LA PROCURA DI MILANO E' IN RIVOLTA CONTRO IL "SISTEMA GRECO" - I PM CHE SOSTENGONO IL "RIBELLE" PAOLO STORARI HANNO MANDATO UN MESSAGGIO CHIARO: NON ACCETTANO PIU' LA GESTIONE "TRONCARE E SOPIRE" DI FRANCESCO GRECO - IL QUALE AVREBBE DOVUTO DIMETTERSI E AMMETTERE LA FINE DI UN'EPOCA AL PALAZZO DI GIUSTIZIA DI MILANO - SE NON L'HA FATTO E' PERCHE' IL VICEPRESIDENTE DEL CSM, DAVID ERMINI, L'HA MARCATO STRETTO EVITANDO CHE LA PROCURA PIU' IMPORTANTE D'ITALIA FINISSE NEL CAOS…

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DAGONEWS

FRANCESCO GRECO

Lo psicodramma in corso alla Procura di Milano, con la maggioranza dei pm schierati a difesa di Paolo Storari (per il quale il Pg della Cassazione, Salvi, ha chiesto il trasferimento) è soprattutto una rivolta contro il "Sistema Greco". Una gestione cauta della Procura, che ha sfilato il coltello tra i denti ai pm. Un "controllare, troncare e sopire" finalizzato a una giustizia senza strepiti o crociate moralizzatrici.

 

Dopo lo scandalo dei verbali di Amara consegnati dal pm Paolo Storari all'ex consigliere del Csm Davigo, a causa del sospetto che la Procura volesse insabbiare le indagini, e il bailamme interno che ne è conseguito (annesso scazzo tra la vice di Greco, Laura Pedio, e lo stesso Storari), Francesco Greco avrebbe dovuto dimettersi, ammettendo implicitamente la fine di un'epoca nel palazzo di Giustizia di Milano. Se le dimissioni non sono mai state presentate è anche perché il vicepresidente del Csm, David Ermini, ha marcato stretto Greco (che a ottobre andrà in pensione) evitando che la Procura più importante d'Italia precipitasse nel caos.

 

ANTONIO DI PIETRO PIERCAMILLO DAVIGO FRANCESCO GRECO GHERARDO COLOMBO - POOL MANI PULITE

IL TERMIDORO AMBROSIANO PROCESSO A GRECO IL FIGLIO DI MANI PULITE

Carlo Bonini per “la Repubblica”

 

Lo spettacolo del Termidoro della Procura di Milano ha in sé qualcosa di malinconico, drammatico, e insieme profetico. Dice molto di ciò che è stato e non potrà più essere. E di quanto appaia improvvisamente secolare quell'immagine del pool di Mani pulite che almeno tre generazioni di italiani conservano impressa nella retina e con cui hanno continuato ad associare un luogo a chi lo abita.

 

francesco greco

Certifica le convulsioni, lo smarrimento, le pulsioni autofaghe di un ordine giudiziario che si scopre improvvisamente analfabeta di un tempo nuovo di cui ha perso il filo. E che il caso Palamara, i suoi esiti, hanno incattivito, gonfiato di sospetto e rancori. Armando le Procure l'una contro l'altra, in un reciproco controllo di legalità dove, venuto meno l'argine del vecchio consociativismo tra correnti, il fair play non ha più diritto di cittadinanza.

 

FABIO DE PASQUALE

Dove cane morde cane. In un redde rationem che non ammette prigionieri. A cominciare dal processo intentato allo straniante capro espiatorio battezzato in questa ennesima velenosissima estate. Francesco Greco, oggi settantenne Procuratore prossimo al congedo, che fu il più giovane, scanzonato, e irregolare dei pubblici ministeri che scrissero la storia di Mani pulite. Il romano cresciuto nel quartiere "Delle Vittorie", ma milanese di adozione e nel midollo, per il quale Francesco Saverio Borrelli stravedeva.

 

Con più di qualche ragione. Perché, in qualche modo, se la foto simbolo di quella stagione della storia d'Italia e della magistratura italiana è sopravvissuta nel tempo, è proprio perché, nel 2016, assumendo l'incarico di Procuratore, Greco ha provato a non farne una reliquia.

