PRENDI E PORTA A PRAGA - NEL GIRO DI MAZZETTE PAGATE DALLA FONDAZIONE MAUGERI AI FORMINCHIONI BOYS, SIMONE E DACCÒ, SALTANO FUORI ANCHE DEGLI APPARTAMENTI A PRAGA
Emilio Randacio per "la Repubblica"
C'era un «prezzo» da pagare per sbloccare i fondi sanitari della Regione Lombardia. Per vedersi erogare i contributi, non avere problemi di bilancio, bisognava pagare tangenti. Parte tutto dal 1997. La fondazione Maugeri «piange» un debito «tra i 10 e i 15 miliardi
di lire», con il Pirellone, da pochi mesi amministrato dalla giunta targata Roberto Formigoni.
All'allora direttore amministrativo del centro riabilitativo, Costantino Passerino, viene indicato il modo per risolvere il problema. È da qui che la struttura Maugeri inizia a pagare «Antonio Simone e Pierangelo Daccò», i facilitatori, gli uomini del presidente, i referenti di colui che viene indicato come «il nuovo referente politico» della fondazione sanitaria convenzionata.
Dopo le accuse di Umberto Maugeri della scorsa settimana, ora tocca all'ex consulente della struttura, Gianfranco Mozzali ripetere lo stesso canovaccio. Le sue parole sono rimbombate, venerdì scorso, durante l'incidente probatorio davanti al gup di Milano Paolo Guidi, a carico del senatore del Ncd, Formigoni, dai suoi più stretti collaboratori in Regione Lombardia e, proprio, di Simone e Daccò. Nelle trascrizioni di quell'udienza, ci sono i passaggi precisi sulle presunte responsabilità degli imputati, accusati anche di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.
Per sbloccare la pratica del 1997, ricorda ancora Mozzali, si «aprì questo rapporto con Simone per poter risolvere il problema». Perché il mancato introito di quei fondi pubblici, per la Maugeri, rappresenta un disastro, e per risolverlo, «c'era un prezzo». In cambio dello sblocco dei fondi, secondo questa ricostruzione, Maugeri 17 anni fa formalizza «l'acquisto di immobili a Praga (in tutto è stato sborsato un miliardo di lire, ndr)», poi entrati nella disponibilità di una società di Simone. Un acquisto non voluto, ma «non oggetto di negoziazione». Nient'altro che una sostanziosa mazzetta, sostengono adesso i pm Laura Pedio, Antonio Pastore e Gaetano Ruta.
Pagare mazzette a Daccò e Simone - in 14 anni una settantina i milioni sborsati sotto forma di consulenze - «serviva a mettere in condizioni la Fondazione di andare avanti». Mozzali parla anche delle volte in cui l'erogazione pubblica tardava.
«Ricordo che talvolta Passerino, in momenti di tensione finanziaria, usciva con delle esclamazioni verso Daccò: "Si muova, si dia da fare, vada dal presidente, faccia qualcosa", piuttosto che, in altri momenti: "Eh, io sono qui che non so come venirne fuori e questi sono in vacanza con i miei soldi", rivolto a Daccò e al presidente Formigoni. Praticamente mi faceva intendere che Daccò e Simone erano gli intermediari per arrivare a Formigoni».