IL PATTO: A BERSANI IL GOVERNO, A RENZI IL PARTITO E LE CHIAVI DEL CENTROSINISTRA CHE VERRA’, ALLA NOMENCLATURA LA PENSIONE - LA VECCHIA GUARDIA, DAL MAGO DALEMIX ALLA BINDI, TEME UN PATTO POST-PRIMARIE TRA GLI SFIDANTI - IL FRANCESCHINIANO GIACOMELLI: "SE PIER LUIGI VINCE, UN MINUTO DOPO FA L'ACCORDO CON MATTEO" - ORFINI: "E' UN BENE CHE RENZI SIA IN CAMPO E CHE GLI VENGA RICONOSCIUTO POLITICAMENTE IL RISULTATO CHE PRENDERA'"….


Tommaso Labate per "Pubblico"

Ovviamente non è una prova. E, probabilmente, nemmeno un indizio. Ma quel «non escludo nulla», con cui Pier Luigi Bersani ha risposto ieri alla domanda di «Pubblico» sull'eventuale coinvolgimento di Matteo Renzi nella sua squadra, ha confermato il campanello d'allarme che suona da tempo nella vecchia guardia del Pd.

BERSANI E RENZI

Ce l'hanno in tanti, infatti, quella strana sensazione che ieri il franceschiniano Antonello Giacomelli ha confidato ad alcuni compagni di partito nel cortile di Montecitorio: «Secondo me, un minuto dopo aver vinto le primarie, Bersani farà l'accordo con Renzi».

RENZI-BERSANI

E non si tratterebbe però del semplice remake del film andato in scena tre anni fa quando «Pier Luigi», dopo aver vinto il congresso, firmò la tregua con Dario Franceschini, agevolando l'ingresso del suo sfidante nella maggioranza e garantendogli la guida del gruppo alla Camera. No. La posta in gioco potrebbe essere più alta. E arrivare a un punto di caduta fin troppo ovvio: a Bersani il governo, a Renzi le chiavi del centrosinistra che verrà, partito compreso. Il tutto a discapito della «vecchia guardia».

Non è un caso, infatti, che Rosy Bindi abbia più volte chiesto a «Pier Luigi» di difendere i veterani del Pd dagli attacchi del sindaco di Firenze. Non è un caso nemmeno che Massimo D'Alema abbia deciso - di punto in bianco - di fornire un assist alla campagna renziana archiviando «Matteo» alla voce «uno che secondo me non è in grado di governare». E soprattutto non è un caso che il leader del Pd abbia ignorato sia l'appello della prima che il (presunto) assist del secondo.

MASSIMO DALEMA

La «Grande coalizione» interna al centrosinistra, ovviamente, non si può annunciare. Ma i segnali ci sono. Eccome. Matteo Orfini, una delle punte di diamante della sinistra dei Giovani Turchi, la mette così: «Per me è un bene che Renzi sia in campo. E sono anche convinto che può fare un buon risultato. Ovviamente, in questo caso, sarebbe anche giusto che quello che il sindaco di Firenze ottiene alla competizione gli sia poi politicamente riconosciuto quando Bersani vincerà». E non è un segnale di distensione. Semmai, spiega il dirigente bersaniano, «è un segnale politico».

Il patto post-primarie Bersani-Renzi è fantapolitica? La risposta sta in un'analisi pubblicata il 6 settembre scorso dal «Sole 24 ore» a firma di Carlo Carboni e corredata da un titolo eloquente: «L'alleato di Bersani? Renzi».

Rosi Bindi

Nel testo si leggeva: «La sfida di Renzi è avversata "trasversalmente" dalla tradizionale nomenclatura Pd, che l'ha bollato come un guastafeste inadeguato». E questo perché «avverte la doppia minaccia di un segretario vincente e legittimato e di un Renzi forse perdente, ma con un buon risultato (il 25 percento?)».

Morale della favola? «Questo (probabile) risultato», scriveva il quotidiano confindustriale, «penalizzerebbe la vecchia nomenklatura e promuoverebbe i "giovani adulti" non parlamentari di Bersani (da Fassina a Zoggia), ma anche l'entourage "eretico" di un renzi legittimato dal buon risultato a indicare una fetta consistente di candidati alle politiche».

Messo così, l'ipotetico patto «Bersani-Renzi» sembrerebbe un piano congegnato ad arte per tagliare fuori Nichi Vendola e costringerlo all'abbraccio con Antonio Di Pietro. E invece no. Anche «Nichi» lancia segnali che vanno nella direzione della «Grande coalizione» del centrosinistra.

LANCIO DI RISO E PAILLETTES SU ROSI BINDI

Infatti, a dispetto delle tante bordate anti-Renzi del recente passato, nel forum con la redazione di «Pubblico» Nichi lo dice chiaramente: «È ovvio che, se io scelgo di partecipare alle primarie, vuol dire che sono disponibile a sostenere anche Renzi, se vince».

Uno scenario a cui Vendola non crede perché è convinto della vittoria di Bersani, magari agevolata da una sua non-candidatura. Ma che dice molto dell'orientamento distensivo del leader di Sel rispetto all'armistizio che potrebbe essere siglato un minuto dopo il fischio finale delle primarie.

Matteo Orfini

L'idea del «patto tra gli sfidanti» dev'essere arrivata anche alle orecchie di Antonio Di Pietro. Che infatti, invece che accogliere positivamente la promessa bersaniana di cambiare dopo il voto il sistema di welfare by Fornero, si chiude a riccio: «Bersani? Non dico nulla perché non ho niente da dire».

Da dire, e tanto, ha la componente ipermontiana del Pd che guarda con sospetto all'annuncio fatto dal segretario nell'intervista di ieri a «Pubblico». «Cambiare il sistema di welfare? Noi siamo un partito di governo, non la Cgil», dice Paolo Gentiloni. E l'ex ministro è ancora più chiaro quando rivendica che «se andiamo al governo non dovremmo mica limitarci a fare le fotocopie di quanto ha fatto Monti dal novembre scorso a oggi».

DARIO FRANCESCHINI

Però, è l'avviso al navigante Bersani, «la riforma del mercato del lavoro e quella della pensioni non sono casematte da distruggere. Al contrario, sono strade da seguire». E ancora, stavolta dalla voce del braccio destro di Enrico Letta, il deputato-economista Francesco Boccia: «Fa bene Bersani a dire che dobbiamo cambiare sul welfare. Ma le riforme devono servire a riparare al guaio sugli esodati e a dare più possibilità ai precari, non a ridiscutere il lavoro di Monti e Fornero».

Ma questo è il futuro. Il presente sta nella prima battaglia che Bersani e Renzi potrebbero condurre insieme. In silenzio. E senza troppa pubblicità. Succederà all'assemblea nazionale del Pd di inizio ottobre, quando un pezzo di partito punterà a complicare il cambio dello statuto che consentirà a «Matteo» di accedere alla competizione. Servono ottocento presenti. E i due principali competitor li garantiranno. Pendando, senza dirlo, al grande «dopo» che li attende. Forse.