 

francesco greco

Figlio di Magistratura democratica, di una cultura della giustizia e del diritto penale mite, Greco, cinque anni fa, immagina una terza via che sottragga la Procura di Milano e con lei quella parte della magistratura che a quell'ufficio guarda come il suo laboratorio più avanzato, all'alternativa del diavolo tra un ritorno nei ranghi di un controllo di legalità a bassa intensità che, per dirla con Luciano Violante, la vede accucciata sotto il trono e il "Resistere, resistere, resistere" come manifesto di un "contro-potere" che si candida ad avanguardia di un capovolgimento o comunque di una modifica degli equilibri di sistema.

PAOLO STORARI

 

Greco immagina e costruisce una Procura che vigila sui poteri, ne indaga le devianze, ma non li indirizza. Facendosi carico, se necessario, delle compatibilità. Che squarcia il velo dell'ipocrisia dell'effettiva obbligatorietà dell'azione penale (che nessun ufficio giudiziario è in grado di assicurare con i criteri dell'automaticità) dichiarandone al contrario l'agenda e le priorità. E che ne misura l'efficacia dal risultato che è in grado di portare a casa.

 

LAURA PEDIO

Greco detesta i "processi al Sistema" e immagina una frontiera di aggressione all'illegalità che privilegia i reati della sfera finanziaria, fiscale, del lavoro, anche in ragione della loro capacità di muoversi in uno spazio "transnazionale". Un modello in cui il patteggiamento non è una sconfitta, ma un principio di economicità.

 

Che, per dire, costringe nel tempo Apple, Google, Facebook Italia, Amazon a concordare un versamento di 824 milioni di imposte evase all'Erario. Per non dire del gruppo Kering, polo del lusso proprietario tra gli altri del marchio Gucci, alla più alta conciliazione fiscale della storia repubblicana: 1 miliardo e 250 milioni di euro.

 

Francesco Greco, tuttavia, sottovaluta uno degli insegnamenti di Francesco Saverio Borrelli che, negli anni di Mani pulite, era comune ascoltare nei corridoi della Procura. Far sentire ogni singolo magistrato del suo ufficio al centro del mondo. Convincerlo che la regola egualitaria del "cantare portando la croce" non conosca eccezioni. Il governo certosino del capitale umano non è una sua dote. Ed è così che si guadagna silenziosamente nemici.

FRANCESCO GRECO

 

Anche quelli di cui oggi, scorrendo le 56 firme in calce al documento di solidarietà a Paolo Storari, non riesce a immaginare le ragioni del "tradimento". È così che la sua squadra di procuratori aggiunti messi a capo di otto dipartimenti organizzati secondo un criterio di competenza "tematica", e a cui Greco affida assoluta autonomia nella trattazione dei fascicoli, nella gestione dei sostituti, nella scelta delle strategie processuali, comincia lentamente ad essere percepita dalla pancia della Procura come una corona di "ottimati" da cui guardarsi e a cui guardare con diffidenza (o addirittura sospetto, come accadrà con Paolo Storari, al punto da guadagnarsi il non certo lusinghiero appellativo di "cerchio magico").

PIERCAMILLO DAVIGO E SEBASTIANO ARDITA

 

È così che sottovaluta le insidie che la gestione del caso Amara è in grado di produrre non solo a Milano, ma a Roma, in un Csm balcanizzato dove persino il canto del cigno di un altro figlio di Mani pulite, Piercamillo Davigo, è una coltellata. È così che viene chiamato a rendere politicamente conto di una sconfitta processuale catastrofica - il processo Eni - e delle scelte istruttorie del suo aggiunto Fabio De Pasquale (oggi per questo indagato a Brescia e sottoposto all'azione disciplinare).

 

È così che viene abbandonato dal consiglio giudiziario prima, dal Csm, poi. Già, perché in una némesi che lo vuole condannato perché ex Robespierre invecchiato da riformista, la ghigliottina alzata per Greco sulla scalinata del palazzo di Giustizia a pochi mesi dalla sua pensione vede le due anime della magistratura italiana (quella accucciata sotto il trono e quella rimasta orfana della foto del Pool e della sua letteralità) convergere.

 

FABIO DE PASQUALE

Con un risultato. L'arrivo a Milano, dopo trent' anni, di un Papa straniero. La cui scelta, da domani (giorno in cui scadrà il termine della presentazione delle domande per Procuratore Capo), sarà affare di un Conclave mai così carico di pessimi presagi.