E POI DICONO CHE L’OCCIDENTE NON È IN GUERRA - GLI STATI UNITI APPARECCHIANO PIÙ DI 40 PAESI AL MEGA VERTICE DI RAMSTEIN E FANNO CAPIRE CHE IN UCRAINA NON È IN GIOCO SOLO IL DESTINO DEL PAESE - DEL RESTO IL CAPO DEL PENTAGONO, CHE IERI HA PRESIEDUTO L’INCONTRO, LUNEDÌ L’HA DETTO CHIARAMENTE: “LA RUSSIA VA INDEBOLITA”. E PUNITA, COME HA DETTO IL CAPO DI STATO MAGGIORE MARK MILLEY ALLA CNN
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1 - «UN MESE PER SCONFIGGERE PUTIN»
Estratto dell’articolo di Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera”
[…] Bisogna prendere nota, però, anche delle dichiarazioni rilasciate alla Cnn dal capo di Stato maggiore Mark Milley: «È in gioco l'ordine internazionale. Se la Russia non verrà punita, allora entreremo in un'epoca di crescente e preoccupante instabilità».
2 - LA COALIZIONE ANTI-RUSSIA
Alberto Simoni per “la Stampa”
«Non c'è tempo da perdere», dice Lloyd Austin il capo del Pentagono che ha convocato quaranta Paesi alla base americana di Ramstein. Le prossime settimane saranno cruciali per l'esito del conflitto, fa capire il segretario della Difesa che lunedì aveva enunciato il principio che «l'indebolimento della Russia» è strategico per impedire che in futuro Mosca rinnovi iniziative belliche come quella attuale.
Il suo braccio destro, il capo degli Stati Maggiori Riuniti, Mark Milley, poco prima aveva visto le delegazioni in un incontro a porte chiuse in cui ha ribadito l'urgenza di sostenere nei tempi più rapidi possibili ogni sforzo dell'Ucraina dinanzi all'offensiva russa «che riguarda non più solo Kiev ma la sicurezza di tutta Europa».
«Il tempo non è dalla parte dell'Ucraina», ha detto Milley una frase che rimanda a quanto detto due giorni fa da Boris Johnson sulle chance di vittoria finale della Russia.
Washington è convinta che Kiev possa prevalere, ma che per fare questo «serve - ha spiegato Austin - fare di più di quanto fatto finora».
Coordinare gli sforzi è fondamentale, e per questo il capo del Pentagono ha annunciato la creazione del Gruppo di Contatto sull'Ucraina che si riunirà una volta al mese nel duplice formato in presenza e da remoto. Fonti del Pentagono sottolineano che ogni riunione si terrà in un luogo diverso, un modo per coinvolgere maggiormente tutti in quella che assomiglia - pur se con finalità ben diverse dai tempi iracheni - una «coalizione dei volenterosi» che travalica i confini della Nato.
Al tavolo a Ramstein c'erano il Marocco, il Kenya e anche Israele la cui neutralità manifestata in questa crisi comincia seriamente a vacillare.
Austin ha ricordato gli sforzi e l'invio di armamenti approvato da trenta Paesi e ha avuto parole di elogio per la decisione tedesca di mandare i Geopard. Se saranno sufficienti - ha commentato rispondendo a una domanda nella breve conferenza stampa - non lo precisa, ma «è un segnale importante».
Canadesi e britannici sono allineati e determinati a proseguire il rafforzamento del dispositivo militare. In Italia a breve vedrà la luce il secondo decreto, fotocopia del primo per quanto concerne le armi non letali da mandare a Kiev. «L'Italia continuerà a fare la propria parte sulla base delle indicazioni decise del Parlamento», ha dichiarato il ministro Lorenzo Guerini in una nota dopo il summit di Ramstein.
Ambienti della difesa spiegano che potrebbe esserci anche un terzo decreto sulle armi pesanti. «C'è una ricognizione in corso su cosa potrebbe servire ma la decisione avviene ai massimi livelli politici», ovvero il semaforo verde quando sarà, giungerà solo da Palazzo Chigi..
Washington ha voluto il summit di Ramstein per fare il punto sulla situazione e tastare il polso degli alleati europei sulla capacità di stare al passo con spedizioni di armamenti non solo sul breve termine. Ci si è interrogati su cosa serve dall'industria militare e quali piattaforme produttive prediligere. Per esempio, da quasi due decenni gli Stati Uniti non comprano più Stinger. La Raytheon è in difficoltà nell'assemblare nuovi pezzi poiché alcuni componenti non si trovano più.
In Germania era presente anche il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov che ha illustrato lo stato sul terreno evidenziando le perdite russe (41% degli aerei e il 46% dei veicoli corazzati) per sottolineare l'efficacia degli aiuti occidentali. Stinger e Javelin sono stati determinanti nella prima fase, ora però - ha spiegato ai colleghi - vi sono delle criticità sul fronte ucraino che devono essere risolte.
Mancano munizioni di calibro 152 mm e 300 mm; gli strumenti di intelligence - droni e altre strumentazioni per la ricognizione - scarseggiano mentre la difesa antiaerea manca di mezzi. Gli ucraini lamentano anche perdite fra le divisioni corazzate. Per garantire la difesa e la riconquista dei territori gli armamenti devono arrivare entro 10 giorni e l'assistenza tecnica deve durare almeno altri sei mesi.
A Washington sono convinti della necessità di un impegno a lungo termine tanto che al Congresso si lavora per garantire un'altra tranche di aiuti cui la Casa Bianca possa attingere. I 3 miliardi stanziati e usati a discrezione dell'Amministrazione sono esauriti (mancano 50 milioni).
In marzo sono stati allocati 13,6 miliardi di dollari complessivi per l'Ucraina. Si tratta di sbloccarne rapidamente una parte da rendere così più facile l'uso da parte del governo. Blinken che ieri ha deposto dinanzi alla Commissione Esteri del Senato ha ipotizzato l'ipotesi di un'Ucraina «neutrale». Gli Stati Uniti - è la linea del Dipartimento di Stato - non si opporrebbero a una soluzione del genere se andasse bene a Kiev».
Uno scenario che però ad ora sembra lontanissimo anche perché - ha ricordato Blinken - «Putin non ha alcuna intenzione di negoziare». Le notizie che giungono dalla Transnistria complicano lo scenario ulteriormente: «Siamo preoccupati, c'è il rischio escalation», ha detto Austin che ha invitato Mosca a frenare la «pericolosa e non necessaria retorica» sul nucleare. «Una guerra atomica nessuno la vuole, perché nessuno la vincerebbe», ha detto il capo del Pentagono.