PRONTO, GIORGIO? - I PM DI PALERMO NON MOLLANO LA PRESA SUL COLLE: LE QUATTRO INTERCETTAZIONI MANCINO/NAPOLITANO SONO “INDISCUTIBILMENTE OCCASIONALI O CASUALI” - TRA 10 GIORNI ALLA CONSULTA IL CONFLITTO D’ATTRIBUZIONE, LA PROCURA SI DIFENDE: “L’INDAGINE NON È MAI STATA, IN QUALSIASI MODO O FORMA, DIRETTA NEI CONFRONTI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA” - IL PRECEDENTE DELLE TELEFONATE DI SCALFARO - MANCINO DISSE: “CI VUOLE UNA LEGGE”…


Salvo Palazzolo per Repubblica

I magistrati che indagano sulla trattativa mafia-Stato del '92-'93 sono certi di non aver «menomato» le attribuzioni del presidente della Repubblica: «Le quattro intercettazioni indirette nelle quali è stato casualmente coinvolto il capo dello Stato - scrivono adesso i pm alla Corte Costituzionale, tramite i loro legali - sono indiscutibilmente da qualificarsi come occasionali o casuali». Ma anche l'Avvocatura dello Stato, che rappresenta il Quirinale, ribadisce le proprie ragioni con un'altra memoria.

«Le intercettazioni di conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica, ancorché indirette od occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate e non possono quindi essere in alcun modo valutate, utilizzate e trascritte e di esse il pubblico ministero deve immediatamente chiedere al giudice la distruzione »: questo ha sostenuto sin dal primo atto l'avvocato generale Michele Di Pace. Mancano ormai dieci giorni all'udienza in cui la Consulta dovrà affrontare il conflitto di attribuzione sollevato dal Colle.

Al centro del caso restano le telefonate fra il presidente Giorgio Napolitano e l'ex ministro Nicola Mancino, era lui l'obiettivo dell'indagine coordinata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia. E oggi, i pm di Palermo lo ribadiscono con una frase a effetto: «L'indagine non è mai stata, in qualsiasi modo o forma, diretta nei confronti del presidente della Repubblica. Né esisteva una qualsiasi ragione per cui una siffatta indagine dovesse essere, anche surrettiziamente, disposta». Questo hanno scritto gli avvocati Alessandro Pace, Giovanni Serges e Mario Serio per conto della Procura.

NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO
VIGNETTA MANNELLI NAPOLITANO LITALIA E GLI APPELLI VIBRANTI jpeg

Secondo la ricostruzione dei magistrati siciliani, non si poteva neanche immaginare «lo sviluppo» dei colloqui fra Napolitano e Mancino: «A conferma della casualità delle intercettazioni - si legge ancora nella memoria dei pm - le prime due conversazioni con il presidente della Repubblica avvennero su un'utenza del senatore Mancino della quale la stessa Procura non chiese l'autorizzazione a prorogare l'ascolto».

L'Avvocatura dello Stato torna invece a denunciare «comportamenti che ledono le prerogative costituzionali del presidente della Repubblica». Sono tre le contestazioni mosse nei confronti dei pm: aver «valutato» la rilevanza delle intercettazioni «ai fini della loro eventuale utilizzazione», aver mantenuto i dialoghi Napolitano- Mancino «agli atti del procedimento », e poi aver meditato di «attivare una procedura» davanti a un giudice terzo, col rischio di rendere pubbliche quelle intercettazioni.

I magistrati respingono le accuse: «La Procura di Palermo ha agito più che correttamente effettuando esclusivamente una valutazione di irrilevanza delle quattro intercettazioni indirette del presidente della Repubblica, ma doverosamente omettendone la distruzione, spettando la decisione a un giudice delle indagini preliminari». Per la Procura di Palermo, c'è un vuoto normativo attorno all'eventualità che la voce del presidente della Repubblica finisca in un'intercettazione: nel 1993, toccò a Scalfaro entrare casualmente in un'indagine della Procura di Milano, per un dialogo con l'amministratore della Banca di Novara. Quattro anni dopo, l'intercettazione fu pubblicata dal Giornale.

VIGNETTA MANNELLI NAPOLITANO E IL LAVORO jpeg

Sostengono i magistrati Messineo, Di Matteo, Sava, Del Bene e Tartaglia: «Le conclusioni del dibattito parlamentare non evidenziarono che norme di
legge fossero state violante dalla Procura». Quel dibattito si concluse con le parole dell'allora presidente del Senato Mancino, anche questo ricordano i pm: «Adesso, tocca al Parlamento introdurre norme necessarie». Norme che non sono mai arrivate, chiosa oggi la Procura di Palermo.