PUTIN HA FATTO FILOTTO: SENZA SPARARE UN COLPO, OTTIENE QUEL CHE VOLEVA - LUCIO CARACCIOLO: "TORNA A ESSERE UN INTERLOCUTORE CON CUI GLI USA DEVONO TRATTARE, SI È GARANTITO CHE L'UCRAINA NON ENTRERÀ NELLA NATO E HA RIAFFERMATO IL PRINCIPIO CHE LA RUSSIA È UNA GRANDE POTENZA, ANCHE GRAZIE A UN SOSTANZIALE COLPO DI STATO IN KAZAKHSTAN, RIPORTANDOLO SOTTO IL SUO CONTROLLO - GLI UCRAINI NON HANNO CAPITO CHE PER GLI USA KIEV NON È IL FOCUS - L'OCCIDENTE NON E' UN SOGGETTO GEOPOLITICO: HA IDEE MOLTO DIVERSE AL SUO INTERNO E DIPENDENZE ECONOMICHE DIVERSE…"
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Letizia Tortello per "la Stampa"
Putin non ha fatto scoppiare la guerra e ha portato a casa tre risultati in un colpo solo. Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes e dell'omonima scuola di geopolitica che da aprile a dicembre torna con il corso «Le chiavi del mondo», legge l'esito di queste settimane di tensione come la riaffermazione dell'astuzia dell'inquilino del Cremlino, che l'America di oggi fa fatica a contrastare.
Cosa guadagna Putin con l'apertura al dialogo?
«La vicenda è in corso, aspetterei a dare pagelle definitive. Però, possiamo direi che Putin è in netto vantaggio come vincitore tattico. Ha raggiunto l'obiettivo di tornare ad essere considerato un interlocutore con cui gli Usa devono trattare, e ha rimesso in pista un negoziato russo-americano per gli assetti strategici globali e l'architettura della sicurezza in Europa. Destabilizzando l'Ucraina si è garantito che questa non entrerà nella Nato. Ha riaffermato il principio che la Russia è una grande potenza: con un sostanziale colpo di Stato in Kazakhstan, riportandolo sotto il suo controllo, ed espandendo la sua influenza in Africa, ha riaperto tutte le partite della sicurezza globale».
Resta aperta anche quella della sicurezza in Europa, che può essere destabilizzata da un momento all'altro. L'Occidente si scopre debole e incapace di difendersi?
«Sicuramente il fronte europeo è ancora in evoluzione. Non credo si possa parlare di un Occidente come soggetto geopolitico: ha idee molto diverse al suo interno, dipendenze economiche diverse. Per gli Usa, potenza leader, l'Ucraina non è una priorità, così come non lo è l'Africa.
Alla crisi di Kiev, infatti, Washington ha risposto con le sanzioni, non impegnandosi fino in fondo. Non credo che i russi abbiano mai pensato di entrare a Kiev. Sarebbe ancora possibile, ma perderebbero su tutta la linea. Nessuno si fiderebbe più di loro. Putin incontrerebbe la resistenza della stessa popolazione russa, andrebbe contro la sua retorica dello stretto legame di parentela tra russi e ucraini. Mantenendo la pressione, invece, ha ottenuto i suoi obiettivi».
Otterrà, alla fine, anche che a Kiev si insedi un governo più vicino al Cremlino?
«Il potere in Ucraina è in mano a una decina di super-oligarchi, alcuni dei quali sono peraltro fuggiti in queste settimane, portando via i capitali. Lo stesso presidente Zelensky deve fare i conti con questa realtà.
Gli ucraini non hanno capito che per gli Usa Kiev non è il focus e che possono contare su Europa e Usa fino a un certo punto, e si sono giustamente lamentati. Nessuno pensava che sarebbero davvero entrati nella Nato: i russi dentro casa, in Crimea, e i filorussi in Donbass erano una garanzia strutturale che non sarebbe avvenuto. Putin ha anche spinto l'Ucraina ad essere poco attrattiva per gli investitori stranieri».
Come valuta le mosse di Biden?
«Mi viene difficile interpretarle. Con tutte le migliori energie non trovo il filo logico della risposta a questa crisi. L'America sta attraversando una delicata fase interna, anche di delegittimazione delle istituzioni. E infatti come si vede i nemici di Biden usano questa debolezza».
Scholz, il "cancelliere fantasma", va a Mosca nel giorno decisivo. Che peso ha giocato il gas che i russi vendono all'Europa?
«Non credo sia stata una guerra del gas. Ma una partita tutta strategica e geopolitica. Nemmeno gli americani vogliono far saltare completamente la dipendenza energetica europea dalla Russia».
Putin torna a guardare a Ovest. La rivincita della Ostpolitik?
«A condizionarlo c'è la sua storia personale: è nato a Pietroburgo e appena diventato presidente propose addirittura che la Russia entrasse nella Nato. Gioca per non mettere tutte le uova nello stesso cesto. La crisi del 2014 l'ha costretto ad avvicinarsi alla Cina, ma non vuole certo fare lo junior partner di Xi».
L'Italia ha ricoperto un ruolo ambiguo?
«Questa crisi conferma che siamo entrati in una fase estremamente dinamica, in cui il nostro Paese deve ricordarsi di far parte dell'Alleanza atlantica e non può pensare che altri si occupino della sua sicurezza. Questo dirò ai miei studenti, dopo tre generazioni in cui si è ragionato in modo contrario».