siede.
Figurarsi che in Consiglio dei ministri, cui partecipa per la terza volta in tre governi, riesce persino nell'impresa di atteggiarsi a tecnico. Si comporta cioè come uno che sia stato chiamato lì come esperto della materia: l'unica cosa, tra tante, che di certo non è.
Funziona, comunque, lo fa allegro: per quanto gli resti incrostato qualcosa d'un Angelino Alfano, non c'è nessuno che se la passi così bene. Nei Cinque Stelle sicuro. Forse anche fuori. In questa specie di anno zero che è la coda del 2021, sembra aver moltiplicato le forze.
Azzimato e felice come un jack da Burraco in viaggio di Stato a Madrid, a cena a Palazzo reale e insignito - come già Andreotti e Casini - con la fascia gialla da Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica. Mondano e a suo agio come un Bruno Vespa, al lancio della sua autobiografia di trentacinquenne, quando spiega (per la gelosia di Salvini) che con Giorgetti mangia la pizza una volta al mese.
Dolente come una prefica quando a maggio si scusò col sindaco di Lodi, Uggetti, proclamando «grottesche e disdicevoli» le gogne mediatico-giustizialiste a suo tempo inscenate. Proprio lui, già campione del «parliamo di Bibbiano». La metamorfosi era cominciata prima del governo Draghi: verso la fine del Conte I. Ha contato non poco il torcersi dello sguardo internazionale.
L'uomo che da ministro dello Sviluppo Economico aveva fatto largo al memorandum d'intesa sulla Nuova via della seta ha con accortezza accantonato gli entusiasmi filo cinesi (ma certo non l'ex ambasciatore a Pechino Ettore Sequi, figura chiave della sua Farnesina) per volgersi a un fervente atlantismo.
Una svolta attribuita anche agli uffici del suo ex portavoce Augusto Rubei, ora passato alle relazioni internazionali di Leonardo, ex Finmeccanica. Ma non è solo questo: basti considerare quanto la sua immagine sia rimasta immutata lungo lo sputtanarsi integrale del Movimento, tra la scatoletta di tonno e l'oggi. L'aiuta non poco la modestia dell'azione di Conte, che dovrebbe rubargli la scena e che invece, come previsto, gliela regala.
L'avvocato del popolo - oggi «specialista dei penultimatum» - continua in effetti ad incarnare il ruolo in cui lo condannò a febbraio Grillo: nuovo capo di M5S, in teoria. Scelta plaudita da Di Maio il quale, ben ritirato, aveva provveduto per tempo a stringere i rapporti con Mario Draghi (già a giugno 2020), mentre Conte ancora tesseva la vana tela del suo "ter" a Palazzo, con Bettini e Gianni Letta.
L'apoteosi è di questi giorni, con la vicenda Rai: l'ex premier s' è lamentato di non aver toccato palla, ma tutti sanno che gli accordi sulle nomine (Monica Maggioni) sono passati per il ministro degli Esteri. Il quale insomma sembrerebbe quasi un genio delle manovre: aiutato però assai dal fatto di muoversi in un «Parlamento di impediti», come direbbe Rino Formica.