QUANDO QUEL DISCOLO DI VANNACCI TOCCAVA I NERI PER VEDERE SE ERANO DIVERSI DA NOI - L’ESTRATTO STRACULT NEL LIBRO DEL GENERALE, “IL MONDO AL CONTRARIO”: “FU NEL 1975, QUANDO CON TUTTA LA FAMIGLIA CI TRASFERIMMO A PARIGI CHE, PER LA PRIMA VOLTA, COMINCIAI A VENIRE A CONTATTO QUOTIDIANAMENTE CON PERSONE DI COLORE. MI RICORDO NITIDAMENTE QUANTO SUSCITASSERO LA MIA CURIOSITÀ TANTO CHE, NEL METRÒ, FINGEVO DI PERDERE L’EQUILIBRIO PER POGGIARE ACCIDENTALMENTE LA MIA MANO SOPRA LA LORO E CAPIRE, APPUNTO, SE LA LORO PELLE FOSSE AL TATTO PIÙ O MENO RUGOSA DELLA NOSTRA…”
VANNACCI, IL GENERALE CHE DIVIDE: «NEL METRÒ FINGEVO DI SCIVOLARE PER TOCCARE LA MANO DEI NERI»
Estratto dell’articolo di Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”
Roberto Vannacci […] molto soddisfatto, su ogni palco, parla. E straparla. Di «patriarcato»: «Macché patriarcato! La verità è che cresciamo degli smidollati. Se un ragazzo non studia, a lavorare!». Quando Giulia Cecchettin viene uccisa a coltellate: «No, non mi piace chiamarlo “femminicidio”...». Poi, tutto serio, racconta: «... Fu nel 1975, a Parigi, che cominciai a venire a contatto, quotidianamente, con persone di colore. Ricordo nitidamente quanto suscitassero la mia curiosità, tanto che, nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mano sopra la loro e capire, appunto, se la loro pelle fosse al tatto più o meno rugosa della nostra». Nelle sale: la gente in piedi, tra applausi scroscianti e grida di evviva. Richieste di selfie, e implorazioni: «Forza, generale, scenda in politica!». […]
LA SOCIETÀ MULTICULTURALE E MULTIETNICA
Estratto da “Il mondo al Contrario”, di Roberto Vannacci
[…] Fu nel 1975, quando con tutta la famiglia ci trasferimmo a Parigi che, per la prima volta, cominciai a venire a contatto quotidianamente con persone di colore. Mi ricordo nitidamente quanto suscitassero la mia curiosità tanto che, nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, mentre si reggevano al tientibene dei vagoni, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra.
Li guardavo continuamente, con quella scarsa discrezione che caratterizza l’atteggiamento di molti bambini curiosi, e mi colpiva sia la tonalità molto più chiara del palmo delle loro mani sia il netto contrasto che si percepisce nei loro occhi dove la sclera – la parte bianca del bulbo oculare – si staglia con i colori estremamente scuri delle loro pupille. Bastarono poche settimane e la vista dei neri smise di incuriosirmi. Non era poi così raro, infatti, trovarsi a giocare in gruppi di marmocchi, che includevano anche qualche bambino di colore, con i quali ci rotolavamo e arruffavamo insieme in qualche parco della capitale.
Pochi giorni fa, seduto al bar Irene di piazza Cavour a Viareggio a gustarmi un caffè mentre parlottavo con un caro amico, sono stato preso d’assalto da una schiera di persone di colore che, in rapida successione, mi hanno abbordato senza tanti convenevoli chi per cercare di vendermi un libro sulla cultura africana, chi proponendomi fazzoletti di carta e accendini a un euro e chi, molto più semplicemente, chiedendomi qualche spicciolo per comprarsi da mangiare.
Poco più tardi, passeggiando sul bellissimo lungomare, ho incrociato un paio di Cingalesi che uscivano da un cantiere, ho salutato un Filippino che conosco e che lavora presso uno stabilimento balneare e sono incappato sui teli pieni di ciarpame stesi dai Senegalesi vicino al molo. In poco più di quarant’anni la nostra società è cambiata drasticamente e, con essa, hanno iniziato a barcollare molte certezze che davamo per scontate.
Quest’affermazione è alquanto banale poiché sono ormai lustri che sentiamo parlare di globalizzazione, di confini permeabili e di perdita della sovranità. Al solito, tuttavia, vi sono stati ampi tentativi di camuffare quello che in realtà stava succedendo, di invertire i ruoli e di capovolgere le prospettive per fare apparire totalmente naturale ciò che in realtà non lo era affatto. L’elogio della società multiculturale e multietnica e l’ineluttabilità dei flussi migratori rientrano appieno tra questi filoni ideologici e rappresentano uno degli ambiti in cui il mondo ci appare veramente al contrario.
Il pensiero comune è infatti ultimamente stato orientato a interpretare una società multietnica e multiculturale come un fattore estremamente positivo, un’idea progressista ed inclusiva ed un obiettivo a cui tendere imprescindibilmente poiché segno tangibile di arricchimento culturale e di evoluzione del genere umano.
[…] Alla luce di questo inconfutabile dato oggettivo la domanda da porsi inizialmente, per cercare di approfondire razionalmente la questione, è perché questa multicolore società dovrebbe rappresentare effettivamente una meta da raggiungere e quali siano i valori aggiunti che un siffatto costrutto sociale offrirebbe.
Quello che risulta ovvio è che, da sempre, le società e le culture si siano formate attorno a valori comuni e condivisi. Chi me lo farebbe fare di congregarmi con chi non la pensa come me, con chi ha abitudini e costumi diversi, con chi ama ciò che io detesto e che, per giunta, non ha alcuna intenzione di trovare un punto d’incontro al fine di rendere serena e pacifica la convivenza?
Non a caso la cultura […] è sinonimo di “civiltà” ed è definita come quella serie di caratteristiche specifiche di un gruppo sociale in termini spirituali, materiali, intellettuali o emozionali. Dico bene, caratteristiche specifiche e quindi contraddistinguenti, comuni e condivise in maniera naturale.
Pertanto, per quale motivo un’aggregazione di persone che è cresciuta e si è evoluta attorno a questi specifici valori ed ha magari anche combattuto per essi, dovrebbe mettere tutto a rischio buttando all’aria il proprio tessuto connettivo fondamentale per la semplice velleità di includere altri valori che sino ad oggi sono stati totalmente estranei alla propria esistenza? Significherebbe andare a cercarsi dei guai gratuitamente, senza alcuna necessità.
Sgombriamo quindi il campo dalla prima verità sottosopra, ovvero, che la ricerca di una società multiculturale sia un’iniziativa spontanea e voluta da chi non si accontenta della vita pacifica, serena e spensierata che una società che condivide la quasi totalità dei valori offre.
La sottaciuta evidenza ci mostra quotidianamente che le società multietniche sono invece il prodotto di necessità alle quali abbiamo dovuto adeguarci gioco forza. Siano esse derivate dal colonialismo, dalla necessità di importare forza lavoro a basso costo, dalla globalizzazione, dalla permeabilità delle frontiere o da leggi e norme internazionali che vietano i respingimenti, il mescolamento di etnie e culture diverse che portano con sé valori e principi differenti e, talvolta, poco conciliabili è un fenomeno che subiamo obtorto collo lungi dal rappresentare quell’Eden che alcuni dissimulatori vorrebbero farci apparire.